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lunedì 10 dicembre 2018

"Élite", la serie del baratro



Il mondo adolescenziale è pieno d'insidie; a maggior ragione lo diventa in un contesto di pressione continua in cui non è importante chi tu sia: ciò che conta realmente è essere il migliore sempre e comunque. Non c'è spazio per i ripensamenti e per la mediocrità.
Élite è una serie tv spagnola, visibile su Netflix, ideata da Carlos Montero e Darío Madrona.
È già prevista una seconda stagione e sebbene rischi di cadere nel tranello della seconda di Tredici, io comunque mi cimenterei nella visione per sbatterci la testa, perché la prima è straordinaria e non ho intenzione di mollarla così. Devo sapere come andrà a finire.
In seguito al crollo sospetto del tetto di una scuola, al fine di tranquillizzare gli animi vengono offerte delle borse di studio a tre delle vittime dell'incidente, Samuel, Nadia e Christian, per seguitare a studiare all'interno della Las Encinas: una scuola spagnola esclusiva, riservata ai figli di famiglie facoltose, per educarli a diventare i migliori. I ragazzi avranno un inserimento e un benvenuto tutt'altro che incoraggianti: nessuno li vuole realmente nel loro istituto e loro si barcamenano tra mille frustrazioni, cercando di compensare le loro umili origini. L'atmosfera andrà a saturarsi fino alla disgrazia inevitabile: la morte di uno studente.
Qui comincia la nostra storia, che ha un'implacabile sete di verità.
Le puntate vengono scandite come il rintocco di un orologio, intervallate dalle domande della polizia ai ragazzi. Ciascuno nasconde dei segreti, ma di quale gravità esattamente?
Il contesto di partenza della storia è fortemente darwiniano: se non riesci ad adattarti nel sistema, inevitabilmente soccombi, così i nostri protagonisti cercano d'inserirsi chi più chi meno, ma non sarà semplice allo stesso modo per tutti.

La trama più nello specifico
Nadia
Se lo spavaldo Christian pur di attirare l'attenzione passerebbe anche dal buco della serratura e a un certo punto trova uno spiraglio tutto per lui, Samuel dovrà faticare un po' di più, per non parlare di Nadia che parte da un ambiente del tutto diverso: ella è infatti musulmana e la sua famiglia osserva la sua religione in maniera ferrea. Ciò darà vita a continui scontri tra il suo mondo e quello occidentale e sia lei che suo fratello manifestano una malcelata insofferenza verso le imposizioni rigide del padre. Entrambi vorrebbero semplicemente essere ciò per cui sono nati, ma questa figura genitoriale s'impone. Centrale per la sua storia è il personaggio di Guzman, che, continuamente corteggiato da Lucrecia, cercherà in un certo senso di fare amicizia con lei, scoprendo quanto può essere difficile per due culture completamente diverse avvicinarsi.
Nadia sembra costantemente un'isola, al contrario di Omar (il fratello) che prende una direzione molto più impetuosa. 
Samuel
Samuel si potrebbe interpretare come l'anello di congiunzione tra le altre due personalità: è un ragazzo schivo, introverso, che pensa a fare il suo dovere e non cerca complicazioni. Se dovessi trovare un'analogia con un personaggio di un'altra serie, sarebbe un Clay ma più sano di mente: è fortemente portato verso l'indagine e proiettato nel suo mondo interiore. Il suo aggancio con i ragazzi benestanti avviene nel momento in cui conosce Marina, la burrascosa sorella di Guzman. Sarà lei ad accoglierlo per farlo sentire a suo agio. Peccato che lei sia una ragazza imprevedibile, turbolenta, dai molti segreti. Marina è un libro chiuso a doppia mandata, scritto in una lingua sconosciuta. Tante sono le storie che girano sul suo conto, quali saranno quelle vere?
Christian
Christian (lo conosciamo da "La casa di carta" nel personaggio di Rio) per quella scuola è una ventata d'aria fresca. In un luogo dove tutti sembrano programmati per dare sempre il meglio e pensare solo allo studio, appare a un certo punto questo animaletto sociale. Creato appositamente per creare fin da subito lo scompiglio, renderà interessante l'intesa tra Polo e Carla, essenzialmente due giovani molto, molto annoiati, in cerca di qualcosa di strano.
Un altro personaggio che sicuramente non passerà inosservato è Nano (Denver de "La casa di carta"), costretto a regolare i conti in sospeso per non perdere la vita. Insieme a suo fratello, Samuel, rimandano a due aspetti molto diversi dell'essere umano: istinto e ragione. Sembrano due cose molto distinte, eppure è impossibile scinderle completamente.
In questa serie abituatevi che niente è ciò che sembra. In Élite non farete in tempo a farvi un'idea su qualcuno che questa cambierà improvvisamente. Anche chi può sembrarvi positivo può cadere per colpa di un gesto sbagliato.
La morale ricalca il contesto in cui tutti si muovono: non esistono veri e propri eroi o cattivi da demonizzare, la meccanica è molto più cinica e grave: esistono le azioni, che sono un mezzo che utilizzi per arrivare a ciò che vuoi. Ciascuno è abituato a pensare più come una persona in affari che un essere umano; i delitti più abominevoli possono essere perfettamente giustificati in nome di una ragione superiore.
È una serie dura, a tratti cinica che porta una riflessione profonda, come una ferita che non si rimargina mai. La struttura finale dell'ultima puntata, che rimanda a "Tredici", ci spacca il cuore a metà. Perfetta con le inquadrature essenziali e fredde il cui focus va al personaggio in primo piano, con cui niente interferisce: il resto è indistinto, uno sfondo neutro. L'ultima è una puntata glaciale e velenosa, che ci seduce mentre ci spinge verso un baratro inevitabile. È letale e lenta, come un'overdose, ma non riusciamo, non possiamo scappare dallo schermo, perché ormai ci ha catturati.
Sono entusiasta di questo prodotto, vi consiglio di non perderlo assolutamente.

domenica 9 dicembre 2018

"Baby", la serie tv che provoca emozioni ambigue (NO SPOILER)


Baby, Baby, Baby. Questa serie tv italiana, che strizza l'occhio spudoratamente a "Elite" (tanto da recuperarne certi espedienti sfacciatamente) è sulla bocca di tutti, ma se lo merita realmente?
Diretta da Andrea De Sica e Anna Negri, la serie analizza le dinamiche delle famiglie della Roma bene, quella ricca che è il top della società. In particolare il focus è incentrato sul liceo privato Collodi, gli studenti che si muovono al suo interno e i genitori degli stessi, che in genere sono anche peggio.
Con un fitto intreccio di storie, l'intento sarebbe quello di riportare alla luce il famoso scandalo delle baby squillo al quartiere Parioli e di sensibilizzare lo spettatore: nel mondo della prostituzione vengono inserite spesso ragazzine più o meno inconsapevoli, ma comunque ragazzine. A cadere nell'inganno saranno nello specifico Ludovica (interpretata da Alice Pagani) e Chiara (Benedetta Porcaroli), due giovani dal carattere ed estrazione sociale completamente differenti, ma legate da un'amicizia forte e forse anche da un grande senso di smarrimento.
L'intento è certamente lodevole e nobile; il problema di "Baby" è il come.
Io credo che in Italia ci sia un grande problema che sorge ogni volta in cui si cerca di creare un prodotto televisivo con degli adolescenti come protagonisti, e non mi capacito del motivo, perché all'estero tutto questo non succede mai o perlomeno non in maniera sempre così catastrofica: i personaggi vengono inevitabilmente appiattiti o rappresentati in maniera poco consona. I ragazzi sono giovani. Giovani. Non hanno misteriose malattie per cui parlano uno strano linguaggio alieno o sono complessi quanto una scatoletta di tonno. Perché creare un mondo in cui le adolescenti sono occupate solo a fregarsi il ragazzo a vicenda e a comprarsi vestiti costosi e i maschietti nella migliore delle ipotesi si prendono a pugni per una moto oppure spacciano nel liceo?
Nessuno sembra mai chiedersi se in quell'universo c'è di più e si generano personaggi essenzialmente vuoti o comunque con lo spessore psicologico appena accennato. Le emozioni sono sempre al livello basico, quasi a soddisfare i bisogni essenziali. Come dire gli si regalano due neuroni tanto per fargli un favore, tanto i giovani sono tutti stupidi.
Questi ragazzi si fanno discorsi che hanno senso presi una parola sì e una no, le dinamiche comportamentali sono sperimentate sempre in un modo un po' maldestro. È sempre come se gli adulti non sapessero cosa farne di questa generazione buttata in un angolo.
Gli attori se la cavano, chi più di altri chi meno; il problema è perlopiù racchiuso in quello che devono dire e fare.
I grandi, interpretati anche da nomi famosi, sono personaggi assenti, approfonditi un minimo per renderli realistici, ma sempre a fare da tappezzeria. Sembrano correre dietro ai figli scuotendo la testa, senza sapere come comportarsi e quando danno un consiglio per una volta, è pure quello sbagliato.
Le stesse colonne sonore iniziali assecondano un senso di decadenza morale e vuoto, ma sempre con quella venatura nonsense. Viene trattato tutto in maniera troppo leggera... poi la serie a un certo punto fa uno switch improvviso e si tinge di toni dark. Anche la parte "cattiva" è tutto un programma, per via di avvenimenti totalmente inverosimili se non assolutamente diseducativi (e non parlo delle baby prostitute, perché sarebbe anche normale). Se non altro le colonne sonore dallo switch in poi fanno un buon salto di livello e traghettano il nuovo andamento.
In definitiva, tanti, tanti stereotipi sul mondo adolescenziale, ma il problema non è solo di "Baby" perché ci cadono un po' tutte le produzioni italiane. È come se in Italia nessuno avesse mai visto una persona di sedici anni o volesse vedere solo la parte più stupida.
Io non capisco come poi all'estero succede che i personaggi invece sono tosti, hanno una vita fitta, intrecci complessi, pensieri ben strutturati e non parlano e scrivono in maniera cretina. Anche le motivazioni che ci sono dietro gli intenti di un adolescente di un prodotto "americano" (per prendere un esempio) sembrano uscite dal risultato di un equazione algebrica, mentre i ragazzi italiani sembrano avere la complessità della scimmia che pigia il tasto per far cadere la banana.
Ci sono dei personaggi che saltano particolarmente all'occhio come le due ragazzine e Fabio (Brando Pacitto, lo abbiamo conosciuto in "Braccialetti Rossi"), che spicca perché ha un percorso difficile da intraprendere e sembra avere una motivazione dietro alle sue azioni.
Questa serie tuttavia non provoca grande empatia, ho trovato meglio "Elite", anche se mai dire mai, perché devo ancora terminarla, ma almeno ha un filo conduttore chiaro. Potrei arrabbiarmi anche per "Elite", non si sa mai.
Anche il tema della prostituzione minorile in certi punti sembra accantonato a favore di narrazioni secondarie meno rilevanti. Non sembra che la serie sia fatta per quello scopo, ma che ci sia tutta una storia e poi anche quel tema in un filone narrativo. È poco chiara la sua importanza.
"Baby" ad ogni modo non l'ho molto gradita, preferisco storie dove si scava di più.
Dopo l'immagine avrà inizio la parte spoiler!




PARTE SPOILER
Perché c'è sempre l'arabo che spaccia?
Non ho capito se è una nuova moda quella di avere lo spacciatore arabo, perché mi sembra assurdo che questo elemento compaia indifferentemente sia in "Elite" che in "Baby". Mi sembra strano che sia solamente una coincidenza, perché anche gli insulti che vengono lanciati a questo ragazzo, o meglio scritti, compaiono in entrambi i prodotti.
I personaggi hanno circa sedici anni... perché cavolo vanno in giro guidando l'auto? 
Queste scene in cui Chiara specialmente guida e guida sembrano poste lì perlopiù per sottolineare il tenore di vita elevato della giovane, ma si capiva anche con molto meno.
Se avesse avuto diciotto anni probabilmente non si sarebbe parlato di "baby squillo" ma di "escort". Quindi la macchina?!
Ma non è poi così importante.
Perché una donna adulta intraprende una specie di relazione con un adolescente?
C'è questo ragazzo che sembra essere molto "emozionato" quando ha a che fare con la sua insegnante di educazione fisica, interpretata da Claudia Pandolfi. Lei viene da una vita molto rigida, fatta di disciplina, in cui non si è mai lasciata andare ed ha un amore poco soddisfacente.
Lei viene rappresentata quasi come una donna bambina, molto ingenua, ma scusate: che differenza c'è tra il Saverio cattivo che attira le adolescenti a suon di festini e cocktail e lei che essendo una donna adulta approfitta di un ragazzino? Che messaggio manda questa storia, che la molestia su minore è solo quando la fa l'uomo a una ragazzina?
Non credo sia giusto il candore con cui viene trasmessa la storia tra una donna adulta e un minore, sballa completamente il senso della serie stessa.
Come fa una persona ad entrare nell'ala dell'ospedale dove c'è un uomo in coma, senza che la veda nessuno?
C'è una scena in cui Chiara ha già rubato il cellulare di Saverio, che è in ospedale a seguito del famoso incidente in cui era coinvolta anche Ludovica.
In quell'ospedale non la ferma nessuno: riesce ad arrivare fino al paziente in coma e gli prende anche la mano per passare l'impronta sullo schermo del telefono, così da sbloccarlo.
Lo stesso Fiore stacca tutti i cavi del macchinario e per il personale della struttura è come se niente fosse successo... delitto perfetto.
Cosa muove il personaggio di Chiara?
Ludovica suscita inevitabilmente più simpatia, perché lei non è parte di quel mondo sporco, ma ci si avvicina con ingenuità, come a ricercare un affetto da Saverio e soprattutto da Fiore, che lei ama. Fa una serie di scivoloni per colmare evidenti lacune affettive, perdendo di vista il limite.
Ma Chiara da cosa è mossa esattamente?
Vediamo fin da subito una ragazza molto ambigua, tanto che  si presenta facendo l'amante del fratello della sua migliore amica, ad insaputa della stessa. Camilla è sì un personaggio rigido non così pieno di empatia, ma quando la accusa d'infilarsi nelle relazioni altrui, Chiara invece di riflettere reagisce quasi come se l'avesse provocata: si vuole prendere anche il suo ragazzo.
La giovane sembra volere esclusivamente ciò che non può avere e quando le condizioni non sono più fattibili. Cosa la spinge a deviare sempre in maniera estrema? Non si comprende, sembra crudele e basta, anche perché tutti gli altri anche hanno problemi in famiglia ma non si spingono mai a tanto.
Non finisce qui, presto analizzeremo molti altri aspetti. Continuate a seguire il canale Nerdflics e ne vedrete delle belle! 

sabato 8 dicembre 2018

"Bohemian Rhapsody", quando il successo era già scritto


La musica esiste dall'alba dell'uomo. I primitivi sperimentavano qualsiasi tipo di percussione affinché scaturisse da essa un suono godibile. Gli umani hanno sempre avuto le note nel sangue.
La musica esiste dall'alba dell'uomo, ma non erano mai esistiti i Queen.
Il gruppo ha portato la sua magia ovunque per poi piano piano svanire come una cometa: senza Freddie, morto di aids, nulla ha lo stesso sapore, lo stesso odore, lo stesso colore.
Il vuoto incalcolabile che ha lasciato in ciascuno, nessuno è mai riuscito a colmarlo realmente e si seguita ad ascoltare la sua voce che incita a non arrendersi, ad aggredire la vita, ma che talvolta sussurra anche che ha paura e non vuole morire.
Questo film tuttavia non ci renderà tristi: è una celebrazione. Esso non parla del dolore nel cuore dei suoi compagni e dei fan per la sua dipartita; è una grande festa e noi non siamo gli spettatori passivi, siamo parte delle canzoni che giungono e s'infilano in ogni angolo dello stadio, per gridare forte.
I Queen ci prendono per mano e ci trasportano in un mondo in cui c'è solo energia e lo capiamo dalla prima scena, in cui sta per cominciare un concerto molto importante ma impiegheremo tempo per capire quale.
Nonostante le varie difficoltà nella realizzazione del film nonché ritocchi alla storia originale, esso è fiorito in maniera meravigliosa e riesce a raccontare ciò di cui si ha bisogno. I curiosi vogliono vedere dove si andrà a parare, ma i fan vogliono vedere la tigre: un uomo che non si è arreso mai neanche di fronte a un male terribile e ha continuato a cantare con grinta, fino alla fine. I fan volevano riabbracciare Freddie per l'ultima volta e commuoversi ancora. 
Io, fan dei Queen da quando ero bambina, ringrazio Rami Malek per avermi fatto abbracciare un eroe che non ho fatto nemmeno in tempo a conoscere, ma del quale echeggiano le gesta anche nei deserti più aridi, perché la grandezza non muore. Mai.
lo stesso attore dopo questo ruolo non sarà mai dimenticato, come il film che si è conquistato a fatica, ma vincendo.
Presto, ma veramente presto, avrete la recensione sul nostro canale, Nerdflics!


giovedì 6 dicembre 2018

REVOLVER Pasìon Rebelde, di Aura Conte e Connie Furnari



REVOLVER Pasìon Rebelde 
di Aura Conte e Connie Furnari
Disponibile su Amazon/Kindle Unlimited: http://mybook.to/RevolverPasionRebelde
Numero di pagine (reali): 258.
Prezzo: 0.99 Cents
Genere: Dark Romance
Romanzo autoconclusivo in volume unico

Trama: Due innamorati segnati dalle stelle, non possono sfuggire al loro destino. Antonio è un ribelle scapestrato, ansioso di vivere la sua vita, ma tormentato dal proprio passato: lui è l’unico figlio maschio di Rafael Guerrera, el Jaguar, l’uomo che ha conquistato Miami e ha costruito un impero, dopo la sua ascesa nel mondo della criminalità organizzata.
La fama del padre è un peso troppo grande da sopportare, soprattutto perché la lotta contro i Gonzales, nemici giurati del clan Guerrera, non è ancora finita.
Teresa Gonzales, bella e determinata, è un’anima dannata e perduta, decisa a vendicare la morte della madre, avvenuta sotto ai suoi occhi quando era soltanto una bambina, a opera del clan avversario.
L’incontro tra Antonio e Teresa è esplosivo, due anime ribelli destinate da sempre a incontrarsi. La passione sfocia in un turbine di amore, violenza e morte.
La loro, è una storia d’amore impossibile, ostacolata dall’odio fra le rispettive famiglie e dal loro passato, che entrambi non possono dimenticare.
Miami si tinge ancora una volta di eros e sangue.

REVOLVER Pasìon Rebelde è un Romance autoconclusivo, slegato dalla saga Pecador (scritta da Aura Conte e Connie Furnari a partire dall’Aprile 2017), e può essere letto come volume unico, anche senza aver seguito la serie principale.
È ispirato a Romeo e Giulietta, come Pecador, in chiave moderna, conservando comunque la passione e il romanticismo.
Il punto di vista di Teresa è descritto da Aura Conte.
Il punto di vista di Antonio è descritto da Connie Furnari.

PECADOR comprende:
– Pecador Flor de Cuba (Aprile 2017)
– Pecador Amor y Muerte (Marzo 2018)

Gli Spin Off (indipendenti dalla saga, volumi unici)
– JAGUAR (Maggio 2017)
– DAMAGED (Maggio 2017)

– REVOLVER Pasìon Rebelde (Novembre 2018)





Estratto (Antonio):
Stavamo provando le stesse emozioni, la stessa paura per il nostro futuro. Teresa mi voltò le spalle, sospirando con tristezza.
La raggiunsi e la feci voltare, tirandola a me. La baciai, senza darle neppure il tempo di reagire.
Appena le nostre bocche si incontrarono, accadde tutto in modo automatico, come se fossimo due fiamme destinate a ricongiungersi.
Era così che mi sentivo, ogni volta che ero assieme a lei: un fuoco incandescente, che crepitava. Non avrei rinunciato a quella sensazione per nessun motivo al mondo, per la prima volta mi sentivo vivo.
Me ne fregavo di chi fossimo, dell’odio fra le nostre famiglie, della vendetta, di tutto quel lercio mondo che ci circondava. Dell’Inferno in cui eravamo cresciuti.
Io la amavo, più della mia stessa vita. E glielo dovevo dire.
«Ti amo» le sussurrai, piano.
Le chiusi ancora una volta la bocca con un lungo bacio, facendole sentire che era mia, e che nulla avrebbe cambiato ciò che provavamo l’uno per l’altra.

mercoledì 5 dicembre 2018

"Lei" e un amore al limite dell'immaginazione



Questa è una bellissima storia d'amore. Tra un uomo e il suo sistema operativo.
No, ragazze: non è la solita barzelletta trita e ritrita dell'uomo che parla più con Siri che con voi, è proprio il film che sto cercando di recensire, per cui andiamo avanti.
Theodore Twombly è un triste e solo cittadino di una Los Angeles futuristica, in cui è possibile acquistare un sistema operativo, l'OS 1, provvisto di un' intelligenza artificiale capace di progredire man mano che conosce il suo proprietario. È così che Theodore resta affascinato dalla sua Samantha, nome che sarà lei stessa a scegliersi. La donna in questione sembra portare un bagliore di luce nella triste vita di questo solitario, il cui lavoro è scrivere lettere d'amore per gli altri. Tuttavia la vicenda si trascina inevitabilmente dietro una sorta di domande e ostacoli che possono avvicinare due persone o allontanarle per sempre. Quale sarà la loro strada?

La pellicola salta all'occhio per il suo fare pittoresco: è ricca di memorie, d'immagini, come se ogni scena fosse una foto ben precisa da tenere a mente e riporre in un album; spesso è proprio l'inquadratura ravvicinata su un dettaglio ad esprimere lo stato d'animo del protagonista. Si alternano scene di calore, coperte e giochi ad altre in cui la sensazione di essere un'isola è estremizzata dall'abitazione del protagonista: un appartamento ultramoderno dalle cui vetrate può osservare dall'alto in basso l'intera città senza tuttavia sentirsi parte della stessa.
La faccenda è complicata. Molto molto complicata e il film spicca per raffinata delicatezza e soprattutto ringrazio perché non ha lanciato il solito messaggio: "Le macchine non hanno un cuore, ci uccideranno tutti" ma ha posto un quesito molto più grave e nel contempo da soppesare: "Come può amare una macchina? Come un essere corporeo o il suo amore è così mentale da superare le barriere fisiche degli umani?"
Potremmo ridurre l'intera questione al fatto che il nostro Theo sia un'immaturo che preferisce avere la donna perfetta che gli dica qualcosa di perfetto, ma è davvero così infantile riuscire ad amare una creatura addirittura sprovvista di corpo, chiedendosi ogni giorno se lei stessa sia vera in quello che prova, che dice, che pensa? In definitiva quello che c'è tra i due è un effettivo "amore per il diverso" o l'ennesima moda, come un gadget che sfrutti e poi butti via?
A rimarcare i dubbi dell'uomo su qualcosa di fasullo ci si mette anche la sua migliore amica Amy, che gli racconta della sua spiccata e complice amicizia con un altra OS 1: fanno amicizia con noi e ci compiacciono solo perché sono programmati per farlo?
Tuttavia è l'intelligenza artificiale a lanciare il messaggio più sorprendente; la diffidenza degli esseri umani riguardo qualcosa che non capiscono non è niente di nuovo. La domanda vera è: come può sviluppare amore una macchina e quanto quell'amore può progredire in maniera prettamente mentale? Diventando cosa?
Il vero essere limitato è la macchina o l'uomo? Dovremmo stare attenti al confronto, potremmo rischiare di far brutta figura.

"La casa di carta" recensione semiseria (SPOILER TOTALI prima e seconda parte)



Otto disgraziati che indossando maschere di Dalì cercano di assediare la Zecca di Madrid, per produrre soldi da portare a casa propria. Buttata lì così sembra più una barzelletta, invece stiamo parlando di una serie tv che ha fatto molto parlare di sé e lo farà ancora, perché la terza stagione uscirà nel 2019. Voi la state aspettando?

"La casa di carta" è una serie televisiva spagnola, le cui puntate in versione originale presentano una lunghezza di 70-75 minuti, mentre nella versione per "Netflix" si è scelto di stringere gli episodi facendoli da 40-60 minuti, pertanto la serie e divisa in parte 1 e parte 2. Quindi in Spagna quante sono le serie effettive? Credo una o tutte quelle che volete, non penso di averlo capito.
Gli otto disgraziati compiono il loro colpo sotto la guida di un personaggio chiamato "Il Professore", che sembra sapere quello che fa... finché gran parte dei suoi intenti puri non va in frantumi. Credo che neanche facendo un cocktail tra Tokio e Berlino si riesca a raggiungere il suo stesso equivalente di sviste e questioni imbarazzanti; e sì che i due sembravano usciti da uno spettacolo comico.
I rapinatori, sotto questa impeccabile guida assumono nomi di città per nascondere agli altri i propri (ma praticamente andranno a presentarsi tutti o la polizia scoprirà alcune loro identità), per andare a chiamarsi Tokio (la narratrice), Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Oslo ed Helsinki. I luoghi che gli otto si sono scelti, rispecchiano i loro caratteri in maniera cristallina.
Non sarà una rapina semplice, perché l'ispettrice Raquel Murillo non avrà alcuna intenzione di dar loro un attimo di tregua (beh insomma...).
Non aspettatevi coerenza negli atteggiamenti manipolatori.
C'è un motivo molto serio per cui faccio questa precisazione. La critica più forte mossa alla serie è quella delle dinamiche malate veicolate in maniera naturale, come se niente fosse. Il punto è molto più  a monte, perché lo stesso presupposto di partenza del colpo è manipolatorio: entrano, stampano tante banconote, non feriscono ostaggi, escono e passano da grandi eroi. È così che il Professore intende far rapinare la Zecca, facendo di tutto perché la pubblica opinione pensi che sono un gruppo di persone dal cuore nobile...ma SONO RAPINATORI. Ra-pi-na-to-ri.
Lo stesso intonare prettamente a casaccio "Bella ciao", che parla del combattere l'invasore quando comunque sono loro che hanno fatto un'irruzione, ha intenti chiaramente manipolatori: loro pensano o vogliono far intendere di essere la resistenza al sistema corrotto (vedi discorso del Professore quando afferma che il denaro è solo carta e la Banca centrale stampa banconote in più quando servono, perché loro no?). Insomma sono eroici ebbasta. Legale o illegale non importa.
Anche lo stesso utilizzo delle maschere per cui rapinatori e ostaggi si confondono tra loro, è sì un espediente narrativo interessante, ma ci indirizza verso l'interpretazione delle vicende: sarà tutto molto confuso e difficile da districare e la cosa sarà perfettamente voluta.
Si vuole creare caos, sconvolgere la visione del mondo e portarci a riflettere sul senso del bene e del male. Secondo me ci sono riusciti.
Dal momento in cui assistiamo a "La casa di carta" sappiamo già che il contesto è tortuoso e  che le persone hanno un modo tutto loro d'intendere le questioni.
Raquel  Murillo
All'interno di questa serie ci sono parecchi individui dalla personalità aggressivo/manipolatoria e sembra che il concetto cada un po' nel vuoto, perché le vittime non sono sempre coscienti di esserlo e i carnefici uguale.
La stessa Raquel (Itziar Ituño) è così ripetutamente vitttima di abusi che non li conta più. Prima aggredita dall'ex marito che è un violento, poi deve subire lo stalking del collega e, quando sembra incontrare un uomo sano, Salvador, viene raggirata anche in quel caso e resta un dubbio nel finale: come fa Raquel a perdonare gli intrighi del Professore e far passare che vada tutto bene nonostante abbia perso anche il lavoro per colpa sua? Io credo che il messaggio di fondo sia molto sottile: una vittima di violenza è predisposta a ricaderci ancora se non sta attenta e paradossalmente i sotterfugi del Professore le sembravano meno gravi di tutto il resto. Ma lo sono? Lui è sincero nei suoi confronti? La loro stessa storia ci viene servita come qualcosa che a lui è sfuggito di mano, perché non ha mai avuto relazioni e allora si è davvero innamorato. Può essere davvero così ingenuo e il passato cancellato via da parte di lei come un movimento di cancellino su una lavagna? Oppure abbiamo a che fare con un narcisista covert (se continuate a leggere ci sarà una spiegazione del termine)?
La relazione di Berlino e Ariadna sicuramente non si può definire tale. È un rapporto in cui lei si lascia sfruttare affinché tutto finisca presto e, già che cova rancore nei suoi confronti, vuole una parte dei suoi soldi. L'atteggiamento della donna nei riguardi del suo predatore, più che ambiguo è rancoroso, la dinamica è molto più chiara rispetto a quanto non sembri. Non è che lei lo asseconda, lei vuole assicurarsi la propria sopravvivenza ma comunque è molto più ingenua e umana di lui.
Poi c'è un legame più complicato, ovvero la sindrome di Stoccolma che colpisce Monica quando Denver prima le spara a una gamba e poi la cura... oppure no? Nonostante il ragazzo sia in buona fede, cosa ci assicura che ormai non sia troppo tardi e in lei sia scattato proprio questo switch mentale, per cui pensa di amarlo? Sindrome o no, penso che la vedremo presentarsi come Stoccolma prossimamente, per cui lo scopriremo.
Ci sono anche altri temi che scaldano gli animi, come la svalutazione della donna in ambito lavorativo e in famiglia, ma questa serie non è a scopo educativo e non sembra costruita per insegnare la strada giusta all'umanità; piuttosto rivela certe carenze della società e degli individui e lo fa in maniera ambigua e da interpretare. Anche perché vorrei vedere cosa c'è di educativo nell'assaltare la Zecca e mettersi a stampare soldi da portare a casa con la carriola...
Se siete appassionati di psicologia, vi assicuro che resterete incollati al computer durante le puntate per scovare i vari disturbi dei personaggi, che a me non sembrano affatto piazzati a caso. Se prediligete le serie action, non avrete molto pane per i vostri denti a parte rare eccezioni, non è lì che si concentra il focus.
Tokio
I punti di forza della serie sono la rapidità e l'introspettività. Le questioni vengono analizzate dalla particolare sensibilità della nostra "cantastorie": (che prende vita grazie a Úrsula Corberó) ella andrà ad illuminare anche sotto le porte pur di raccontare perfettamente cosa accade. La caotica Tokio è particolarmente sfacciata e senza mezzi termini ci svela i segreti, le mezze verità, si lascia dietro il superfluo e mira all'essenza del cuore delle persone, in parte condanna e in parte assolve le azioni altrui a seconda di quanto siano vere e incentrate verso il bene. La stessa scelta di un "io narrante" femminile accentua la propensione di voler presentare al pubblico una storia dai connotati più umani che action. Paradossalmente nel contempo è la stessa Tokio a dominare con scene d'azione un tantino sopra le righe per il suo personaggio. Ok essere spericolata, fare fughe esagerate, essere una tipa tosta, impulsiva (MA POCO EH?!), saper usare qualsiasi tipo di arma e tutto quello che vuoi, ma davvero sei in grado di risalire le scalinate della zecca impennando in moto, roba che neanche uno stuntman?!
Nonostante sia innocua quanto una bomba innescata in un centro commerciale di domenica, con i saldi, non ha secondi fini. Ogni colpo di testa che ha, avviene perché lotta per una vita migliore e contro la prepotenza... non è vero Berlino?
Berlino
Se nelle prime battute può sembrare un capo un po' freddo ed esibizionista (dirige le operazioni interne per conto del Professore), diciamo che i guai non sono tutti lì, perché abbiamo di fronte un vero e proprio narcisista, ovvero ha un disturbo della personalità (se volete saperne di più cliccate qui, che ho trovato un'analisi molto interessante). È la stessa cartella clinica rinvenuta dalla polizia ad affermarlo. Il che, per chi non avesse intenzione di leggere l'altro articolo linkato, indica una persona  che ha subito in genere traumi affettivi durante l'infanzia, che in età adulta diviene fortemente incentrata su se stessa tanto da ridurre le interazioni umane a un mero gioco di manipolazioni e sfruttamento. Un narcisista è incapace di provare emozioni di attaccamento vere e proprie ed empatia, perlopiù è capace solo di rabbia e invidia, che manifesta rovinando subdolamente la vita di chi ha attorno, sminuendo, mortificando e sviando la verità in maniera tale che alla fine il disturbo di personalità sembrano gli altri ad averlo.
Molto meglio incontrare certi elementi in una serie tv che in giro, ma devo ammettere che Berlino in questo contesto funziona, altro se funziona! Soprattutto gli abbiamo a fatica trovato un lato positivo, ovvero la capacità di avere del sangue freddo in situazioni emotivamente insostenibili e una spiccata abilità per il teatro, a vedere da come recita la parte del povero disgraziato quando lo intervista la polizia. Ovviamente anche la sua morte doveva essere una splendida recita stile musical in cui l'eroe si sacrifica per tutti, altrimenti non era contento. Si sarebbe sacrificato ugualmente, così egocentrico, se non avesse avuto una malattia degenerativa che lo avrebbe ucciso entro l'anno? Non vi resta che chiederlo alla povera Ariadna, che voleva ereditare tutti i suoi soldi come risarcimento alle violenze sessuali e psicologiche subite e per poco non viene sacrificata con lui...
Ad ogni modo l'interpretazione di Pedro Alonso è magistrale e stratosferica. Non è da tutti restituire in maniera efficace una personalità così complessa e sfaccettata. 
Mosca
Basilare seppur molto silenzioso, è il ruolo di Mosca (interpretato da Paco Tous), che funge da collante/coscienza dell'intera squadra, nonché da babysitter per i più indisciplinati (vero Denver e Tokio?). L'uomo è ossessionato da continui rimorsi per aver trascinato il figlio (Denver) all'interno di questo qualcosa più grande di loro. Avrebbe voluto vivere una vita onesta e spera di raggiungere il suo traguardo... tutto molto bello se non fosse costretto a prendersi tre pallottole nello stomaco proprio sul finale, solo perché Tokio ha bisogno di rientrare in scena saltellando con la moto della polizia. Ci doveva pur essere qualcuno disposto ad uscire a sparare per coprire questo ritorno trionfale!
Denver
Egli stesso con la sua dipartita costituisce uno dei grandi picchi emotivi della serie: negli ultimi istanti di vita, invece della figura di Tokio al suo capezzale, rivede la moglie tossicodipendente che aveva abbandonato molti anni prima e chiede redenzione. Ironia della sorte la ragazza, capendo e non capendo l'allucinazione e a chi stesse parlando esattamente, si cala nel ruolo e concede questo perdono, ripensando a tutti i rimproveri ricevuti proprio dallo stesso uomo nei mesi precedenti alla rapina e durante. Il rapporto Tokio e Mosca è conflittuale fino alla fine ma c'è il riavvicinamento finale, perché in fin dei conti lei ha sempre desiderato un padre come lui, capace anche talvolta di dire cose molto dure ma giuste.
Denver (che prende vita grazie a Jaime Menéndez Lorente) ci viene presentato come una sorta di vulcano pronto ad esplodere già nella prima puntata, un casinista di prima categoria nonché uno sbandato... e sbandato lo è, ma a parte l'assurda love story con Monica Gaztambide non combina niente di niente, anzi scongiura anche l'aborto della donna. Praticamente tutto ciò che mi aspettavo da lui alla fine lo ha fatto Tokio e viceversa, ma non ci lamentiamo dai. La parte più grave è quella della relazione: ok l'ha convinta a tenere il bambino, ok le ha risparmiato la vita, ma davvero può nascere un amore serio in così poco tempo, dal momento in cui il colpo dura pochi giorni?
Rio
Rio è semplicemente adorabile, se volete vederlo più spavaldo, potreste cominciare a seguire "Élite"(c'è anche Denver nella stessa serie), in cui l'attore promette molto bene. Interpretato da Miguel Herrán, sembra uscito da una scatola di Baci Perugina e va subito a conquistare il cuore di Tokio, freddo per colpa della morte del suo ex durante una rapina, morte di cui la donna si sente responsabile. Potrebbe essere un cucciolo di panda per la sua ingenuità, se solo la questione non fosse un pochino estremizzata: ok che in precedenza era un hacker e non un vero e proprio rapinatore, ma vogliamo trattarlo come un bambino di cinque anni o come un uomo che ha deciso come tutti gli altri di andare ad assaltare la Zecca? C'è sempre un trattamento di favore per questo "ragazzotto" che sembra un cagnolino abbandonato, più che un individuo adulto e questo si ricollega sempre al discorso di presentare la verità impacchettata in un certo modo.
Nairobi (Alba Flores) sembra l'unica ad aver capito il motivo per cui hanno fatto irruzione all'interno della Zecca: stampare soldi. Era un'azione così lineare e logica che né Berlino con la sua sete di potere, né Tokio con le sue ribellioni verso di lui, né Rio con i suoi struggimenti, né Denver col suo amore da soap opera seguito dal padre che lo ammonisce, avevano pensato. Certo, d'altronde chi mai si metterebbe a realizzare il proprio obiettivo quando ci sono gli ostaggi da terrorizzare, donne da stuprare, compagni con cui litigare e fare pace.
Nairobi
Troppe distrazioni, rischiava di diventare tutto un luna park, invece lei contrariamente a tutte le aspettative (e non erano molte, dal momento che ha lasciato solo il figlioletto piccolo per prendere una pasticca dallo spacciatore) si è messa a lavorare a ritmo costante e senza lasciarsi deviare. Ovviamente aiutata dagli ostaggi, i compagni erano occupati a dare spettacolo. Emerge prepotentemente come figura femminile perché finalmente c'è qualcuno che riesce a mitigare Berlino o quantomeno a zittirlo senza che lui faccia troppi danni. L'intervento di Nairobi a un certo punto sembra la mano del destino che vuole salvare l'umanità caduta in disgrazia e noi gliene siamo grati, perché da lei è uscito fuori un personaggio sorprendentemente positivo.
Oslo                 Helsinki 
Vorrei dirvi qualcosa di più su Oslo (Roberto García) ed Helsinki (Darko Peric) ma non sono personaggi molto rilevanti. Vengono approfonditi alquanto superficialmente e si sa soltanto che sono amici, che hanno combattuto insieme, che Helsinki è gay e Oslo muore in una maniera poco più umana di quella di Khal Drogo su Game of Thrones. Non attirano particolarmente l'attenzione, sembrano più braccia messe a rinforzo dell'intera operazione, come se a fare il resto dovesse pensarci qualcun altro.
Arturo lo nomino perché è l'unico ostaggio che tutti vorrebbero morto ma il miracolo non avviene mai. Il signore è il direttore della Zecca di Stato e riesce ad essere peggiore dei rapinatori. Intanto prima del furto e di Denver, Monica era la sua amante e stava per convincerla ad abortire, poi invece di fare l'ostaggio e basta s'improvvisa Chuck Norris e tenta circa seicento imprese disperate che richiederanno anche rischi notevoli da parte degli altri sequestrati che volevano solo continuare a vivere qualche anno di più. Invece non trova pace, credo si sia svegliato improvvisamente poliziotto.
Ma veniamo al pezzo forte: Il Professore.
Egli è la mente che muove il tutto. Calcolatore, preparato, minuzioso, raccatta tutti i tasselli del suo puzzle e li istruisce e plasma fino al momento del colpo. Lui ha previsto ogni mossa, è sempre un passo avanti alla polizia, eppure è una figura poco chiara.
L'idea del colpo proviene da una storia alquanto strappalacrime: era un bambino sempre malato e il padre è morto in una delle rapine che faceva per sostenere le spese ospedaliere. L'idea dell'anno la ruba proprio a suo padre e con fervore s'impegna a metterla in atto con corpo ed anima.
Innanzitutto chi è Berlino per lui? È l'unico che piange per la sua morte e lo chiama fratello. Tuttavia, se il nome di Berlino è Andrés de Fonollosa e il Professore si chiama Sergio Marquina, come farebbero ad essere realmente imparentati? Suppongo a questo punto che o uscirà fuori qualche notizia in futuro o questo legame sia da intendere come un'amicizia di quelle indissolubili. Notare bene che il Professore è l'unico che piange per la morte di Berlino. Nemmeno sua madre ha versato tante lacrime.
In quanto alla relazione con Raquel, possiamo pensare che lui abbia semplicemente sbagliato strada sempre e che volesse fare sempre la cosa giusta ma poi così non è andata? Lui voleva solo incontrarla e informarsi riguardo le mosse della polizia ma non innamorarsi di lei?
Forse. Probabilmente la sua personalità è ancor più complessa e oscura di quella di suo fratello, ben più prevedibile. Questa patina d'innocenza che lo riveste sempre e comunque è molto sospetta, fino all'ultima scena in cui con Raquel sembra ripartire da capo: con un caricabatterie. Cosa insinuerà quella scena? Che adesso c'è una nuova vita basata su rispetto e sincerità o che ricomincia il circolo di bugie?
Se c'è una cosa che abbiamo capito, è che "La casa di carta" non è una semplice serie in cui si spara e risolto il furto. Ci sono molte implicazioni psicologiche al suo interno, molti significati da capire e studiare. Per questo l'ho amata nonostante l'amore lampo di Denver, nonostante Tokio motociclista e nonostante le incongruenze. È un fantastico rompicapo... e io amo le cose complicate.

sabato 24 novembre 2018

"La Forma della Voce" rende le parole superflue


La comunicazione è essenziale per gli esseri umani; spesso tutti quanti riempiamo il tempo e i luoghi di parole. La chiave dei rapporti è quella di parlare, parlare e ancora parlare. 
Ma se non si avesse la possibilità di esprimere ciò che si prova mediante la voce, cosa potrebbe accadere? Ce lo racconta "La Forma della Voce", che esplora la dinamica della diversità in modo semplice e complicato nel contempo; o meglio ciò che la pellicola lascia intuire è che se un ostacolo è insormontabile o meno, dipende da tutti.
Se una ragazzina sordomuta viene introdotta in tenera età in un contesto in cui non può comunicare in modo ottimale, ci sono due scelte: rendere il contesto ottimale o creare una scusa per ingigantire il disagio e renderlo un colossale problema.
In questa storia tanti personaggi si trovano un alibi per continuare a perpetrare bullismo, altri semplicemente decidono di far finta di non esserci mai stati, di essere spettatori passivi della violenza, che praticamente fa lo stesso. 
Shoko Nishimiyafa il suo ingresso a scuola come tanti, ma non avrà lo stesso trattamento: viene subito presa di mira perché è sordomuta e diventa vittima prima di dispetti quasi innocenti, poi di atti di violenza sempre più gravi. Shoya Ishida è il suo primo persecutore, il ragazzo che renderà per lei un inferno le scuole elementari.
Il destino (che è stato anche un po' aiutato) riporterà l'uno nella nella vita dell'altro. Ishida avrà la possibilità di cambiare o perlomeno di ricevere il perdono? La vita di Nishimiya avrà una chance per migliorare o resterà sempre un 'introversa incompresa?
"La Forma della Voce" ha un buon punto di partenza: molto incisive le scene del passato e vengono affrontate tematiche molto importanti; tuttavia sembra che esse siano sviscerate con la voglia di parlare proprio di tutto tutto, ma ovviamente viene a mancare il tempo necessario, per cui ci sono punti costretti per forza di cose a restare più in superficie. Lo stesso avviene per quanto riguarda i personaggi: i due protagonisti sono approfonditi in maniera buona, anche se le loro famiglie restano un punto interrogativo bello grosso, come anche molti loro amici che sembrano più un'insalata da contorno, che individui con un carattere vero e rintracciabile. Un po' come se ci fosse mancanza di gente e avessero riempito la scena piazzando qualche comparsa solo per annuire e piagnucolare. Pochi della loro compagnia giungono ad avere una caratterizzazione che sia in  negativo o in positivo.
Il messaggio arriva tuttavia forte e chiaro: il bullismo ha delle conseguenze serie e un'impatto devastante sulla vita di chi lo subisce. La storia viene estremizzata fino al dramma per conoscere bene le conseguenze di simili atti che non sono utili, non fanno ridere, sono semplicemente scorretti e non  rispettosi della dignità altrui e si deve far di tutto per stroncarli in partenza, alla radice, in maniera immediata.
La mancanza più palese nei ragazzini della scuola è proprio quella dell'empatia: ciascuno sembra intento ad ascoltare e tirare avanti esclusivamente il proprio discorso. Di muta ce ne sarà una sola, ma di sordi ce ne sono tanti.
Siete curiosi di saperne di più? Presto uscirà la video-recensione sul canale Nerdflics!

giovedì 22 novembre 2018

(SPOILER) Errori cronologici all'interno de "I crimini di Grindelwald"... o forse no?


Questa non è una recensione, è più che altro un richiamo per i Potterhead, ai quali (o perlomeno ai più attenti) non sono sfuggite certe inesattezze diciamo cronologiche nella trama di questo secondo capitolo della saga "Animali Fantastici".
Il film ha grandi effetti scenici, davvero un buon cast di cui sicuramente non ci si lamenta, anche perché stiamo parlando di Eddie Redmayne, Johnny Depp, Jude Law e tanti altri nomi altisonanti che hanno impreziosito la pellicola. Il punto, ovvero ciò che ci preme capire è: ma la Rowling cosa ha combinato esattamente?
Ci sono elementi che ci lasciano un po' disorientati, come questa storia d'amore appassionante tra Queenie e Jacob che all'improvviso va a spappolarsi come un cono gelato sciolto, perché lei si mette in testa di seguire Grindelwald. Questa dolce caramella di donna che all'improvviso fa incantesimi per raggirare il suo uomo e costringerlo a sposarla eccetera eccetera. Ok che forse non si aveva poi così molto tempo e che il discorso del villain per Queenie poteva essere anche utile (insomma lui la intende più che puoi comprarlo come schiavo il babbano invece di sposarlo, ma lei sembra non capire questa SOTTILE differenza), così però è affetta da disturbi di personalità. Parte dal "potremmo almeno ascoltare un pochino" per arrivare al "fanculo Jacob, vado con lui" e ok che Johnny Depp è Johnny Depp, ma su cosa esattamente si è retta la storia d'amore fino ad ora?
Se questo era di per sé disorientate, restate accesi, perché ora arrivano le date.
Partiamo dal presupposto di base che il film è ambientato nel 1927. Cosa ci fa la Mc Granitt che scorrazza urlando dietro a Leta Lestrange nel 1927, dal momento in cui la professoressa è nata il 4 ottobre del 1935 e fa il suo ingresso ad Hogwarts come insegnante solamente nel 1956?
La parte più grave tuttavia non riguarda la cara Minerva, perché la strega presente nel film potrebbe anche essere un'antenata, ma così identica a lei persino negli atteggiamenti?
Cercando di non essere pignoli potremmo gentilmente chiudere un occhio, ma dove voglio portarvi ci toccherà chiuderli tutti e due o peggio, diventare completamente ciechi. Oppure dovremmo pensare che Grindelwald sia un grande bugiardo e burlone e si diverta a raccontare cavolate di continuo, però che facciamo, continuiamo a guardare ore di film in cui il cattivo alla fine fa "ragazzi, scherzavo anche stavolta"?
Ok, un respiro profondo e torniamo alla data della pellicola: 1927. Facciamo che Credence sia davvero questo fantomatico Aurelius Silente, scambiato nella culla con Corvus Lestrange (gli altri fratelli Silente, al momento dello scambio dove si trovavano?) e già questo fa pensare a quanto sembri stupida Leta Lestrange nel non riconoscere il fratellino. Lo appoggi insieme a un altro bambino, vuoi prenderti almeno un secondo per guardarlo in faccia e controllare se è lui, quando lo recuperi?
Di questo fantomatico Aurelis Silente non si parla mai da nessuna parte. Fino a che non lo nomina Grindelwald, per noi i fratelli Silente sono tre: Albus, Aberforth e Ariana.
Detto questo, è quindi fondamentale partire dal presupposto che CORVUS E AURELIUS SONO COETANEI, altrimenti sarebbe stato impossibile confonderli, giusto?
Ma per essere coetaneo del piccolo Lestrange, quando dovrebbe essere nato esattamente Aurelius?
Ariana nasce nel 1885 e ha delle difficoltà a controllare la magia. Viene scoperta e aggredita da tre babbani quando ha sei anni e suo padre per difenderla li attacca e finisce ad Azkaban, nel 1891, dove vivrà fino alla morte.
La ragazzina crescendo, avrà una crisi di rabbia verso i quattordici anni e ucciderà la madre, nel 1899. Il fantomatico Aurelius, per essere un Silente a tutti gli effetti, sarebbe stato concepito prima del '91, ovvero prima che il padre finisse in prigione.
Leta nasce invece nel 1897 ed è la sorella maggiore di Corvus, che nel contempo dovrebbe essere coetaneo di Aurelius, ma per essere coetaneo di Aurelius sarebbe dovuto nascere prima di Leta, perciò non può essere suo fratello minore allo stesso tempo.
Corvus e Aurelius, se volessimo rispettare anche la distanza di età tra i due Lestrange (Leta sembra più grande di suo fratello di una decina di anni), si porterebbero circa una ventina d'anni di differenza.
Come vogliamo risolverla quindi? Che il quarto Silente sia un'altra delle burle di Grindelwald?
Non ci resta che aspettare il terzo capitolo, sperando di non avere brutte sorprese.
Mi raccomando per la recensione in due parti (prima senza spoiler e poi con spoiler) continuate a seguire il canale NERDFLICS


mercoledì 14 novembre 2018

"First Man", quando la Luna costa cara

La Luna è la prima musa nella storia dell'uomo. 
I poeti le dedicano canti, gli innamorati si scambiano giuramenti sotto la sua fioca luce, ma nessuno aveva mai osato andare fino a Lei per agguantarla e farla propria.
Neil Armostrong fu il primo ad accarezzare la sua bellezza, a farsela amica e a osservare da vicino il suo spettrale candore. Della sua avventura conosciamo solo un discorso breve e pochi frame di una bandiera posta lì a dire: "Finalmente siamo arrivati".
Tuttavia cos'altro sappiamo del primo uomo, noto al mondo solamente per le sue gesta e per essere una persona riservata, che non dà molta confidenza?
"First Man" è la pellicola che risponderà al resto delle vostre domande e farà luce sulla storia dell'essere umano, non dell'eroe. Il film ci racconta di Armostrong nelle sue gioie, nei dispiaceri e nei pensieri, fissandone l'essenza. Ci restituisce uno spaccato molto fedele di una personalità particolare, non per tutti, frammentata dai feroci lutti che si sono susseguiti nel tempo.
Questo non è un film sulla grandezza, ma sui tanti gesti di coraggio e sacrifici che portano ad ottenerla. La narrazione ci mostra una via molto dolorosa per giungere alla gloria, una strada che sicuramente non è per molti e che porta a una solitudine pressoché assoluta. Non ci mostra le luci della ribalta ma l'esatto contrario.
È un film molto particolare, noi l'abbiamo apprezzato nonostante alcuni nei. Mi raccomando seguite il canale Nerdflics perché presto uscirà la recensione! 

venerdì 2 novembre 2018

Mi raccomando: non mettete piede a Hill House!



Se cercate una serie tv horror sicuramente non vi perderete questa, che vi toglierà anni di vita, sta a voi se interpretarlo positivamente o meno. La sua visione personalmente mi ha lasciata entusiasta.
Basata sul romanzo del 1959 "L'incubo di Hill House" di Shirley Jackson, narra le vicende di una casa in cui sembra sicuramente risiedere il male, e degli spensierati malcapitati che scambiano quel covo di morte per un nido in cui vivere spensieratamente. I coniugi Crain si stabiliscono lì insieme ai figli al fine di ristrutturare l'edificio per poi trasferirsi, ma non è così semplice lasciarsi una casa del genere alle spalle, specie se prima ti rovina l'esistenza.
La struttura è maligna e piena di fantasmi, ma tuttavia non sono loro i protagonisti di questa storia; ci affezioniamo alla famiglia, conosciamo uno ad uno i personaggi che sono ben caratterizzati e soffriamo personalmente insieme a loro.
In questo lavoro, l'essere umano non è classificato come la solita carne da macello stile horror, ma è valorizzato presentando i suoi pregi, i difetti, le debolezze e le paure. Ciascuno dei Crain si lascia vivere dallo spettatore, così che chi guarda non è più passivo alla scena, ma sperimenta il dolore fisico e mentale sulla propria pelle.
A "Hill House" non basta semplicemente spaventarci; ci uccide dentro. Sgretola tutte le nostre certezze, ci rende deboli, pieni di terrore e col cuore sanguinante. Non mancano i colpi di scena da ficcare le unghie nel braccio di qualcuno, ma il punto di forza vero di questa storia è come ti trivella il fegato, come ti fagocita per intero portandoti a pensare alla tua storia personale, a rimuginare su ciò che di veramente brutto ti è accaduto. Quella casa, che tu lo voglia o meno, appena ti approcci alla visione, uccide anche un pezzo di te. Qui non si tratta di terrore semplice, ma di una vera e logorante agonia, un lento trascinarsi verso il baratro più totale, per poi buttarsi giù senza guardare.
La narrazione si svolge a cavallo tra un passato lontano e un presente ancor più catastrofico; il cast è spettacolare: anche gli attori bambini sono perfetti nel loro ruolo e si sincronizzano in maniera impeccabile con la propria controparte adulta.
Nulla qui è lasciato a caso dal punto di vista della regia, che gioca molto sulle inquadrature e sui dettagli vividi, definiti.
Questa serie tv è come un piccolo regalo per gli amanti dell'horror e non solo. È preziosa e accattivante, non vi lascerà distogliere l'attenzione. Non ve lo permetterà.
Avrei ancora molto da dire al riguardo, ma ho cercato di tenermi alla larga dall'anticiparvi finale e co. Se volete saperne di più iscrivetevi al canale Nerdflics e continuate a seguirci, perché presto uscirà una recensione molto più dettagliata, sia spoiler che non!

lunedì 15 ottobre 2018

"Maniac". Dove finisce il delirio e comincia la realtà?


Tra una pasticca e un delirio, con "Maniac" assisteremo a cose che non potevamo assolutamente immaginare! Considerando che tal serie è sulla bocca di tutti -chissà se lo sguardo da gatta di Emma Stone ha influenzato la visione di alcuni...mistero- non potevo mancare io con la mia superflua opinione.
Composta da dieci puntate, è il remake di una serie omonima norvegese. Ideata da Cary Fukunaga e Patrick Somerville, presenta una prima puntata che sembra totalmente slegata dal resto stilisticamente, ma di fatto non riscontrerete mai un'unità da quel punto di vista, quanto piuttosto un mosaico confuso sia per quanto riguarda i periodi storici che i generi: passato, presente e futuro si alternano senza un ordine ben preciso a seconda delle fantasie e traumi dei protagonisti, che possono diventare futuristici, noir, anni '80 e addirittura fantasy. Lo stesso presente in cui si svolge la storia suggerisce un'epoca bizzarra, come se gli stessi anni '80 si fossero evoluti in modo inaspettato dal lato tecnologico ma il design fosse rimasto pressappoco quello -il genere è definito ucronia o storia alternativa-, tanto che i contrasti di luci sono gli stessi e i loghi principali sembrano rimandare a quello della IBM. Gli stessi protagonisti non danno l'idea di provenire dallo stesso tempo.
Vi assicuro che non è "Black Mirror" : qui non si tratta di un futuro distopico e delirante in cui abbiamo oltrepassato il limite; qui a delirare è qualcun altro. Anzi, qui la tecnologia se possibile ci fa anche un po' pena...
Ma di cosa parla nello specifico "Maniac"? 
Dei volontari con dei disturbi psicologici/psichiatrici prendono parte a un esperimento che ha a che fare con un'apparecchiatura a microonde collegata a un grande computer, che rielaborerà i dati dei cervelli di queste persone, che testeranno tre farmaci: la pasticca A, B e C. Qui s'incontrano Annie e Owen, che sviluppano un legame molto particolare ed empatico, non convenzionale e al di fuori anche dall'amicizia e dall'amore. Che sia una via di mezzo? Può darsi.
Questa serie tv mi spacca nettamente in due: il risvolto umano merita un 5/5 perché ogni evento traumatico viene sviscerato in maniera spietata e analizzato cavillo per cavillo. Riusciamo nettamente a comprendere le personalità dei due soggetti e il perché siano deviate verso i rispettivi disturbi. Abbiamo scene d'impatto e vivamente sentite, belle e incisive sia per lo sguardo che per il cuore; da questo punto di vista il lavoro svolto è ottimo e ineccepibile. L'empatia con Owen e Annie viene raggiunta in maniera immediata perché comprendiamo lucidamente cosa li abbia distrutti al punto da diventare soggetti al margine della società e la conclusione a cui si giunge è che non è colpa loro. Tendiamo subito a perdonare i loro errori e a volergli bene nonostante tutto, per questo son protagonisti che funzionano benissimo come anche gli attori. Credo sia inutile aprire una discussione sul talento di Emma Stone (che nonostante i suoi duecento film ricordo con amore nel ruolo di Gwen Stacy), che qui interpreta una ragazza molto intelligente ma con dei problemi relazionali e un rimorso grande. Una persona sagace ma difficilmente inquadrabile: ci si potrà realmente fidare di lei? Molto abile l'attrice nell'ispirare diffidenza e fiducia nel contempo e veramente spettacolari i continui cambi di look a cui è sottoposta -tranne la maglietta con gli unicorni, vi prego...-. Jonah Hill -dalla filmografia altrettanto estesa- grazie al quale Owen prende vita, ci restituisce tutta l'ingenuità fusa a un errato istinto di preservazione -nel senso che viene utilizzato contro la gente sbagliata- che convivono in un ragazzo con un disturbo paranoide. Il suo personaggio infatti sarà convinto di dover salvare il mondo e di non potersi lasciarsi andare con nessuno, pur desiderandolo con tutto se stesso.
Di spicco è anche la recitazione di Julia Garner nei panni di Ellie Lansberg, che semberebbe uno dei pochi personaggi puri, non contaminati in negativo dal mondo ed offre momenti importanti di commozione e pathos, nonché scene pittoresche capaci di togliere il respiro, ma qui mi fermo per non lasciarvi spoiler.
Qui finisce la parte sana della storia a parer mio, perché ciò che invece si svolge nel laboratorio non solo non crea empatia o particolare interesse, ma è confusionale dall'inizio alla fine come un enorme gomitolo pieno di nodi che si sciolgono solo sezionando parte per parte con le forbici. La parte insana meriterebbe un 2/5 come voto e vi spiego il perché. Chi dirige il laboratorio ha più nevrosi dei volontari, i drammi familiari sono sviscerati in maniera pseudocomica, il che rende impossibile prenderli in qualche modo sul serio. Viene caratterizzata meglio la mentalità del computer, il che già parla da sé. C'è un grande dramma familiare tra due che gestiscono l'esperimento ma questo dramma viene gestito in maniera macchiettistica e sbrigativa, sembra piazzato lì giusto per far litigare i collaboratori e far capire che le persone sane non lo sono poi così tanto, o che probabilmente i pazzi veri sono quelli sciolti, ma questa morale esce fuori più semplicemente dalla storia di Owen. La cosa più facile da pensare è che il laboratorio sia gestito da incompetenti che hanno bisogno di più cure dei malati stessi ma per mantenere la loro posizione lavorativa, non sono onesti riguardo le loro patologie.
Un altro punto poco chiaro sono le pasticche -che dovrebbero guarire da ogni malattia psichica- e le loro funzioni: la A dovrebbe portare alla luce il trauma, la B dovrebbe abbattere le difese della mente e la C dovrebbe guarire i volontari per sempre. L'intero percorso dà vita a vari mondi paralleli nel cervello dei protagonisti -veramente ben caratterizzati e interessanti- per cui è stato realizzato uno studio meticoloso e preciso che si nota ed è da lodare, ma tuttavia non si capisce nel pratico la differenza di azione delle ultime due pasticche, anche perché durante la pasticca C ci sono dei condizionamenti esterni che creano interferenza.
In definitiva per me vale la pena di guardare "Maniac", perché è un viaggio immenso all'interno dell'essere umano che ispeziona i desideri, i dispiaceri, i lutti e dimostra una spiccata empatia. È una serie sensibile e attenta, con un piccolo neo ma ci si può passare sopra.
Se l'avete amata e volete saperne di più, continuate a seguire il canale Nerdflics, perché presto uscirà una recensione!

 

sabato 13 ottobre 2018

"Non sono un uomo facile"... e se comandassero le donne?



Proprio la volta in cui pensavo di annoiarmi, è uscita fuori dal cappello a cilindro una storia davvero geniale. "Non sono un uomo facile" narra le avventure di Damien, incallito maschilista, uomo che ama definirsi "predatore" e riesce a ottenere tutte le donne che vuole sforzandosi ben poco.
Sul lavoro viene addirittura premiato per la creazione di un app che permetta di fare una stima dei vari rapporti avuti nel corso dell'anno, confrontarli con l'anno precedente e catalogare in un certo senso le ragazze possedute.
 Egli a un certo punto però sbatte la testa e si ritrova in un mondo totalmente in rosa, dove le donne hanno il comando e gli uomini vengono perlopiù sfruttati o comunque mercificati.
Lo capiamo senza equivoci fin dall'inizio, in cui al protagonista sparisce il suo vecchio guardaroba e si ritrova a indossare dei pantaloni sbarazzini con la scritta "hot" sul didietro, per uscire di casa. Egli finisce subito per scontrarsi con una società gestita interamente dal gentil sesso che qui è tutto fuorché gentile, anzi si appropria in maniera prepotente della stessa immagine di virilità e la sbandiera ai quattro venti. Appena egli mette piede fuori è pieno di ragazze che suonano il clacson in segno di maleducato apprezzamento, o che fischiano. Alcune prendono tranquillamente l'iniziativa per portarlo a cena o a bere un drink, ma egli comincia davvero a capire l'antifona quando sul lavoro invece di essere ritenuto geniale, viene accantonato e sminuito perché non ha "il senso dell'umorismo giusto" e per averlo potrebbe sempre fare qualche "favore" al capo sotto la scrivania. 


Credo sia stata molto importante la scelta degli attori principali: Vincent Elbaz presenta un fisico slanciato e sottile, si pone in maniera sfacciata ma raffinata nel contempo. Non è il classico pompato da palestra, presenta infatti degli elementi di corporatura e caratteriali che possono scivolare in maniera versatile dal maschile al femminile, senza distorcerne eccessivamente la personalità. Il modo in cui egli si accosta all'empatia e all'emotività non lo snatura affatto nella sua identità. Lo si percepisce più fragile ma non cambiano comunque i suoi atteggiamenti, pertanto egli dà sfoggio di un'ottima capacità recitativa; Marie-Sophie Ferdane nella parte di Alexandra, che entrerà in campo più tardi, è perfetta per la propria androginia. Non si pettina, pratica pugilato, va in giro vestita da uomo, guida sfacciatamente auto costose e fa tutto questo con la naturalezza di una che è nata proprio così. Non lascia mai percepire cenni di timidezza o di difficoltà, ha la capacità di restare distante e impassibile, come farebbe un individuo anaffettivo.
Il modo in cui i due interagiranno farà in modo molto presto che Damien venga etichettato come maschilista e deriso, ma cosa s'intende per maschilismo in questa società?
C'è chi afferma che il film nel rappresentare un mondo al femminile si perda un po', perché ok la mercificazione del corpo maschile, ma agli uomini dovevano essere davvero fatte indossare le gonne invece di un abbigliamento atto a svestirli nei punti giusti? Oppure ancora, gli hobby femminili non potevano essere diversi dal solito connubio sport e motori?
Questo mondo avrebbe potuto essere reso in un'altra maniera? Sì, ma ritengo che il messaggio di sfruttamento e ridicolizzazione non sarebbe stato così incisivo. Un ragazzo costretto a depilarsi e indossare le gonne non avrebbe lasciato sgomenti come se lo stesso avesse avuto un vestiario maschile ma più esasperato; qui si attua un vero e proprio snaturamento della mascolinità e doveva arrivare come un pugno in faccia, cosa che non ci sarebbe stata se l'hobby delle donne fosse inquadrato come "debole" tipo lo shopping. A parer mio ci volevano proprio degli espedienti per cui gli uomini si sentissero derubati di qualcosa per loro importante ed è questo che alimenta lo sgomento e la rabbia di Damien: il fatto che la sua vita la stiano vivendo le donne e viceversa. Il ribaltamento dei ruoli anche dal punto di vista caratteriale non poteva che essere totale, perché se la donna ha dovuto dirigere e lottare fino a quel momento, era ovvio che le capacità empatiche ed emotive venissero delegate al genere maschile, costretto ai lavori più umili e subordinati ma capace di tessere meglio un dialogo. I maschi qui inoltre hanno gli stessi svantaggi fisici del gentil sesso, come l'essere più deboli e meno resistenti all'alcool, il che li rende più esposti anche a vari tipi di molestie.
Questo film grida incessantemente, grida a squarciagola finché qualcuno non ascolti: è davvero necessario ribaltare completamente i ruoli per comprendere che la donna si sente sottostimata, umiliata, sfruttata fisicamente e sentimentalmente? Non si può raggiungere la parità, ovvero un mondo migliore e più civile?

venerdì 12 ottobre 2018

Buon anniversario: istruzioni per festeggiare!


Se cercate un regalo efficace e sorprendente per il vostro anniversario, la soluzione ve la trovo io: lasciatelo dopo tre anni di relazione oppure ditegli che non siete felici dopo che vi ha portato la colazione a letto. Sono sicura che resterà senza parole. 
Di contro Sam e Mollie di parole ne hanno davvero tante. Salta subito all'occhio come il punto di forza della loro relazione sia il dialogo e come siano soliti discutere in maniera fluida e senza intoppi.
Questa è la situazione di partenza che "Buon anniversario" ci presenta.
Prendono subito vita davanti ai nostri occhi due caratteri molto svegli, comunicativi e particolari: Sam è un sognatore, un ottimista che non si scoraggia alla prima difficoltà, un uomo dotato di un'immaginazione fuori dal comune che è capace di sfruttarla per ottenere ciò che desidera; Mollie si pone come una persona composta per strati, perché spicca per prima cosa il suo lato idealista e ironico a cui si contrappone una massiccia capacità di analisi, che spesso la rallenta nel prendere decisioni importanti. Qui infatti giunge il dilemma: fare un bambino o chiudere la relazione attuale?
Io credo che la precarietà del periodo in cui viviamo stia generando uno strano raptus nei trentenni: una sorta di crisi di mezza età in anticipo, per cui uno vaga smarrito nella propria testa, chiedendosi dove stia andando, senza trovare risposta alcuna. Ci si fa prendere dall'ansia di essere in qualche modo indietro e si tende a buttare all'aria anche quanto costruito.
Tre anni in una coppia sono tanti e per la ragazza è giunto il momento di fare un bilancio con se stessa, anche tirando fuori il passato dal cassetto sfogliando qualche ricordo.
Il film non vi annoierà sicuramente, perché presenta due persone sensibili, sveglie, interessanti e gli stessi aneddoti che raccontano sono esilaranti. Portano avanti una tematica importante e grave come la possibile fine di una relazione con una spiccata vena ironica. Sono frizzanti, energici, vitali nell'affrontare i loro conflitti; non si assisterà ad atmosfere cupe e tenebrose in cui uno dei due finisce in vortici di dolore infiniti, magari autodistruggendosi in un garage a serranda abbassata. 
È presente sempre e comunque un gran guizzo, una gioia di vivere sottintesa per cui i due invece di darsi per vinti, rincorreranno goffamente alcune ipotesi di soluzioni.
Le atmosfere sono molto calde accoglienti. La sofferenza viene raccolta per diventare comprensione. Non ci saranno scene in cui qualcuno si sente realmente usato, perché ci vengono presentati due ragazzi sicuramente bizzarri e sopra le righe, spiritosi, maldestri, ma che comunque risolvono le questioni in una maniera pacifica. Io sono una gran fan di quel dolore lacerante che sembra doverci essere ogni volta che in una coppia c'è qualche problema; in questo caso sono contenta che non ci sia. Parliamo di una narrazione in cui non si giunge a vere e proprie mancanze di rispetto e di questo mi complimento, perché è il film più sano che ho visto da qualche anno a questa parte. 

martedì 9 ottobre 2018

Private Life e la gioia di avere un figlio


La modernità spesso sfida le leggi ancestrali della natura: in un mondo sempre più tecnologico siamo convinti che ci sia sempre tempo per mettere al mondo un bambino. Ma se non fosse davvero così?
Una coppia di coniugi sulla quarantina riceve lo schiaffo degli anni passati a tergiversare tal decisione. I due hanno temporaneamente accantonato l'idea di un figlio, sacrificandola in nome della propria carriera artistica, successivamente vari impedimenti li allontanano dalla possibilità di essere finalmente dei genitori. Da allora riuscire nel loro intento diventa un chiodo fisso, al punto da chiedere aiuto a una loro nipote acquisita: sarà lei la tanto cercata donatrice di ovuli, nonché una delle loro ultime speranze?
Non si può definire questo film come triste, sarebbe alquanto inesatto perché l'atmosfera che regna è quella dell'attesa e di una silenziosa rassegnazione. I due perseverano con determinazione, senza lasciarsi troppo angosciare dai numerosi fallimenti o comunque non li prendono mai come un alibi per fermarsi e gettare la spugna. Sono figure eroiche moderne, che nonostante le incertezze non si lasciano fermare prima di aver raggiunto l'obiettivo e soprattutto sono capaci di portare avanti la loro dolorosa battaglia senza chiudere il cuore al prossimo.
Il destino li premia infatti con l'arrivo di Sadie, nipote dalle spiccate doti artistiche che li cerca per vivere con loro. Lei è giovane, bella e sembra avere i requisiti che la coppia vorrebbe in un figlio ma, soprattutto le vogliono bene.
Sadie incarna un po' la ragazza giovane dei nostri tempi: bella, disinibita, intelligente, con la passione per le foto, ma che non riesce a focalizzare esattamente il suo futuro per colpa della sua grande discontinuità. Sembrerebbe una figura stereotipata eppure Kayli Carter sa regalarle uno spessore particolare e si dimostra determinante per la riuscita del ruolo. Dapprima più frivola e leggera, riuscirà a trasmettere allo spettatore i suoi stessi valori e sensibilità; è spontanea e ci mostra il mondo secondo i suoi occhi pieni di vita. Ella porta un nuovo smalto nell'esistenza di Rachel e Richard, che assaporano con la sua presenza cosa significhi avere una terza persona in casa.
Da quest'avventura ciascuno dei tre sicuramente ha imparato qualcosa, ma non saprei ben definire cosa. Sicuramente la storia grida che risolvere i problemi è più costruttivo del piangersi addosso chiedendosi di chi sia la colpa, ma soprattutto ci spinge a cercare la speranza ovunque senza perderci lungo la strada solo perché è difficile.
La lezione più importante che possiamo apprendere è che l'esistenza va accettata senza certezze, consapevoli che non è detto che troveremo sempre le risposte alle nostre domande.