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lunedì 22 agosto 2016

Hannibal. Psicologia avanzata attraverso la follia più assoluta.


Quanto vi piacciono le cose deviatissime? A me tanto. Cioè ecco non fraintendetemi, non malatissime nel senso che vado in giro a falciare la gente nel tempo libero, ma non disdegno ciò che è strano.
Ok confesso che non è una grande introduzione, dal momento che seguire una serie tv in cui il cannibale cucina le sue vittime neanche fosse Chef Rubio, forse calca un po' la mano sul concetto di "strano".
Ad ogni modo, fossi in voi non me la perderei affatto. 

Vi lascio un po' di trama spicciola, rubata alla nostra amica Wikipedia che crede di saper tutto:

Will Graham è il più talentuoso profiler dell'FBI, le sue grandi doti ed il suo modo unico di pensare gli permettono di entrare nella mente di un killer come nessun altro. Tuttavia, tale abilità e la prolungata empatia iniziano, col passare del tempo, a giocare crudelmente con l'immaginazione dell'uomo, trascinandolo sempre più vicino al baratro, alla sottile linea che divide follia e realtà. Al fine di riportare equilibrio ad una mente spesso travagliata come quella di Will, egli viene affiancato all'illustre psichiatra criminale Hannibal Lecter, ignorando come qualcosa di non meno distorto si celi nel noto dottore, seppur in forma diversa e più malsana. Due menti brillanti, avvezze a studiare quelle altrui ed a modo loro macchiate, iniziano così il proprio gioco.

Presto i due cominciano ad avvicinarsi sempre di più, il loro legame oscuro si trasformerà in qualcosa di più di una semplice amicizia, arrivando a un'attrazione fatale che li porterà sul punto di non ritorno.

E come dare torto alla cara Wiki...
Presto nella storia si serra sempre di più un complicato botta e risposta psicologico, che trascinerà nel vortice non solo i due, ma anche Jack Crowford (capo della sezione scienze comportamentali dell'FBI), Alana Bloom (consulente dell'FBI nonché professoressa di psicologia), la complessa Bedelia Du Maurier (la psichiatra di Hannibal), Habigail Hobbs (una ragazza dalla difficile storia famigliare che legherà con i protagonisti), Frederick Chilton (direttore dell'ospedale psichiatrico criminale di Baltimora) e Freddie Lounds (una giornalista/blogger piuttostio fastidiosa che gestisce il sito TattleCrime).
Chiedo venia per l'elenco del telefono, ma non ho voluto approfondire con spoiler.

Devo spezzare una lancia a favore di un personaggio che in fin dei conti mi è sempre piaciuto: la cara piccola Freddie. Non è una giornalista; è una mosca demoniaca, riesce ad essere ovunque e infastidire l'intero sciame di deviati con il suo sito, che sembra quasi sia l'unico mai letto in zona. La morte la sfiora parecchie volte eppure ha i suoi metodi per fare entra ed esci dai guai. Fantastica proprio perché non fa altro che farle girare un po' a tutti... il che è già abbastanza pericoloso anche senza avere a che fare con psicopatici.
Alana anche mi ha rapita, ma molto più con l'entusiasmo iniziale. Come mi è stato anche annunciato mentre seguivo la serie, si perde per strada, in effetti si comincia a non comprendere il senso di questa donna piazzata lì. Se ci fermiamo verso la prima e seconda serie, possiamo ancora affermare che abbia uno scopo.
Punto di forza sono senz'altro le ricette -bambini non rifatele a casa con la gamba della mamma, non si fa- che Hannibal serve con spudorata professionalità ai suoi ospiti. Viene più fame che il voltastomaco, ve l'assicuro. Però sì, sono parti della gente che uccide, perché quello è il suo modo per onorare la morte della suddetta. Dovrebbe scrivere un libro di ricette, guadagnerebbe di più di Benedetta Parodi perché son manicaretti fatti col cuore... non chiedete di chi, che è meglio.

Appetito a parte, ciò che salta all'occhio sono i dialoghi. Ora perché nessun essere sano di mente avrebbe il coraggio di puntarsi a ogni frase degna di nota per segnarsela, ma vi giuro, sono tantissime. C'è un continuo scavare la natura umana, un continuo scoprire meccanismi della psiche altrui. L'empatia per Will Graham sarà spesso un'arma che gli si ritorcerà contro, ma che nel contempo lo aiuterà a inquadrare le cose anche in maniera più lucida degli altri.
Non si tratta solo di due psicopatici che si tengono testa e gli altri che ci rimettono tutt'intorno; quelle teste hanno un legame particolare, come se funzionassero costantemente allo stesso modo per poi deviare in direzioni differenti.
Sapete una cosa? Ho assistito al finale e non sono mai riuscita a capire chi preferissi tra il buono e il cattivo. 
La recitazione di entrambi mette i brividi: Will sembra sentire le più microscopiche vibrazioni di ogni anima, che si ripercuotono su di lui in maniera terribile. Colpisce soprattutto perché finisce costantemente destabilizzato; Hannibal conquista per la sua brillante impassibilità. La profondità del suo animo è esternata solo mediante gesti che possono sembrare comprensibili solo ai suoi occhi.
Avete presente Breaking Bad? In un certo senso il legame che s'instaura è simile a quello Walt-Jesse solo che Walt non cerca di ammazzare Jesse di continuo e viceversa. 
Lascia pensare. Parecchio. L'odio che s'instaura man mano tra Will e Hannibal è un sentimento malato, complesso. In quanto tale è difficile per entrambi definirlo, perché ne hanno una visione opposta.

Come finisce? Come merita. 
Con la stessa complessità che manda avanti ogni singola puntata. Terminare la serie così, l'ho trovato decisamente realistico e onesto. 
Ci porta ad inquadrare gli avvenimenti con un'ottica più grande, abbracciare uno stile di pensiero che non appartiene di certo alla gente comune...ma in qualche modo, proprio per questo, rende tutto più vivo, autentico, viscerale.
Come se tutti i legami veri contenessero qualcosa di profondamente malato e non se ne potesse fare a meno.
E forse in fin dei conti è così: le relazioni sono reali quando si perde una buona parte di se stessi per gli altri. A volte anche fino ad impazzire.

Nessuno conosce completamente un altro essere umano, a meno che non lo si ami.
Tramite questo amore vediamo il potenziale nel nostro amato; attraverso questo amore, permettiamo ai nostri amati di vedere il loro potenziale.
Esprimendo questo amore, il potenziale della persona amata viene fuori



martedì 16 agosto 2016

Recensione: Follemente Felice, Jenny Lawson


Ristrettezze di tempo mi chiedono di essere breve anche laddove vorrei dilungarmi nel recensire, perciò farò del mio meglio, che è quello che in linea di massima fanno tutti. Non ho visto nessuno d'altronde che s'impegni a fare del proprio peggio.
Ho deciso che questo libro non avrà un voto, perché innanzitutto i voti non mi sono mai piaciuti, oggi mi girano parecchio (ciò rafforza il fastidio verso i voti) e questo libro è davvero soggettivo. Dipende dal rumore che fa in ognuno di voi, dall'eco che torna indietro. 
Confesso che da questa lettura mi aspettavo di piangere molto di più.



Nel libro Jenny Lawson si confessa, aprendoci le porte verso il suo mondo più intimo. Un mondo fatto di fantasmi, problemi di salute molto gravi e depressione.
Eppure è come se questi fantasmi li pitturasse con una vernice fosforescente, come se a un certo punto ci suscitasse grosse risate.
Si scorge un'anima così forte che alla fine è il buio della depressione ad averne paura.

Ok, da dove comincio?
Sono già stranita, perché quando recensisco un libro ho il brutto vizio di andare a leggere cosa ne hanno scritto altri recensori... poi incappo in quelle recensioni scritte palesemente col didietro e mi viene voglia di lanciare la tastiera dalla finestra, poi giungerei a casa del suddetto e gli chiederei se almeno ha letto tutte le pagine o una sì e una no.
Eh già... per fare le recensioni il libro va letto intero, senza barare. Lo specifico perché non si sa mai.
Ma già non leggono bene il libro, figurati le recensioni altrui... quindi non sapranno mai che la loro è stata scritta con il didietro. Fa niente, la vita va avanti.
Non che io sia un fenomeno, ma almeno le parti che non capisco le rivedo più volte invece di dare dell'idiota allo scrittore perché non ci ho capito nulla. Così, per dire.
Fidatevi, non è questione di opinione diversa, ma proprio di non saper cogliere l'essenza, il senso di quanto è stato letto, che è ben diverso. Per favore leggete gli Harmony e lasciate stare le cose che non capite.
Comunque, riprendo: mi aspettavo di piangere davvero tanto, perché l'argomento è triste, perché una depressa dovrebbe essere triste e dovrebbe rendere tutti gli altri tristi. Invece vi spiazzerà la gioia che scaturisce come un fiume in piena dalle sue parole.
Lei è indubbiamente strana, fa cose strane come indossare pelli di animali, vestire i gatti nonché costringerli a fare un rodeo ed esasperare il povero marito Victor, trascinandolo in discussioni senza senso.
Non potete nemmeno immaginare quanta bellezza scaturisca da una persona del genere. Si offre ai propri lettori senza filtri e in maniera onesta, è divertente, vivace. Ti viene voglia di essere come lei nonostante tutti i problemi che la limitano.
Purtroppo la depressione per molti è una parola tabù. Fa paura e terrorizza soprattutto chi vive in maniera normale, quando viene a sapere che un famigliare o un amico è depresso. Già, è sempre una cosa che arriva a chi è lontano... invece quando giunge molto vicino alcuni fanno finta di niente, altri si agitano, altri spronano la persona che sta male nel modo sbagliato, buttandola ancora più nell'abisso. La depressione fa paura, crea il caos. E lo crea tanto nella testa di chi la subisce, quanto in quella di chi la vede da fuori e non sa che pesci prendere, come aiutare, come contrastare la bestia nera.
Jenny è speciale, perché questo delirio lo fa sembrare normale. Lei vive con la piena accettazione del suo dolore e così anche la sua famiglia. Il marito e la figlia le fanno forza e lei ha l'onestà di non chiudersi al mondo e di esporsi in tutte le sue ferite.
Queste ferite però sono frammenti. Schegge di vetro che sfregiano ogni tanto la lettura mentre si saltella da un aneddoto divertente all'altro. Fidatevi: ci sarà più da morire dal ridere che da piangere.
Credo che sia una cretinata, a prescindere da chi sei e a che cosa sei allergica. Della zuppa che ti viene data una cucchiaiata alla volta da camerieri in smoking è l'esemplificazione dell'imbecillità dei superprivilegiati. Sono sicura che sia stata un'idea di alcuni ristoratori drogati che pensavano che sarebbe stato divertente vedere se la gente se la sarebbe bevuta. Sospetto che il prossimo passo saranno i cracker preiunumiditi dalla saliva del cameriere e passati dalla sua bocca alla tua come se fossi un uccellino. Anzi, quando questo libro sarà pubblicato, i cracker sputati saranno la prossima grande novità, e voglio che si sappia che sono stata io a inventarla.


L'andamento è pressappoco il seguente. Il mondo insolito di Jenny vi circonderà fino a farvi accappottare dalle risate con procioni, opossum, disavventure estetiche e non, figuracce più o meno estese.
Ogni tanto vi ricorderà come niente fosse, chi è e di cosa soffre. Credo sia questo a spaventare e disorientare chi legge una pagina sì e una no. Le persone restano turbate dalla nonchalance con cui passa dal sarcasmo puro al donare un pezzo doloroso di sé... e questo lascia con la bocca amara, lascia sgomenti. Quasi diventa fastidiosa quando cerca di spiegare quanto è difficile. È sempre difficile seguire la sofferenza altrui.
Eppure anche i momenti peggiori, sono illuminati da qualcosa che possiede solo lei. Qualcosa di unico a cui non riuscirei neppur volendo a dare un nome.
Vi riporto un pezzo che credo di aver amato tanto. Sta raccontando una crisi d'ansia veramente brutta, in contemporanea il piede si gonfia e sanguina per l'artrite reumatoide. È sola in hotel, non ha mai visto la neve e vederla scendere le dà una speranza strana. D'un tratto esce senza pensarci, in ciabatte, poi abbandona anche quelle e prende a camminare in mezzo alla neve, con l'arto ancora sanguinante il cui dolore è alleviato dal freddo.
Mentre mi voltavo e guardavo verso l'albergo, mi accorsi che le impronte che mi avevano seguito fin lì erano diverse. Da un lato erano lucenti, piccole e bianche. Dall'altro erano sformate dal mio passo zoppicante e in corrispondenza di ogni tallone c'erano tracce di sangue rosso vivo. Mi parve una metafora della mia vita. Un lato leggero e magico. Quello che vedeva sempre il bene. Fortunato. L'altro insanguinato e strascicato. Mai del tutto in grado di tenersi al passo. Era come la poesia sulle impronte di Gesù nella sabbia, ma con meno Gesù e più sangue.
Jenny ci mostra due lati completamente opposti di sé: uno lucente, sarcastico, divertente, pieno d'idee e di voglia di divertirsi; l'altro rallentato, terrorizzato, angosciato e schiacciato dalle responsabilità e dai sensi di colpa. Buio e luce sparati dritti addosso al lettore, senza risparmio.
La sincerità di questa donna fa spavento. Nessuno ha il coraggio di esporsi al pubblico come carne da macello e divenire talvolta oggetto di scherno di chi non sa nulla delle malattie mentali e della vita che conducono a fare, di come condizionano un essere umano.
È un libro pieno, intenso, fatto per coloro che non hanno voglia di nascondersi ancora dietro maschere di cera. Un libro per chi ogni tanto ammette anche di essere mortale.

giovedì 4 agosto 2016

Like a phone without connection

A volte proviamo in tutti i modi a farci raggiungere dalle persone a cui teniamo, ma ci pare di urlare nel vuoto, in maniera disperata, a polmoni infiammati. E che di là non sembrano nemmeno tendere l'orecchio. 
È dura quando la comunicazione sa di telefono rotto o di una barca che affonda.
E ci si sente sempre più lontani, ma non solo da loro. In generale dalla realtà.
Perché forse quelle poche persone, nei momenti in cui sei perso, sono l'unico appiglio con la realtà.
E forse perdendole si perde anche la realtà.
Si combatte sempre nella vita per qualcosa e io mi sono resa conto che quando tengo a qualcuno, la mia lotta è sempre doppia: una lotta per farmi voler bene e una lotta per essere capita senza fraintendimenti, come avviene un po' da troppi anni. Un triste tormentone. 
Spesso mi sono sentita come un libro che la gente legge all'inizio perché sembra divertente, ma poi comincia a saltare le pagine. Mi sono sempre chiesta chi tra me e gli altri cambiasse lingua lungo la lettura.
A volte ci si dovrebbe ricordare che le persone sono persone anche quando smettono di essere divertenti, anche quando hanno bisogno di un appiglio per andare avanti.
Da qui si capisce se gli si è voluto bene sempre o se il bene non c'è stato mai.
Dalla voglia di capire il dolore e non far sentire il vuoto dentro a chi è importante.