1. La maglietta
Annalisa
aveva rivisto Gaia dopo una sola estate passata lontane, ma era
bastata a spezzare il legame. Il nodo indissolubile dell'appartenenza
si era sciolto quando l'aveva vista in giro con le sue amiche più
fighe, con quella maglietta nuova addosso che lei non ricordava
affatto. Sicuro l'aveva comprata insieme a loro. Le persone care lo
senti subito quando smettono di esserlo, quando puzzano di qualcun
altro. Come quando una cagna fa i cuccioli, glieli tocca qualcuno e
non odorano più di lei.
Ora
s'incontravano: lei sfigatissima, impacciata con una busta della
spesa in una mano e il pugno esile della sorellina nell'altra. I
capelli ribelli, neri, ciocche lisce davanti al viso, e la mamma a
pochi metri di distanza che l'avrebbe presto raggiunta. Gli occhi che
per quanto scuri non sarebbero bastati a celare l'abisso; lei,
l'altra, appena tornata, con l'odore di mare incastrato nella pelle,
le lentiggini in bella vista ad evidenziare in modo imbarazzante
l'abbronzatura, le bionde gemelle allampanate al seguito e poi quella
lì dal viso intrigante e gli occhi così verdi da sembrare un
labirinto.
Non
avrebbe mai voluto, potuto competere con quella squadra di modelle.
Lei che non era formosa, né slanciata e loro con un fisicaccio che
avrebbe lasciato per terra anche un trentenne. E avevano tutte sedici
anni. Tutte puzzavano di libertà.
Si
era comprata un nuovo indumento con loro che lei non ricordava;
presto non avrebbe riconosciuto più nulla dell'armadio di Gaia,
della sua quotidianità e quello sarebbe stato il momento di
tagliarla fuori.
Entrambe
si fermarono. Gaia per prima, sorrise ignara leccando il gelato.
Annalisa truce, la squartò con un'occhiata.
-Sei
tornata...
Attaccò
per prima, neanche qualcosa l'avesse costretta a difendersi. Se solo
avesse potuto, quella maglietta gliel' avrebbe strappata di dosso e
fatta a brandelli.
Gaia,
in tutta la sua prorompente bellezza, i vestiti azzurri a
sottolineare la profondità degli occhi verdi e dei capelli rossi, si
bloccò incerta, investita dal gelo. Ondulando come una foglia
d'estate... e non sembrava felice di vederla.
-Ciao
Lisa.
Le
piaceva chiamarla così, come nessun altro faceva mai. Si raccolse in
un tiepido sorriso e continuò.
-Stiamo
facendo un giro, vuoi venire con noi?
-Ho
già da fare.
Rispose
ostile, sollevando entrambe le mani. Poi l'interruppe sua madre.
-Ciao
Gaia! Ma come ti sei fatta bella! Già, proprio una bella ragazza!
Lei
balbettò un grazie. Lo sguardo indugiava su Annalisa senza spostarsi
di lì.
-Che
bella... ce l'hai il fidanzato? Una sera di queste vieni a cena e ci
racconti tutto. Anna, vuoi andare con loro?
Passò un terribile, interminabile istante, in cui la figlia le squadrò tutte, senza trovare in loro grandi differenze l'una dall'altra. Poi rispose “No, ho da fare”.
2. Pelle nella pelle
Annalisa
poggiò nervosamente la busta della spesa sul tavolo, la scatola
delle uova scivolò fuori e cadde a piombo sul pavimento. S'impiastrò
di quel muco arancio/trasparente. Ci avrebbe messo una vita a pulire.
Angelica,
che aveva poco più di tre anni, la prese come un gioco e si avvicinò
con l'intento di spargere l'impiastro sulle mattonelle.
-E
togliti! Ma perché non potevo nascere figlia unica...
La
strattonò via e prese in fretta e furia a rimuovere le tracce. Non
poteva sopportare di vedere ancora quell'anomalia. L'errore.
La
bambina corse via piangendo, attaccandosi alla gonna della madre.
Aveva appena finito di parlare al telefono.
-Angy,
vai a giocare col bambolotto in sala, che tata ha un attimo da fare.
Scosse
la testa scoraggiata, ma ciò non l'avrebbe fermata. Marilena era
sempre stata testarda fin da piccola, figurati se avrebbe mollato
proprio con sua figlia.
Si
appollaiò in tutta tranquillità al piano della cucina, alle sue
spalle e quando aprì bocca Annalisa sobbalzò: non l'aveva nemmeno
sentita entrare nella stanza.
-Guarda
che l'ho visto come hai trattato Angelica! Se ti scocciava così
tanto restare a darmi una mano, potevi andare a prenderti un gelato
anche tu. Nessuno ti legava a casa.
La
ragazza sbuffò con lo Scottex in mano.
-Non
ci vado a fare la stupida, a prendere il gelato da sola.
-A
me non sembravi sola...
Commentò
Marilena, che non ci aveva messo nemmeno dieci secondi a centrare il
punto.
-Tante
cose non sembrano. O forse le noto solo io...
Respinse
il colpo, gettando l'impasto d'involucro e gusci nel cestino.
-O
forse sei solo gelosa.
-Gelosa
di che?
-Niente
Anna, la buttavo lì, tiravo a indovinare. Vai piuttosto a vedere
cosa combina Angy, che devo inventarmi qualcosa per la cena. Senza
uova.
Annalisa
non provò nemmeno a tagliarsi con lo sguardo della madre; non voleva
dare spiegazioni a nessuno. Non era lei che doveva spiegare. E non
voleva sentire nemmeno le solite balle che si raccontano per metterci
una pezza. Non da Gaia che era sempre stata pulita e sincera fino a
quel momento. Avrebbe quasi preferito fingere che era morta, che
lasciarsi ferire dall'abbandono. Voleva ricordare al meglio
quell'amicizia.
Era
passata una settimana. Gaia, nel mettere a posto i panni, prese la
maglia azzurra, la schiaffò nell'armadio e ci gettò sopra le peggio
cose come a voler stratificare. Fingere che non sia mai successo
niente.
Annalisa
non capiva un accidenti di quello che stava leggendo. Troppe date,
troppe vicende. Studiava storia con voracità, solo perché sperava
di trovare sé stessa trovando il passato, ma era una materia per
quelli con la memoria. E non l'aveva mai studiata da sola prima
d'ora. Allora quel pensiero la trapassò come una fitta intercostale.
Sentiva
l'odore di solitudine appestare l'aria intorno a lei. Perché non
valeva un cazzo, e purtroppo lo sapeva bene.
Poi
il telefono squillò. Presa da un presentimento netto, che mai
avrebbe potuto essere più preciso, non rispose.
Marilena
era tornata tardi da lavoro e non aveva avuto nemmeno il tempo di
fare la spesa. Con fare imperativo le lasciò la lista farcita di
parole sulla scrivania. Annalisa alzò lo sguardo, si accorse di
avere il mal di testa e seguendo il pensiero “massì, almeno mi
svago un po'...” accettò di buon grado l'imposizione. In fondo era
una ragazza buona, che difficilmente faceva storie quando si
trattava di dare una mano.
Tornò
tre quarti d'ora dopo, trovando la tavola apparecchiata e un ospite
di troppo.
-Tata
c'è Iaia!
Le
corse incontro sua sorella. Annalisa la prese in braccio e la fece
roteare, ma la faccia era di marmo. Accennò solo una parentesi di
sorriso aperta per non spaventare Angy, che andò a spegnersi
immediatamente. Lo scontro era impari: sapeva bene che suo padre,
tipo riservato, non si sarebbe mai immischiato nelle sue faccende...
ma sua madre, oh si, sua madre puzzava senz'altro di tradimento: una
come Gaia non fa occupazione in casa altrui; ci viene solo se
invitata.
I
bocconi scendevano uno ad uno di traverso. La gola sembrava aver
messo le spine, bevve più volte l'acqua per far scendere quei
quattro pezzi di carne tagliati cento volte a testa.
Le
due non parlavano. Era come se a tavola ci fossero solo Marilena che
incalzava le discussioni, Mauro che raccontava di lavoro, Angy che
mangiava disegnando e ad ogni cosa che creava urlava per mostrarla a
tutti.
Annalisa
finì per prima e sgattaiolò in camera sperando di non essere
seguita, invece Gaia terminò in fretta e replicò i suoi passi come
un'ombra.
La
porta della camera si aprì quando Annalisa ebbe letto per l'ennesima
volta la stessa frase. Se qualcuno le avesse chiesto di ripetere il
tutto da capo, non avrebbe saputo neanche lontanamente da dove
iniziare.
-Ho
un sacco di schemi per studiare quello. Se vuoi...
Testarda,
Annalisa continuò a voce più alta per sovrastare i “ronzii” di
sottofondo.
-Sul
serio, è più semplice così.
Il
libro si chiuse come un portone in faccia. Ci si appoggiò sopra di
peso, coi gomiti. Voleva solo distruggerla, perché per lei Gaia non
c'era più.
-Che
c'è, adesso ti faccio pena? Hai finito le amiche con cui fare
shopping?
-Lisa,
io non ho amiche per fare shopping...
Quel
“Lisa” le fece provare la stessa pugnalata che Cesare ricevette
da Bruto. Anche Cesare si fidava di lui, prima di tirare le cuoia.
-Sei
brava a spararle. Ora vai, ho da studiare.
-Non
farò muri che non potrai scavalcare, non avrò porte che non potrai
aprire. Il patto di sangue, ricordi? Non siamo semplici amiche;
siamo sorelle, io e te.
Messa
di fronte alle sue responsabilità, al ricatto affettivo stipulato da
due bambine di otto anni che non sapevano nulla della vita, Lisa fu
costretta ad aprire la porta, quel tanto per far passare lo spiffero.
Si spostò dalla scrivania, si sedette sul letto e fece cenno a Gaia
ancora in piedi, di fare altrettanto.
Il
viso acceso dal dolore, supplicava a lei d'iniziare, di tentare di
salvare il loro legame, se davvero lo sentiva ancora. Le
lampeggiavano quei bottoni scuri dalle pupille lattiginose.
La
maglia di Gaia non le donava affatto. La tinta senape le spegneva i
lineamenti; sembrava tanto una rosa appassita. Sembrava trasparente.
L'ultima
volta che l'aveva vista stava cercando di farsi crescere le unghie,
ma la sua ansia evidentemente le aveva rosicchiate a sangue. Senza
pietà.
Così
iniziò a spiegare.
-Non
so più come recuperare la nostra amicizia, tu non mi parli più... e
quest'estate è stata uno schifosissimo incubo. Non puoi nemmeno
immaginare.
La
proverbiale diffidenza di Lisa verso il mondo e le persone in genere,
la teneva ancora a distanza; non voleva mischiarsi a quel dolore se
non era vero. Però ascoltò. Intensamente, come nessun' altra
avrebbe saputo fare.
-Non
volevo che mi vedessi con loro... me ne vergognavo. Per tutto questo
tempo mi sono fatta schifo e non potevo parlarne con te.
-Che
ti vergognavi di me non avevo dubbi.
I
capelli erano sempre troppi. Gaia tirò indietro una ciocca con la
mollettina e abbassò lo sguardo. Da quel momento smise del tutto di
guardarla negli occhi.
-Non
di te... di loro. Non volevo che mi vedessi con quella gente. Le
gemelle sono amiche strette dell'altra ragazza con cui mi trovavo. E'
la figlia del capo di mio padre, frequentavano il nostro stesso
chalet e sono stata costretta a passarci l'estate insieme. Mio padre
si è raccomandato di essere carina, che ne andava del suo posto, ma
loro non sono state affatto carine con me.
La
maschera di Lisa si sciolse quando la schiena dell'amica si fece
pesante, si scompose verso il basso come se sostenesse troppo peso.
Le lacrime sgorgarono da quel corpo debole che Gaia non sapeva più
governare. Le parole uscivano a fatica e i singulti quasi le
ricacciavano indietro.
-Si
chiama Marisol. Ad una festa mi ha presentato suo fratello Fernando.
Ha parlato un po', poi mi ha infilata a forza in uno stanzino, mentre
la musica era forte e mi ha messo le mani ovunque. Infine mi è
entrato dentro. Nessuno mi avrebbe sentita urlare.
Fece
una pausa. Poi ripeté quella frase come se uscisse dalla bocca
dell'oltretomba.
-Nessuno
mi avrebbe sentita urlare. Mamma mi ha detto che dovevo solo
stare zitta, che se no papà perdeva il lavoro...
-Non
ti è piaciuto neanche un po'?
Cercò
di minimizzare in modo stupido, insensibile, infantile e sbagliato
Lisa, che non sapeva più sbrogliare quella matassa. Se solo avesse
potuto si sarebbe rimangiata le sue domande cretine una per una, con
gli interessi.
-Ha
trent'anni... il giorno dopo mi ha regalato una maglietta, dicendo
che mi stava bene. Poi ha aggiunto che almeno quando la portavo
smettevo di sembrare una miserabile. Tutti mi trattavano da
miserabile e avevo paura.
Tremava.
La pelle si fece ancora più pallida. La sua amica, resa donna
dall'ingiustizia degli altri esseri umani, avrebbe solo voluto
scomparire. Disgregarsi, come era già successo con la parte migliore
di lei.
Lisa
voleva entrare in punta di piedi, evitare l'ennesima indelicatezza e
osò l'unica cosa che poteva fare: l'abbracciò, ma non di
convenienza come fanno quelli a cui non dispiace manco per il cavolo;
l'abbracciò davvero, pelle nella pelle, scomparendo un po' anche
lei. L'abbracciò, di quegli abbracci che si accollano un pezzo di
dolore della persona che ami per non lasciarla soffrire da sola.
In
un solo gesto erano tornate quelle due bambine di otto anni della
promessa: ingenue, spaesate, diverse dal mondo intero. Ma sorelle.