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mercoledì 29 maggio 2013

Happy birthday.


Il rintocco crudele della mezzanotte. 
Lo specchio che segna l'ennesima ruga che non vedi. 
Rughe impercettibili all'occhio, alla mano che ti scorre sulla pelle. 
Le zampe di gallina peggiori il tempo le fa sempre all'anima.


Happy birthday, happy birthday.
Fuori c'è l'arcobaleno e dovrei dargli ascolto. 
Dovrei rinascere, fare la fenice. Cenere che non sa come ricomporsi e fa fatica.
Happy birthday, happy birthday.
Ci si chiede di non rinfacciare agli altri la propria nascita,
ma poi ti rinfacciano di essere nato. 
Happy birthday, happy birthday.

E come fosse il testo di una stupida canzone, soffio via i desideri da una stupida candelina. 
La vergogna dell'ennesimo pensiero crudele 
altra neve che si ammucchia dove batte il tiepido sole.
Happy birthday. 
Soffiato via il fuoco la stanza è buia. 
Ti dondoli nell'ombra in cerca dei tuoi desideri e ti chiedi dove sono finiti.

martedì 14 maggio 2013

Il paese che rubava i sogni.


C'era una volta un paese in cui nessuno sognava più, perché ogni volta che un suo abitante cercava di desiderare, sperare, credere in qualcosa, essa usciva dalla sua testa sotto forma di bolla e veniva risucchiata in basso verso un grosso buco nero che faceva paura a tutti, al quale nessuno si avvicinava mai. La gente continuava quindi a vivere a tentoni, senza saper realmente cosa fare, dove andare, svegliandosi ogni mattina senza sapere realmente il perché.
Un giorno però nacque una bambina speciale, più dolce e intelligente delle altre, la cui testa cresceva molto in fretta. Il suo nome era Gala. 
Gala amava imparare anche se ogni volta le sfuggiva cosa, quindi studiava sempre tutti i libri (realizzati prima che venissero inghiottite le aspirazioni, perché gli scrittori del tempo scrivevano la prima cosa che gli veniva in mente e poi la cambiavano) e cercava  ogni volta di concepire idee sempre più grandi, anche se, immancabilmente scivolavano via.
I suoi genitori non la capivano ed erano così preoccupati per lei, che un giorno la portarono da un dottore, che non riuscì tuttavia a capire il problema, perché si era ritrovato dottore per caso: non ce l'aveva in programma e quindi non aveva studiato nulla per prepararsi al lavoro. In quel paese infatti, i medici cercavano di capire a caso che malattia avesse il paziente e secondo il loro buonsenso gli fornivano una medicina; poco affidabile anch'essa, perché nessuno aveva mai progettato in vita sua di fare il ricercatore.
Nessuno infatti lavorava per passione e nessuno sapeva qualcosa riguardo i compiti che svolgeva.
<<Mamma, ma se il dottore non sa niente, il muratore non sa niente, il cuoco non sa niente, tutti questi lavori allora posso farli anch'io!>>
Le parole pronunciate da Gala erano per Vania un continuo dispiacere, ma era una donna paziente, che sapeva sopportare <<Non dire assurdità, tu farai il mestiere per il quale sei nata...>>
<<Ovvero?!>> Replicò la bimba con gli occhi brillanti, smaniosi di futuro.
<<E io che ne so, nessuno lo sa.>> Poi si mise a cucinare, tagliando dalla rabbia le verdure calcando più forte del necessario. Perché mai sua figlia era l'unica a pensare simili assurdità? A che le serviva tutto quell'inutile imparare, se tanto le sue aspirazioni sarebbero sempre state risucchiate via? E soprattutto, che senso aveva porsi delle domande?!
Gala sbuffò e si mise a giocare con le bambole. Sapeva a malapena che mosse fargli fare, perché appena cominciava a tessere la trama di una storia e aveva l'idea di scriverla, questa sgusciava via.
Una sera pensò "Ma se facessi l'astronauta?!", ma già se lo stava scordando: vide uscirle dalla testa una grossa bolla gialla che scappò. Senza rifletterci un istante, la bambina si aggrappò alla bolla che la trascinò in alto nel cielo e fu divertente vedere dall'alto la sua città; ma l'aspirazione perse quota e piano piano fu sempre più vicina al grosso buco. Atterrata a terra, l'idea cominciò a scivolare sempre più vicina alla voragine e Gala cercò di fermarla tirando con tutte le sue forze, finché non fu risucchiata anche lei.
La bolla scese sempre più in basso lungo un grosso tubo, poi la sputò fuori in una grande stanza piena di altri sogni colorati.
<<Woww! Quante bolle qui!>> E cominciò a saltellare contenta con tutti quei desideri intorno, li lanciò in aria e se li lasciò ricadere addosso, ricordandosi tutto quello che vorrebbe diventare da grande, tutti i piani che vorrebbe realizzare.
<<E tu chi sei? Che ci fai qui?!>> Un'altra bambina dai capelli neri e gli occhi verdi, non azzurri come i suoi, dal lato opposto della stanza, la stava fissando arrabbiata.
<<Scusa, non ti volevo disturbare. Io volevo solo riprendermi il mio desiderio.>>
<<Non puoi, tutti questi sogni sono miei.>>
<<No che non sono tuoi; erano di mia madre, mio padre, dei miei amici. E tu li hai rubati e ce li devi ridare.>>
L'altra arricciò il naso incrociando le braccia <<Non posso ridarteli, mi dispiace. Torna da dove sei venuta.>>
<<Perché?>> La pregò Gala con le lacrime agli occhi. Le sembrava ingiusto. I desideri creati con amore dalla gente, non potevano restare lì.
<<Perché io devo restare qui e non posso fare niente. Se tu mi togli i sogni, resto sola. Se rubo i sogni conosco le persone.>>
In quel momento, la bimba si accorse che l'altra al posto dei piedi aveva le radici; non sarebbe mai andata da nessuna parte. Provò pietà e dispiacere, perché in fondo era come lei, ma meno fortunata e davvero non poteva sognare niente. 
D'un tratto ebbe un'idea, anche se dolorosa e le avrebbe fatto male <<Tu non vuoi restare sola?! Allora facciamo così: se restituisci i sogni alla mia gente e non glieli togli più, resterò per sempre con te.>> Disse, sapendo già che le sarebbero mancate le carezze della mamma e i baci della buonanotte del papà. Trovò la forza di abbandonare tutto ciò a cui teneva col pianto nel cuore che sentiva vuoto, ma con la consapevolezza di fare la cosa giusta.
La bambina coi capelli neri si gonfiò di contentezza per la proposta appena ricevuta ed accettò di buon grado, offrendosi perfino di cancellare i ricordi che la gente aveva di Gala, in modo che nessuno l'avrebbe cercata né sarebbe stato male. 
Fu così che le bolle colorate risalirono il tubo e tornarono a casa, il paese smise di essere vuoto e ognuno finalmente seppe cosa voleva dalla vita e come diventarlo. Tra tutti i sogni si alzò a sorpresa quello più grande che giaceva pesante in fondo al mucchio, il primo che l'altra bimba aveva portato via a tutti: la speranza. Poi il buco si chiuse e smise di aspirare.

Da quel giorno in poi, nessuno si ricordava dell'esistenza di una certa Gala, ma prese vita una leggenda che parlava di come la gente in un certo paese si era fatta portare via i sogni e di come un eroe valoroso aveva insegnato agli altri come andarseli a riprendere se fossero scappati via di nuovo.

martedì 7 maggio 2013

Stanno tutti bene.

"Se la ami veramente, come lei ama te, dille quello che vuole sentirsi dire! Dille che stiamo tutti bene!"



"Diceva che se non fosse stato per suo padre, lui non sarebbe mai diventato un artista. Ha detto che avrebbe finito per dipingere i muri e che i cani ci fanno la pipì sopra." 



"Everybody's fine" è una pellicola del 2009 che ricalca quella del 1990 targata Tornatore "Stanno tutti bene". E' una storia delicata, capace di affrontare in modo toccante il tema dei sogni, delle aspettative dei genitori che spesso e volentieri, nonostante i sacrifici, rischiano di venir deluse. Frank, un uomo che per tutta la vita ha lavorato in un'industria che crea le coperture in pvc per i cavi telefonici, alla morte della moglie decide d'intraprendere un viaggio per cercare i figli sparsi per l'America e vedere come se la passano con la vita. L'impresa, in realtà tutto fuorché semplice, porterà a galla verità nascoste e scomode da affrontare. Stanno realmente tutti bene?!
Il film ovviamente vi consiglio di vederlo, perché analizza ad ampio spettro le dinamiche del rapporto genitore/figlio e ci costringe anche a buttare uno sguardo sul presente, a valutare il vero senso della vita.

Cosa vuol dire realmente stare bene?! Il mondo c'impone canoni sempre più serrati da rispettare, una serie di step da raggiungere verso la perfezione, che dovrebbe coincidere con la felicità. Ma raggiungere la vetta, ci rende davvero felici?! La vita è diventata una fatica continua, in cui ogni fase dev'essere perfettamente incasellata, etichettata e non si è mai arrivati, mai soddisfatti di sé stessi. E' come cercare di prendere fiato tra le spire di un serpente; siamo intrappolati in una società dove chi non sa essere un leader, o perlomeno produttivo, non serve, non ha ragione di essere e non ha uno spiraglio di felicità. Solo che in questa fame, questa voglia di arrivare o di riuscire perlomeno a far arrivare i nostri figli a tagliare un qualche traguardo, forse perdiamo di vista proprio il passo più importante: essere felici. Forse non diamo mai il giusto peso alla bellezza di un abbraccio, alla morbidezza di una carezza fatta col cuore, al rossore che ci sbatte in faccia  il  tramonto ogni sera, alle prime sillabe di un bambino e al suo sorriso nello scandire "mamma" e "papà". Lasciamo ogni singolo istante scorrere sbiadito, non lo assaporiamo mai, non ne sentiamo mai davvero il calore. Non memorizziamo gli affetti, lasciamo che svaniscano anche quelli. Ci adoperiamo così a lungo e incessantemente per il successo, bagno di fumo e facciamo sempre troppo poco per tenere in vita un amore, un'amicizia. Come se le persone fossero destinate a non incontrarsi mai davvero, a vivere e morire sole, ad essere ingranaggi di un ciclo produttivo buttati via appena salta via un dente.
Non riconosciamo più i piccoli miracoli che passo dopo passo raccogliamo lungo la strada.
Il sole ogni mattina ci ricorda che nonostante i sogni infranti, le mete inarrivabili, le prospettive che magari non realizzeremo mai, siamo vivi e possiamo agire. Possiamo assaporare ogni singolo giorno il senso della vita, che non è poi così lontano come vogliamo pensare.
Forse non siamo mai felici davvero in tutta la nostra esistenza e non permettiamo nemmeno alle generazioni successive di esserlo, perché invece di gustarla, sentirne il sapore,  siamo troppo occupati ad affannarci per arrivare, senza nemmeno sapere dove.