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giovedì 19 settembre 2013

Recensione - Loud Like Love: 10 (è il voto, non il numero delle tracce)



Era il lontano 2009 quando ho conosciuto i Placebo.
La miccia si è accesa per caso: percorrevo con una mia amica il salitone verso la scuola, quando rubandole un orecchio delle cuffiette dell'mp3 (o era un ipod?) mi scatta in testa quella canzone. Non mi diceva niente di nuovo quella voce così suadente che sembrava provenire da un altro pianeta; li avevo già sentiti da qualche parte. Beh, quella canzone era Every You, Every Me e da lì ho cominciato a cercarli, trovando un mucchio di brani che sentivo di sfuggita durante la mia vita, ma di cui non afferravo mai la matrice. Twenty Years, Infrared, avevano sempre accompagnato la mia esistenza e non sapevo di chi fossero; conoscevo come loro soltanto Song To Say Goodbye, ma era passata piuttosto inosservata. Quando tuttavia ho ricomposto i frammenti del puzzle, si è aperto un mondo.
Era un periodo scombussolato, difficile e scoprirli è stato come se la mia sofferenza, quel continuo decadere avesse acquistato finalmente un senso. Il mio essere inadatta, strana, ipersensibile, confusa, incompresa, aveva appena trovato un nome, dei compagni. Sentire le note fondersi con la voce di Brian è stato un palese: non preoccuparti, non sei sola. C'è chi cade nel tuo stesso Inferno.
E ci sono riuscita: grazie a loro ho smesso di disgregarmi da sola. Sapevo che qualcuno, specialmente quel ragazzo perennemente truccato, talvolta in gonnella, poteva capire e con la sua voce tappare immensi buchi dentro di me. Aveva sofferto così tanto da poter aiutare altri a capire qualcosa di più della propria anima.
Folgorata da tanta comprensione, quando ricevetti l'album appena uscito, lo divorai. Ma non era lo stesso. C'era qualcosa in quel tentativo di rinascita, in quell'ossessività di chitarre, che non era nelle loro corde. Mi spiego: i Placebo non sono mai stati un gruppo allegro; sarebbe improprio definire così Battle For The Sun. Era... come dire, meno introspettivo.
E la discesa verso gli inferi dov'è?!
Il risultato che ne conseguì fu il seguente: tanti complimenti, ma la totale mancanza di quel feeling viscerale, del morboso attaccamento di cui avevo bisogno. Era totalmente assente l'elemento placebo: la dipendenza. Non riuscivi più a trovare quel tormento radicato che ti scombussola le idee, toglie aria ai polmoni, che ti fa fermare, abbandonare tutto quello che stavi facendo solo per ascoltare quei pochi istanti di sublime.
La sensazione fu quella di aver perso un amico. Potevo conoscerli prima, quando Brian era ancora un ragazzino dilaniato dalla vita. Come me.
Poi c'è stato B3, e la sensazione di perdita cominciava a divenire una certezza. Una crepa che si allarga.




Quando è stata annunciata l'uscita di Loud Like Love, ero pertanto già pronta al peggio. Ecco, adesso li perdo del tutto. Però dai, come darmi torto: copertina psichedelica e il nome avrebbero spaventato chiunque. Altro elemento horror è stato il breve teaser del brano omonimo, che da quelle poche note non si capiva assolutamente che diamine fosse. Però sembrava una gioiosa schitarrata.
Successivamente, viene lanciato il primo singolo, quello che secondo loro riassume il senso dell'album: Too Many Friends. E qui, almeno io, ho tirato un luuungo respiro di sollievo.
Si comincia a ragionare.


Nel complesso, LLL non risulta affatto un'accozzaglia di canzoni a caso: pare essere piuttosto un percorso che analizza le relazioni, la cui apoteosi viene raggiunta con la SUBLIME Bosco. Un lungo tunnel che s'imbocca quasi ridendo, per poi uscirne morti e rinati. Straziati.
Ovviamente ho intenzione di passare le tracce in rassegna una per una, perché quest'album merita davvero: è un capolavoro i cui i Placebo sono riusciti a fare il salto di qualità, mixando stili diversi. Non importa più se apprezzi il ritmo flamenco di Scene Of The Crime o l'elettronica galoppante di Exit Wounds (anche se a me, personalmente, l'elettronica nelle canzoni fa impazzire); ci sei dentro comunque. Il primo pensiero a conclusione ascolto, è di aver sentito un Meds per l'intensità complessa, emozionale; ma con quella marcia in più per attrarre non solo i fanatici della band.
Ad ogni modo, ci tengo a ringraziarli; perché nel 2013, dove la maggior parte della musica sta andando in rovina, sono riusciti a sfornarci questa meraviglia.

1- Loud Like Love
Da principio, l'intro mi sembrava una sigla da pubblicità dei canali per ragazzi, quando mostrano la programmazione estiva. Poi mi sono resa conto di aver pensato una grossa cazzata (mea culpa).
Il suo punto di forza è l'energia: è una scarica che si proppaga e contagia l'aria intorno. Ha lo stesso modo di aggredire gli spazi di Battle For The Sun. Ovviamente, il fan dei Placebo è preso in contropiede: si aspetta qualcosa di diverso da un "Siamo forti come l'amore", da quel giochetto Breathe/Believe che sa tanto di massaggio cardiaco. Quasi fosse in atto una metamorfosi, una rinascita.
E' una partenza grintosa, come per dire: "sveglia! Abbiamo iniziato!", e funziona.
E' bella. Ma se conosci il gruppo, stai ancora aspettando i demoni.

2-Scene Of The Crime
Violini e battito di mani flamenco. La voce di Brian che si fa pungente e stuzzica dove fa male (tra l'altro, il suo timbro è solito farsi lacerante quando accompagnato da violini e pianoforte): benvenuti nel cd. I fantasmi cominciano a uscire, a ferire.
Tutti, dopo un po' che la canticchiano, finiscono per chiedersi:Ma di cosa parla realmente?
Non si sa. Si presta a molteplici interpretazioni; ti ritrovi inevitabilmente a domandarti se il cosiddetto "corpo da nascondere" sia un corpo effettivo, o se si tratta di sporcizia interiore da far sparire. O magari no. Potrebbe trattarsi dei molteplici errori commessi lungo il percorso. Un'esistenza di sbagli.
Chi lo sa, magari entrambe le opzioni.
Alla fine, far sparire il corpo, non è nemmeno il problema maggiore: we almost made it/ making it is overrated.

3-Too Many Friends
Priva di eccessi, eppure così risoluta. L'imposizione in questo caso, più che dalla musica è data dalle parole (anche se le note comunque ti si conficcano una ad una in testa: è un tormentone)
Il My computer thinks I'm gay, ha subito fatto fantasticare qualcuno sull'intento omofobo del testo. No, vi prego.... tutto tranne questo si poteva dire a una band, il cui cantante ha esordito conciato da donna. Prima di puntare il dito, si dovrebbe meditare sulle origini: Brian Molko è stato il primo a prendersi con coraggio i peggiori insulti dai compagni di scuola per la propria androginia. Ritengo sia difficile, improbabile ottenere proprio da lui un testo omofobo. Ci tengo a rimarcarlo, perché si tende a dimenticare troppo in fretta un passato, che invece segna le persone. E poi ne riparliamo una volta letto il meraviglioso testo di Bosco.
La canzone è una critica; non tanto rivolta ai social, quanto all'uso che l'uomo ne fa: avere mille mila amici su facebook, non fa di te una persona amata, e soprattutto non ti rende meno solo.
Quello che non avevo notato le prime volte, è che rispetto alle altre non crea particolari sbilanciamenti emotivi: è struggente, ma in un certo senso tiepida. Distante. Non c'è quell'inivito a sporcarsi di disperazione... e una volta visto il video, così asettico, ti rendi conto che è cosa voluta. Come a rendere la disumanità dei social. Come a dire "non ho intenzione di sporcarmi con te, nonostante siamo amici".

4- Hold On To Me
E' qui che il disco comincia a prendere una piega inaspettata: il sound è differente, sembra provenire da una fonte sconosciuta; non dai Placebo. Ha una musicalità particolare, che s'insinua subito nella memoria in modo stabile e ci mette radici. Crea un'atmosfera accattivante, psichedelica, ipnotica in cui lasci tutto e ti fai cullare dalla canzone. L'invito ad aggrapparsi a lui è molto più profondo di quello che sembra: è un'implorazione, la prosecuzione nella ricerca di una redenzione faticosa, difficile, che trova il culmine in un'evoluzione. Un salto dimensionale che coinvolgerà l'umanità. Una sorpresina dovuta alla meditazione di Brian?! Fatto sta che è il primo brano dell'album a contenere caduta e risalita nel contempo. Come se si dovesse necessariamente affondare prima di vedere la luce.
Se dovessi riassumerla in una parola userei il termine"ipnosi".

5- Rob The Bank
Questa è uno spettacolo ascoltata dopo la 4. Tu sei lì tranquillo che ripeti "Hold On To Me", stai ancora cercando di uscire dalla catalessi, quell'oceano immenso di luce, che senti un secco "Rob The Bank!" Certo Brian, andiamo... un momento, a far cosa?!
E' lì che realizzi che si tratta di un pezzo radicalmente diverso: dai toni netti, schietti, maledettamente rock. Una sveglia crudele dal bel sogno interdimensionale; bentornati nella realtà.
L'invito carino di andare a svaligiare banche un po' ovunque, potrebbe ricondurre alle duecentomila teorie complottistiche monetarie che girano al giorno d'oggi. Fa molto "fuck the system"; tutti ci avevano pensato ... invece no. A quanto pare non è nemmeno un dispetto alla famiglia (vedi il lavoro del padre).
Il senso esatto dovrebbe essere questo: "puoi svaligiare banche, essere la persona più spregevole del mondo; ma finchè tornerai a casa a fare l'amore, io ti amerò." Potrebbe sembrare un concetto triste, ci potrebbero essere obiezioni morali a ciò. Eppure ci sono parecchi rapporti umani che sono ciechi, funzionano esattamente così: fingerò di non vedere il male che fai a tutti, finché non ne farai a me.
Un concetto un tantino egoistico, portato a galla da un'analisi precisa, profonda delle relazioni umane. Sarà per questo che la musica è così tagliente?!

6- A Million Little Pieces
La delicatezza di una piuma nella disperazione di una carezza d'addio. Un singhiozzo sommesso: un pianto immaterico, malinconico, che non lascia traccia alcuna del proprio passaggio. Amo questa canzone; in un certo senso prepara a tradimento il terreno per l'ultima. Il capolavoro.
La parola d'ordine è : pianoforte. Si fonde perfettamente con la voce fino a formare una grandine di brividi, ognuno dei quali va a segno. Dardi infuocati nel cuore.
Anche in questo caso la diversità è lampante, anche più di quella di Hold On To Me: non è la solita ballata angosciante, niente caduta. E' un dolore maturo, esternato con dignità. Quasi ci fosse un'implicita rabbia, una ferita coperta dall'annichilimento. Lui che se ne va perché quel posto gli succhia energie. But I'm leaving/ This weary town/ Please no grieving/ My love, understand
Questo pezzo è la classe. E' la traduzione im musica del pensiero di molte persone che si sentono ingabbiate da un luogo, da una situazione, da sè stessi. E' la fuga di quando c'è troppo dolore per respirare e si prova altrove a darsi un senso. Gli darei il massimo dei voti, se non esistesse Bosco. 9 e mezzo, anche di più; mi tengo bassa solo perché per l'altra dovrei inaugurare una scala numerica dal 10 in poi.
7- Exit Wounds
Eccola qua. Quella che riterrei la più elettronica del gruppo ed è proprio il glaciale sound che in qualche modo smorza l'acuta tristezza del testo. Lo scivolamento della musica, fredda istantaneo le emozioni; laddove dovresti percepire il senso di calore, c'è un ghiaccio perenne. Come se tutta la passione fosse bruscamente anestetizzata dall'abbandono, ma nel contempo non si potesse realmente reprimere. E' come se le note cercassero di malcelare ciò che dicono le parole.
Se non l'ascolti con attenzione, ti sembra quasi una canzone più serena di com'è in realtà. Fino a quando non ti sorprendono frasi come: If I could, I would hover/ While he's making love to you/ Making rain as I cry. É allora che senti tutta l'ansia, quel groppo in gola che si attacca e non scivola, non lo scrolli più.
A parer mio è anche uno sfogo d'orgoglio, alla: non lo amerai mai come hai amato me. Ma poi si tradiscono le proprie intenzioni; perchè il sentimento, la rabbia sgorgano a fiumi proprio nell'attimo in cui si è abbassata la guardia. Come a lasciar intendere, che i classici "nessuno sarà meglio di me", non sono altro che dei "ti prego, torna che mi sento morire".

8- Purify
Questo brano crea un feeling istantaneo; sia per l'andamento veloce, forte, sia per il testo d'impatto. Adrenalinica, immediata, va a colpo sicuro in vena. Il linguaggio si fa più esplicito: si parla di purificazione, ma molto più della tentazione: baci dietro le gambe e quant'altro. Vi dico solo che nel video (di quelli girati dai registi emergenti) c'è un prete giovane particolarmente attratto da una donna, combattuto tra la voglia di possederla e i propri principi morali. Cosa peserà di più sulla sua bilancia interiore?

E' una delle più aderenti allo standard placebico, in cui non c'è discepanza tra le immagini evocate dalle parole e la musica: anzi; crescono di pari passo. Così aderente allo standard, che in quanto a sonorità sembra attingere qualcosa da For What It's Worth (non chiedetemi cosa, ma ormai mi sono fissata: è mezz'ora che le ascolto una dietro l'altra per cercare di capire).


9-Begin The End
Prende il via con una dolcezza allucinante che ti apre il cuore. Scende come pioggia in un cielo grigio, senza speranze. Leggera ballata, sembra quasi fare botta e risposta con Exit Wounds; una lotta con l'amato, ma soprattutto interiore tra ciò che impera il cuore e ciò che ribatte il cervello. E' un sofisticato: "vorrei ma non posso più. Addio".
Il testo è una doccia fredda, una scarica di aghi. Pura poesia. Basta pensare a quanto distacco e nello stesso tempo voglia di proteggere l'altro riesce a contenere la frase And I don't enjoy to watch you crumble. È una canzone che ti prende, ti manda di traverso la giornata e mozza il respiro per quanto rende alla perfezione lo strazio di lasciarsi.

10- Bosco
Una farfalla che si sgretola morente al sole. Ha senso?! E' un'immagine felice?! No. Però è la visione che ho avuto pensando a questa canzone. L'idea di una sofferenza più profonda, quasi grottesca, di cui ci si vergogna. In fondo, ci si vergogna sempre di esporre qualcosa, quando ci riguarda e paralizza nel profondo. Paura che gli altri nemmeno ci prendano sul serio, dandoci dei melodrammatici. Una sofferenza timida, che quasi non si ha la forza di tirarla fuori; ma intossicante, atroce al punto tale che la si sputa via per non morire. Perché c'è un bisogno impellente di ringraziare e chiedere il perdono. Potrei farci un trattato per quanto è immensamente meravigliosa.
Ci sto mettendo così tanto entusiasmo che mi sembro Benigni quando legge la Divina Commedia. Ma l'effetto che fa è più o meno questo: ti accende qualcosa dentro; ti ritrovi come una fontana, con la pelle che trema. E' forte, ti penetra come quando si sente freddo all'anima e si desidera solo un abbraccio.
E' una "lettera" di scuse tutt'altro che formale, che ha inizio con I love you more than any man (poi dite omofobia). Poche parole dalla sincerità spudorata, sembrano quasi le scuse pure dei bambini quando corrono dalla mamma. Commovente, perché sgorga dalla parte incontaminata del cuore: quella che si conserva per pochi.
L'anima si sgretola con un semplice intro di piano. Io ho avuto paura ad ascoltarla, piangevo già all'inizio. Ricordate "voce di Brian più violini e piano"? Beh, ecco il piano in tutto il suo splendore.
Parla di un amore orgoglioso, in cui si cerca ogni volta di mascherare la frustrazione, ma poi ci si sente solo più sporchi e debitori. Un amore in cui si fa fatica ad ammettere i propri limiti, ma poi escono fuori straripando, imbrattando tutto ciò che c'è di buono: How I suck you dry . E si cerca redenzione, un disperato perdono.
Ma le mie parole servono a poco; un capolavoro così va solo ascoltato.

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11- Pity Party (of one)
Questa è la cosiddetta "traccia fantasma"
Intensa, struggente. Criptica ma chiara nel contempo. Sempre intrisa di addio e abbandono. Ma stavolta il rifiuto è in pieno stile Placebo: più che l'eccezione, è la regola. Il rimorso parte come un cane rabbioso che strappa, dilania, crea un abisso tra le persone. Un'autocommiserazione indesiderata.
Un pezzo che non ha niente da invidiare agli altri, ma più nella tradizione.

E' un album ricco, capace di sgretolare in un modo o nell'altro un pezzetto d'anima ad ognuno. Capace di strappare lacrime inaspettate