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giovedì 24 maggio 2018

NEVERLAND Peter & Wendy, di Connie Furnari






Neverland
Peter Pan & Wendy
Genere: Paranormal Romance
Romanzo autoconclusivo in volume unico
Link d’acquisto: http://amzn.eu/gcCp0ns
Contatto autrice conniefurnari@hotmail.it



Era cosa nota che i Darling avessero sempre abitato nel quartiere di Bloomsbury, al numero quattordici.” Wendy ha sempre sentito strane storie, sulle donne della sua famiglia, soprattutto sulla sua famosa trisavola, la prima Wendy Moira Angela Darling. Si racconta, da intere generazioni, che un ragazzino misterioso entri di notte, e rapisca le bambine nei loro letti.
La notte prima del suo diploma, alla finestra di Wendy appare un bellissimo ragazzo, dagli occhi verdi e dai capelli color castano ramato. Lei ricorda di averlo già incontrato molti anni prima, quando era piccola. Ma è diverso dal Peter con il quale aveva volato nei cieli di Londra.
Peter Pan è cresciuto. Apparentemente ha la sua stessa età, non è più un ragazzino allegro ma un giovane uomo tormentato.
I ricordi di Wendy riaffiorano. Ricorda di avergli dato il suo Bacio Vero, il bacio che lei aveva sempre custodito per il suo unico amore, e che ha fatto scegliere a Peter di crescere.
Wendy lo segue volando, ritrovandosi in un’altra dimensione, in una Londra cupa e senza leggi, che somiglia a quella vittoriana.
L’Isola che non c’è è diventato un luogo da incubo e denso di pericoli, dove niente è come sembra, dove nessuno si fida più dell’altro.
La colpa è di Peter. È cambiato, la sua anima, una volta spensierata e innocente, sta diventando sempre più oscura, e Wendy teme che anche il suo amore per lei possa morire.
Accolta dai nuovi Ragazzi Sperduti, che la eleggono loro capo e le insegnano a combattere, Wendy si troverà a un bivio dopo aver conosciuto un giovane e affascinante Capitan Uncino, deciso a conquistarla.

Campanellino e Giglio Tigrato sono misteriosamente sparite nel nulla, e l’Ombra di Peter incombe minacciosa su tutto, decisa a sterminare le fate, le sirene, i pirati, i pellerossa.
L’Isola che non c’è racchiude dei segreti mai svelati e l’unica in grado di salvare Peter che si è perduto nelle tenebre è Wendy, credendo in lui ma soprattutto in se stessa.

Neverland” è un retelling di Peter Pan, con un finale alternativo e un’intensa storia d’amore, fra due adolescenti appassionati.
Un Paranormal Romance pieno di avventura e intensi momenti di romanticismo, liberamente ispirato al romanzo di James Matthew Barrie.
Un Amore Immortale, in un mondo fantastico, oltre i confini del tempo.
Alla fine del volume, in regalo per i lettori il bonus “Curiosità su Neverland”, il backstage sulla realizzazione del romanzo.






Altre opere dell’autrice, su Amazon Kindle Unlimited:
WITHIN YOU (Romance New Adult)
DESTROYED (Dark Romance)
PECADOR I
(Romantic Suspense) http://amzn.eu/6zE7vC2
PECADOR II
(Romantic Suspense) http://amzn.eu/dfEPgNw
CINDERS Cenerentola (Romance)






NEVERLAND Peter Pan & Wendy (stralcio):
«Durante questi cinque anni, mi hai sempre sorvegliata come un angelo custode, di nascosto» mormorai. «Perché? Perché non ti sei mai fatto vedere da me?»
«Volevo prima diventare l’uomo che meriti, e non lo sono ancora. Forse, non lo sarò mai, Wendy.»
I suoi occhi verdi brillarono nella penombra, alla luce della lampada da notte. E mi spaventarono. Quello non era più il mio Peter, qualcosa di inquietante si era impossessato di lui, e se non avessi fatto qualcosa lo avrei perduto.
«Peter…» non ne avrei mai avuto abbastanza di pronunciare il suo nome.
Gli feci una carezza sulla guancia e lui stavolta non si ritrasse, ma socchiuse gli occhi. «Voglio darti un bacio» sussurrai.
Se fosse stato il piccolo Peter che conoscevo, avrebbe allungato la mano e mostrato il palmo, per ricevere un ditale, ma lui non lo fece.
Da questo compresi che era davvero cresciuto e mi si spezzò il cuore.
Mi avvicinai e posai la mia bocca sulla sua. Fu meraviglioso baciare Peter, il mio Peter, che avevo atteso per così tanto tempo.
I nostri baci sarebbero sempre stati così, Baci Veri, mai più ditali. «Io ti amo, Peter Pan» gli sussurrai piano. Era quello che avevo sempre saputo, quello che avevo aspettato di dirgli da troppo tempo forse.




L’autrice

Connie Furnari è nata a Catania. Laureata in lettere, appassionata di cinema, pittura e film d’animazione, ha pubblicato con varie case editrici, in self publishing e ha vinto diversi premi letterari.
È una scrittrice multi-genere, predilige scrivere il fantasy e il paranormal, ma si dedica anche al romance, al thriller, alla narrativa per bambini e ragazzi, e ad altri generi letterari. Tutte le sue opere sono facilmente reperibili on line, sia in digitale che in cartaceo. Vive tra centinaia di libri e dvd, ed è presente nei social network. Ama leggere, disegnare manga, e dipingere quadri.




La sua email è conniefurnari@hotmail.it

I suoi contatti:

I suoi romanzi sono disponibili in edizione digitale e cartacea, su tutte le piattaforme, tra cui:






NEVERLAND





Peter Pan & Wendy

Tutti i bambini crescono, tranne uno.

James Matthew Barrie, Peter Pan








Capitolo 1

Il ragazzo che non voleva crescere


La finestra era chiusa, in casa c’era soltanto un silenzio assoluto e irreale, lo stesso che regnava ogni notte. Al di là dei vetri, oltre le tende di pizzo, si intravedeva la luna piena, gigantesca e pallida, in un cielo scuro.
Il suono di un flauto di canne si propagò nell’aria e fu quello l’unico rumore che mi fece svegliare, mentre dormivo nel mio letto.
All’inizio, pensai fosse solo la mia immaginazione, ma avevo sentito così tante volte quella dolce musica, durante la notte, che mi destai di colpo.
Di solito, udivo il suono del flauto nel dormiveglia, un attimo prima di addormentarmi, ma mai da sveglia.
Aprii gli occhi ma la musica non cessò, questa volta.
Il sussurro del vento, il mormorio dell’acqua. Curiosa, mi levai a sedere sui cuscini del letto.
In soli sei anni di vita, avevo udito così svariate volte il suono melodioso di quel flauto da non averne più paura.
Mi alzai, diretta alla finestra chiusa. Non appena aprii le ante, scansando le tende di pizzo, intuii cosa sarebbe successo.
Qualcuno mi aveva raccontato che alle donne della mia famiglia era sempre stato riservato un destino particolare, che eravamo delle prescelte, fra tutte le ragazze a cui lui faceva visita.
A causa del nostro nome.
Indietreggiai, quando l’Ombra entrò nella camera. Si muoveva tenendo le braccia in avanti, volando sui muri. L’ombra di un ragazzo.
Sembrava vivere di vita propria, continuava a percorrere le pareti della mia stanza senza fermarsi, come se stesse fuggendo da qualcosa.
Dopo l’Ombra, giunse un tintinnio di campanelli, assieme alla luce di una lucciola dorata. All’istante compresi che il tintinnio proveniva proprio da quella luce d’oro, che saltellava sui mobili.
Una fata. Il corpicino minuscolo era aggraziato, sembrava nuda, e solo quando rallentava il suo volo, riuscivo a vedere che indossava un vestito di resina verde sfumata di giallo, uguale a quella che cresce sugli alberi.
Le sue ali, trasparenti e iridescenti, non stavano un attimo ferme, come quelle di una libellula.
Infine, in contrasto con la gigantesca luna piena, lo vidi. Era il ragazzo che veniva a guardarmi dalla finestra quasi ogni notte, fin da quando ne avevo memoria, e che ogni donna della mia famiglia conosceva, grazie ai racconti tramandati di generazione in generazione.
Ed era proprio come lo avevo sempre immaginato.
Se ne stava ritto in piedi, con i piedi sul davanzale della finestra aperta, i pugni sui fianchi.
Anche lui sembrava indossare gli stessi abiti della fata: i suoi pantaloni e la sua maglietta a maniche corte erano fatti di resina e di foglie.
Solo quando scese con un salto dal davanzale, e atterrò sul pavimento volteggiando, potei osservarlo alla luce della lampada che mia madre lasciava accesa ogni notte, nella mia camera.
Aveva i capelli color castano ramato, gli occhi verdi. La pelle abbronzata dal sole. Il suo fisico era scattante e atletico, già alto per l’età apparente che mostrava, forse tredici anni.
Ma Peter non aveva un’età.
Era l’unico ragazzo al mondo che non era mai cresciuto.
Mi chiesi come avesse fatto a raggiungere il terzo piano della casa da quell’altezza, poi ricordai che sapeva volare.
Ci guardammo, sembrò timido all’inizio: come se mi conoscesse, ma non osasse parlarmi.
«Ciao. Tu le somigli tanto ma non sei lei» pronunciò deciso, con la sua voce argentina.
Prendendo coraggio, mi avvicinai, percorrendo il pavimento freddo con i miei piedi scalzi. «Ciao. No, non sono la Wendy che conoscevi.»
«Però la casa è la stessa.» La sua confusione era evidente e a quel punto, decisi fosse il momento di spiegare.
«È passato molto tempo, dall’ultima volta in cui hai visto la prima Wendy» mormorai. Non potevo dirgli che la mia trisavola era morta tanti anni prima, così come molte altre donne della famiglia Darling.
Sapevo che Peter dimenticava. Che gli anni, per quel ragazzo, non avevano alcun valore; potevano sembrargli giorni, invece per noi erano decenni.
Notai che stava cercando altri letti, in quella stessa camera. «No, non ci sono neppure John e Michael.»
A quel punto, accadde qualcosa che non mi aspettavo. Fece il broncio e per poco non cominciò a singhiozzare: era davvero un ragazzino egocentrico, proprio come mi avevano raccontato.
«Non piangere» avanzai di un altro passo, decisa a consolarlo, «se vuoi, possiamo essere amici.»
Alzò i suoi occhi, che erano di un bellissimo verde smeraldo, lo stesso colore dei boschi. «Come ti chiami?»
Mostrando un inchino a dir poco teatrale, mi presi la lunga camicia da notte con le mani, e mi presentai. «Wendy Moira Angela Darling. È un nome che si tramanda spesso, fra le donne della mia famiglia. E il tuo nome, qual è?»
Glielo avevo chiesto per educazione, ma conoscevo già la risposta.
«Peter.»
«Lo so.» Gli sorrisi.
In effetti, era un nome piuttosto corto rispetto al mio e sperai che non ne rimanesse offeso, come quella notte di molti decenni prima, quando era entrato in quella stessa camera e aveva conosciuto la prima Wendy.
«Allora, vieni?» Peter mi porse la mano, invitandomi a raggiungerlo, e non esitai neppure un attimo. Era davvero impulsivo, come mi avevano raccontato.
«Dove andremo?» domandai, euforica.
«Nei Giardini di Kensington. È quasi l’ora delle fate. La loro festa sta per iniziare. Non ti piacerebbe partecipare?»
«Oh, Peter…» La mia risposta fu un sospiro sognante.
Nello stesso attimo, il tintinnio aumentò e la fata color oro luminoso che volava per la camera sembrò arrabbiarsi.
«Campanellino fa sempre così, ogni volta che invito una ragazza a seguirmi. Non capisco perché» si giustificò Peter. «È molto maleducata con le signore.»
Io conoscevo benissimo il motivo della gelosia di quella fata, ma non glielo confidai, perché anche se avevo soltanto sei anni, ero già una bambina piuttosto sveglia.
Ci avvicinammo alla finestra, in lontananza il Big Ben si stagliava sopra i tetti della città, oltre il quartiere di Bloomsbury.
I rintocchi si fecero udire, nella notte. Sarebbero stati dodici, ma non ebbi il tempo di contarli tutti.
La luce dorata girò sopra il mio capo, formando una spirale luminosa, ricoprendomi della polvere fatata che Campanellino aveva lasciato in giro per tutta la stanza.
Peter mi prese per mano e venni invasa da un profumo che ricordavo di aver già sentito parecchie volte, sempre di notte, mentre dormivo: l’odore dei mari, dei boschi, dei cieli.
Lo seguii, librandomi nell’aria.
Senza alcun dubbio.
Avevo sempre creduto di riuscire a volare.

***

Il sogno che feci quella notte, fu davvero strano e intenso. Sognai di volare su Londra, di solcare i cieli della città che conoscevo ancora poco, vista la mia giovane età.
Avevo scorto i camini fumanti, le tegole dei tetti, sotto di me.
Nessuno era per le strade, a quell’ora della notte. Non avevo mai lasciato la mano di Peter, anche se ero in grado di volare da sola.
Il calore della pelle di quel ragazzo era una certezza che mi cullava. Insieme, avevamo attraversato il cielo stellato, e ricordavo di aver visto così da vicino il Big Ben da rimanere abbagliata dalla luminosità del suo quadrante.
Quell’orologio, che da lontano mi sembrava sempre così piccolo, ogni volta che con mia madre uscivo per le strade, mi era parso enorme, forse più grande di quella stessa luna piena che ci vegliava.
Avevo visto il Tamigi, simile a un serpente sinuoso e immobile, silenzioso e buio, nella notte. Le luci del ponte di Tower Bridge Road si riflettevano sull’acqua come minuscole scintille.
Infine, Peter aveva planato sui Giardini di Kensington, oltrepassando i cancelli chiusi. Sapevo bene che dopo l’Ora di Chiusura accadevano cose fantastiche, ai Giardini.
Peter mi aveva fatta rimanere in volo, sopra gli alberi, dicendo che le fate di solito non approvano essere viste dagli esseri umani mentre danzano.
Eravamo rimasti a levitare a qualche decina di metri sopra l’isola degli uccelli, quella al centro del lago Serpentine, dove di solito hanno luogo le feste delle fate, durante le ore notturne.
In passato, avevo saputo di quei bambini coraggiosi rimasti ai Giardini di Kensington dopo l’Ora di Chiusura, proprio per vedere le fate.
Di quei bambini non se ne era più saputo nulla, ma tutti sapevano cosa accadeva ai piccoli che cadevano dalla carrozzina, che si perdevano di notte nei Giardini, o che fuggivano di casa: venivano presi dalle fate e consegnati a Peter.
Diventavano Ragazzi Sperduti. Peter li portava sull’Isola che non c’è.
Distesi le gambe, agitandole nell’aria fredda della notte, continuando a volare, e contemplai la danza delle fate sotto di noi, dopo aver incontrato lo sguardo compiaciuto di Peter.
A lui piaceva fare colpo sulle bambine e sulle ragazze.
La danza delle fate era un vortice variopinto, con tutti i colori dell’arcobaleno. Non avevo mai visto nulla del genere. La musica si udiva appena, per non svegliare gli uccelli, ed era suonata da piccoli zufoli creati con i gambi delle rose.
Osservai le fate che danzavano in coppie, vorticando in una spirale ipnotica che riluceva nel buio, come una galassia di stelle colorate.
«È meraviglioso» commentai, stringendo ancora più forte la sua mano.
Quando fu l’ora di andare, Peter mi si rivolse scrutandomi con i suoi occhi verdi, colmi di speranza. «Tornerò e ti porterò via con me. Aspettami sempre.»
Ci sollevammo nell’aria della notte, fino a raggiungere la luna piena, mentre sotto di noi le fate continuavano la loro danza, finché quei puntini luminosi non divennero stelle che mi circondavano in ogni parte.
A quel punto, mi addormentai, accoccolandomi fra le braccia di Peter.
La mattina dopo, mi svegliai in un letto d’ospedale, a Great Ormond Street Hospital, l’ospedale pediatrico.
Uno dei guardiani dei Giardini di Kensington mi aveva trovata all’alba, addormentata davanti alla statua di quel bambino con lo zufolo.

***

La sera successiva, quando mi dimisero dall’ospedale e tornai nella mia camera, notai qualcosa che mi lasciò sgomenta.
La finestra aveva le inferriate. Ed era chiusa.
«Tesoro, lascerò la luce accesa» mi disse mia madre, preoccupata. Si stava tormentando le dita, sopra il suo bell’abito elegante. «Se hai bisogno di qualcosa, chiamami.»
«Mary, calmati» vidi entrare mio padre dalla porta. Indossava sempre giacca e cravatta, visto che lavorava in banca. Si era sempre vantato di conoscere molto bene la borsa valori e non smetteva mai di ripetercelo.
«Ancora non capisco come sia potuto succedere, George» proseguì lei. «Come ha fatto la bambina a uscire dalla finestra e ad arrivare fino a Kensington?!...»
Nessuno lo aveva detto a voce alta, ma tutti pensavano che qualcuno mi avesse rapita, dal letto della mia camera, e che per qualche opera di misericordia mi avesse abbandonata nei Giardini.
Ecco spiegate le inferriate che avevano messo alla finestra.
Per fortuna, in quel momento entrò la persona a cui ero più legata, a salvarmi. «Nonna!» balzai sul letto, piena di energia e mi beccai un altro rimprovero da mia madre.
Nonna Moira, china sul suo bastone, vestita di nero e con i capelli bianchi legati in uno chignon, sorrise allegra. «Mary, George… andate a letto. Resto io con la piccola.»
«No» si oppose lei. «Basta raccontare storie strampalate. Fate, sirene, pirati, pellerossa… Non sono adatte a una bambina di sei anni.»
«Levatevi dai piedi, vecchi stoccafissi» la nonna alzò il suo bastone da passeggio, impugnandolo come se fosse una spada, nel modo in cui mi faceva sempre ridere.
Porsi il viso a mia madre e ricevetti il bacio della buonanotte, assieme a una carezza di mio padre. Non appena i miei genitori chiusero la porta, e la nonna si fu accomodata sulla sedia accanto al letto, esplosi visto che mi ero trattenuta a stento:
«Sono stata con Peter! È venuto da me!»
«Lo avevo immaginato» assentì nonna Moira. «Peter fa visita solo alle ragazzine che credono in lui. Venne anche da me, quando avevo tredici anni… Ma oramai non si ricorderà più dei giochi che facevamo assieme.»
«Sì, lui dimentica. L’Isola che non c’è fa dimenticare» sapevo come stavano le cose. Quindi, mi intristii, di colpo. «Peter dimenticherà anche me?»
Il volto di nonna Moira, divenne pensieroso. Non voleva deludermi, ma non voleva neppure mentirmi. «È difficile, a dirsi. Ancora oggi, nessuno sa come mai lui non sia volato sulla chiesa quel giorno, quando la tua trisavola Wendy Moira Angela Darling si sposò in rosa e in bianco, per impedire quel matrimonio.»
«Perché non lo ha fatto? Peter era innamorato della prima Wendy» considerai, attorcigliandomi una ciocca di capelli.
Il loro amore era una leggenda, nella nostra famiglia.
Soprattutto fra le donne. A volte, quando si parlava delle vecchie storie romantiche, nelle lunghe sere d’inverno accanto al camino, era scontato che prima o poi saltasse fuori il nome di Peter.
La nonna chinò lo sguardo. Sospirò, con rammarico. «Credo che nessuna ragazza sia mai stata in grado di convincere Peter a crescere, è questo il reale motivo.»
Sbuffando, mi rimisi sotto le coperte. Lanciai uno sguardo verso la finestra. Già odiavo quelle inferriate. «Nonna, ma se la finestra rimarrà chiusa, come riuscirà a entrare?»
«Wendy, se sei davvero importante per Peter» fu la risposta, «lui tornerà da te.» Si chinò, dandomi un bacio in fronte.
Socchiusi le palpebre e mi addormentai, sperando di sognare ancora il ragazzo che non voleva crescere.
È strano, come anche il tempo riesca a volare.
Peter non tornò più da me, visto che la finestra era stata sprangata con le inferriate dai signori Darling.
Lo aspettai ogni notte, per mesi, ma non udii più il suono del flauto di canne. Sapevo cosa pensasse Peter, riguardo alle finestre chiuse.
Anche se non lo volevo, cominciai a dimenticare la notte in cui avevamo volato sopra Londra, fino ai Giardini di Kensington, tenendoci per mano.
Dopo un anno, quando oramai avevo imparato a scrivere e a leggere, e sentivo i miei genitori pianificare il mio radioso futuro con una laurea in giurisprudenza, un lavoro ben pagato in uno studio legale, un matrimonio di lusso e dei figli, feci la mia scelta.
Decisi di crescere.
Il mio incontro con Peter rimase solo il ricordo di un sogno e dopo qualche tempo, dubitai perfino di me stessa. Di aver volato. Accadde così, purtroppo.
Nel momento esatto in cui dubitai di poter volare, persi la facoltà di farlo.



lunedì 21 maggio 2018

Frida. Un cuore rovente come la sua arte


Quando parliamo di una donna affetta da la spina bifida, che dopo un incidente con l'autobus da ragazzina si ritrova il corpo quasi frantumato, non stiamo di sicuro parlando di Frida Kahlo. L'immagine di una persona malata le cui energie vengono prosciugate dalle disgrazie dell'esistenza e nello specifico del suo corpo, non le fa da ritratto. Non è lei. Non vediamo disperazione nei suoi occhi: vediamo sempre, comunque, dovunque vita. Scorgiamo in lei qualcuno che non si è mai fatto sopraffare, anzi ha dilaniato e deformato la stessa vita che voleva fare questo con lei.
Il film lo trovate comodamente su Netflix e per l'intera pellicola non staccherete gli occhi da quello sguardo che è altofuoco. Lei brucia. Brucia costantemente, brucia brucia e brucia, avvampa ogni stanza in cui entra e le persone con cui ha a che fare, che finalmente sembrano animarsi e uscire dalla loro banale e ristretta routine. Le lambisce con le sue alte fiamme e come un'odalisca le seduce.
La sua personalità forte e accattivante non è stata fermata, non è stata imbavagliata da niente e nessuno. Questo è il messaggio che la storia trasmette forte e chiaro, ancor prima dei singoli eventi, ancor prima dei nomi, ancor prima delle opere. Prima ancora dell'inizio ci colpisce come un treno il fatto che questa donna esista con ogni molecola del suo essere e irradi luce attorno a sé, una luce da cui è impossibile non restare attratti.
Una donna che non ha mai smesso di dipingere nonostante le circostanze, nonostante le lunghe prigioni in un busto di gesso in un letto, nonostante il dolore inflitto di continuo dalla relazione con Diego Rivera, che diventa quasi un puntino di fronte a tanta immensità. Diventa un frammento di fronte a Frida che lo ama come se fosse l'unico uomo, con tutto il pathos, con tutta la sofferenza e il rancore che gli rovescia addosso come una doccia fredda. Lei non ha mezze misure, è intensa sempre e comunque, nel bene o nel male. Assistiamo alla storia di due anime che tendono a separarsi per poi tornare sempre al punto di partenza, come calamite. Magneti sbagliati, confusi, a volte persi in se stessi, ma senza una reale possibilità di fuga l'uno dall'altro.
"Frida" è un forte elogio alla donna prima ancora che all'artista. Le opere escono un po' penalizzate dalla celebrazione del privato perché non hanno una lettura approfondita, vengono presentate, più volte mostrate, ma non c'è un'analisi ben precisa. Io quell'analisi la collegherei però all'intera  sua esistenza, perché il suo pensiero artistico non è astratto: è forte, chiaro, strettamente legato agli avvenimenti all'interno della sua vita. È un dialogo serrato e continuo, una corrispondenza morbosa tra ciò che le accade e ciò che crea, come se si cavasse via le emozioni direttamente dalla pancia per poi lasciarle alla tela.
Ne sono uscita rapita, affascinata. La volontà e la forza di una persona spesso definiscono la persona stessa. Nessuno giunto a fine del film si ricorderà i lunghi periodi di fermo in un letto, i gessi, le amputazioni, le disgrazie, i pianti. Ci resta addosso qualcosa di magnifico: la voglia di essere vivi e di esserlo al massimo delle nostre forze. 

martedì 15 maggio 2018

Westworld stagione 2. Inizio col botto [SPOILER FINO ALLA TERZA PUNTATA]


NB: questo post non ha nessuna intenzione di essere troppo serio, però non sto inventando avvenimenti fasulli. Gli spoiler sono veri.
Per fortuna è finito il sermone di Dolores che si sveglia ogni mattina e dice che c'è bellezza perché stavo per piantarle un fermacarte in mezzo agli occhi. 
In questa stagione abbiamo la bionda lagnosa mescolata a un personaggio più grintoso e disfattista, chiamato Wyatt, che se non erro era il nemico giurato di Teddy. Infatti il povero malcapitato è sempre indeciso se eseguire gli ordini di morte e distruzione dell'arpia o se agire di testa propria. Se intendevano mandarlo in tilt ci sono riusciti. Scorgiamo più volte l'espressione perplessa del cowboy yesman nell'uccidere tizio e caio in maniera random. I personaggi sembrano avanti con la coscienza e anche il famigerato "Teddy farebbe di tutto per te" a una certa finisce... perché Teddy si è abbottato i meloni e ha deciso di tirarli fuori.
Pensavo quasi di essere pazza, che solo io avessi notato la sua faccia strana, invece no: a quanto pare capisco bene quando un individuo non ne può più, infatti tempo altre due puntate si rifiuta di fucilare i prigionieri che la matta raccatta a caso.
Comunque niente, Dolores è alla ricerca di un'arma segreta mostratale in passato da Will e comincia la conquista del mondo da Glory, l'oltrevalle. Sembra davvero cattiva per cui molti a una certa cedono.
Tra l'altro ritrovano anche il di lei paparino (il primo) che è misteriosamente inceppato e non riescono a ripararlo nemmeno con l'intervento di Bernard (che nel frattempo non capisce bene cosa gli stia accadendo, ha tremori continui).
Clementine pensiamo di non rivederla più, invece diventa una specie di zombie che prende ordini dai suoi superiori. O forse no? Ancora non è molto chiaro se anche lei è destinata a uno sviluppo oppure dovrà restare così alla Frankenstein. Fatto sta che è diventata inquietante. 
Finalmente il vecchio Will si trova "nel mulino che vorrei", è grato che appena incominciato il gioco stava per partirgli un braccio perché le armi sono vere. Quasi quasi provava a spararsi in tempia per controllare che non fosse una finta di Ford. No, scherzavo. Però sarebbe stato divertente. Estremamente divertente e avrebbe posto fine una volta per tutte alla sua inquietudine.
Maeve continua a portare a spasso moretti minuti in giro per il parco (non abbiamo capito affatto le sue preferenze in quanto a uomini) alla ricerca della sua bambina, accompagnata di quando in quando da una voracissima bionda con cui spero di non litigare mai in vita mia. C'è anche Hector (lo avevo incluso tra i moretti ma è un po' meno minuto) che adesso è l'equivalente di Teddy ma molto più motivato perché il suo affetto PARE scaturire dal libero arbitrio, visto che lui era programmato per amare Isabella e invece non lo fa.
Sospettavamo da tempo che ci fossero altri parchi (nelle puntate precedenti c'era una sezione del laboratorio con i samurai ...non gli stuzzicadenti, diamine non siate così terreni) e nella terza puntata ne abbiamo la conferma, perché ci ritroviamo ad un punto in cui notiamo che c'è proprio un'altra ala in cui compaiono nientemeno che le tigri. C'è una tipa vestita come Jane di Tarzan che sembrava importante per gli sviluppi, perché si smarca da un visitatore stupido e riesce anche a  salvarsi da una tigre. Solo che poi incontra gli indiani, che tra parentesi nessuno ha ancora capito cosa vogliano, sembrano un film a parte.
Conclusione: l'inizio di Westworld stagione due sembra Lost. Non ho compreso dove si vuole andare a parare, ma la pazienza ci premierà.

lunedì 14 maggio 2018

I Sense 8 torneranno... e io l'8 giugno (ma che spiritosi) sarò lì ad attenderli


SPOILER DELLA PRIMA E SECONDA STAGIONE
Tutta questa storia è cominciata in maniera piuttosto casuale da un commento diretto ai Nerdflics: che ne dite di fare una recensione su Sense 8? E io ero già lì a dire: "Ma certo dai, che ci vuole... ah no, aspetta un attimo. Non ho mai visto Sense 8" invece eccoci qui, dopo due intense stagioni ma ne avrei volute molte di più, a parlare di una serie tv splendida, fruibile su Netflix, che qualcuno ha sgraziatamente pensato di cancellare ma tante sono state le proteste che abbiamo vinto noi fan (mi c'inserisco anche io nonostante non abbia fatto nulla, mi sto appropriando di lotte non mie...ma vi giuro che avrei protestato al tempo se solo avessi saputo) perché ABBIAMO IL NOSTRO FINALE, che verrà dato in pasto al pubblico esattamente l'8 giugno non so di che ora, non l'hanno comunicato.
Ricapitolando, ci sono otto persone provenienti da diversi posti della terra che si scoprono collegate tra loro da una connessione telepatica. Il livello di empatia tra loro è così elevato che possono sentire sulla propria pelle le sensazioni degli altri e possono trovarsi anche negli stessi luoghi in cui si trovano i membri della loro cerchia. Pertanto no, la foto che vedete non è un nuovo poster di Friends, infatti loro non hanno molto da ridere, ma ve lo spiego tra qualche riga.
Più nello specifico la nostra storia parla di Capheus Onyango, Sun Bak, Nomi Marks, Kala Dandekar, Riley Blue, Wolfgang Bogdanow, Lito Rodriguez e Will Gorski.
Capheus è un autista di Nairobi che si guadagna da vivere guidando il suo invincibile Van Damn. Sua madre è gravemente malata e lui in funzione del cercare una cura diventa pieno d'inventiva. Se volete farvi quattro risate, tra la prima e la seconda serie è cambiato l'attore che lo interpreta. Io però non me n'ero accorta (l'ho letto adesso su Wikipedia) perché sono fisionomista al punto da non riconoscere mia madre da mia sorella. Non c'è speranza: i volti umani non s'imprimeranno mai nella mia testa.
Sun è una donna d'affari di Seul alle prese con le finanze dell'impresa di famiglia, un padre un po' troppo severo e un fratello che imbelle totalmente (e questo per andarci piano).
Nomi è un'hacker e anche lei vanta appena qualche problema con la sua famiglia, soprattutto con sua madre che non accetta neanche morta la sua trasformazione da Michael a Nomi, figuriamoci la sua relazione con Amanita Caplan (che molti conoscono come Martha Jones in Doctor Who).
La splendida Kala possiamo osservarla a Mumbai mentre cerca di scampare al matrimonio combinato con Rajan Rasal, che per carità è tanto un brav'uomo, ma credo lei preferirebbe sposare un procione.
Riley fa la dj a Londra e non ha ancora metabolizzato un passato orribile e ingombrante, che la disgrega interiormente; Wolfgang è un ladro e vive a Berlino, in un certo senso anche lui dovrebbe far pace con ciò che è stato.

Lito invece fa l'attore a Città del Messico e come Nomi ci porta verso delicate tematiche LGBT e la difficoltà di essere accettati nonostante non si viva più nel Medioevo. Egli infatti è gay ma ammetterlo davanti al mondo potrebbe distruggere per sempre la sua carriera. Will è un poliziotto di Chicago e purtroppo il precario equilibrio con suo padre viene ulteriormente assottigliato.
Non c'è una distinzione tra Sense8 e i personaggi che fanno parte delle loro vite. 
Faccio prima una precisazione: l'essere umano sembra essersi evoluto fino a delineare due specie ultime. Pertanto abbiamo una ramificazione definitiva, che distingue gli esseri umani in Sapiens e in Sensorium (ovvero coloro che sono connessi ad altre persone, i Sense8. Ci sono tante cerchie in giro). I Sapiens sono spaventati da questo mondo a loro sconosciuto fatto di condivisione ed empatia (ironia della sorte), quindi i nostri eroi non avranno vita facile.
I Sense8 sono perseguitati dalla BPO che vuole aprirgli il cranio (no non cercano il labirinto, così sbagliate serie) e non solo, il cui primo esecutore noto a tutti è Whispers, che guarda caso è un sensorium ma dà la caccia alla sua stessa specie. Lo scopo ultimo da quello che ho capito, più che fare scalpi alla gente, è quello di sfruttare i collegamenti delle cerchie, in modo da coglierne uno per far eseguire ordini omicida e suicida agli altri. Quindi insomma perché non manipolare il cervello di uno per ricevere informazioni e creare un gruppo di attacco?!
Quello che intendevo prima della precisazione, è che i Sense8 non sono i soli protagonisti, ma si dividono il palcoscenico con i Sapiens a cui sono legati. Lito non è niente senza il suo colto Hernando e la fedele e briosa amica Daniela, come salta all'occhio la pittoresca Amanita, compagna di Nomi che ha una parte molto attiva nella storia. I Sapiens non stanno a guardare; molti proteggono con le unghie i loro Sensorium, ma altri sono terrorizzati. 
La stessa BPO comunque sembra frutto dei Sensorium o meglio, Angelica, madre dei Sense8 (ha attivato la connessione di questa cerchia) ha collaborato fin dall'inizio e il suo compagno Jonas Maliki (ve lo ricordate Sayid di Lost?) sta andando avanti all'interno dell'organizzazione, ma si pone come dalla parte dei Sense8, apparendo a Will perché in passato hanno avuto un contatto visivo (tra cerchie diverse basta guardarsi negli occhi per essere collegati), però il suo operato non mi sembra poi così limpido, dal momento in cui prima sembra morire per mano della BPO, poi gli danno un nuovo ufficio eccetera.
Fatto sta che la cerchia passata di Angelica non ha fatto una bella fine. Jonas puzza un po' di falsità ma solo il tempo ci darà le risposte. 
È interessante vedere l'interazione all'interno della cerchia: sono ciascuno complementare all'altro e possono intervenire nelle vite altrui per tirare fuori dall'impaccio i compagni. Ho trovato un articolo molto particolare a tal riguardo, che paragona la cerchia a un gruppo di un gioco di ruolo. Come se gli otto facessero parte di una campagna di D&D e ognuno portasse al servizio degli altri la propria specialità (potete leggerlo QUI). È una riflessione particolare per chi ha giocato di ruolo e in effetti anche le funzioni di ciascuno sono ben delineate. 
Non aspettatevi niente di leggero e da ridere e basta, anzi: la vita ci viene presentata a 360 gradi piena delle sue brutture, ma anche di tanta bellezza. Brutture come il passato di Riley che mi ha fatto sanguinare il cuore. Questa donna che, appena perso il compagno in un incidente, si ritrova in mezzo al nulla a rischio ipotermia con una bambina, sua figlia appena nata, tra le braccia e sa di non poterla salvare. L'urlo di dolore giunge chiaro e inequivocabile ad ogni donna ma soprattutto ad ogni essere umano. È una creatura rotta e sembra che in fondo  non si ricomporrà mai, ma è questo che la rende di una bellezza incommensurabile. Ogni volta che vedo apparire Riley sullo schermo è come vedere un defunto che continua a vivere. Porta sempre l'ombra della morte su di sé ma nel contempo è fonte di speranza, è un faro, perché anche quando sembra tutto irreparabile, si può ricostruire la vita daccapo. 
Ci sono molti insegnamenti da trarre da ciascuno dei personaggi: Nomi e Lito ci aiutano ad accettare il diverso e rispettare la libertà di ciascuno di essere ciò che vuole, ci aprono la mentalità; Sun e Capheus invece ci aprono gli occhi sull'ingiustizia e portano a pensare che non importa quali siano i nostri, ci sono problemi peggiori a cui dobbiamo prestare aiuto. Ci ricordano che siamo chiamati anche noi a salvare il mondo, come in parte anche Kala sveglia le coscienze quando fa capire a suo marito che se persevera nella frode con i medicinali la perde (vero è che Kala ormai cerca qualsiasi pretesto per scaricare Rajan, portavoce dell'associazione Friendzoned anche dopo il matrimonio). Will e Wolfgang sono entrambi uomini d'azione che c'iniziano a una tematica universale: l'amore. Le loro relazioni rispettivamente con Riley e Kala sono a dir poco magiche... ma l'amore tra Sense8 è tanto completo quanto travagliato, in più i due rimandano insieme anche a Sun e Capheus al tema famiglia, all'importanza di prendersi cura dei propri cari... o forse no, Wolfgang?
La bellezza di questa serie tv è che è totale. Ci conduce a conoscere tutto il mondo, tutti gli aspetti sensibili e non della realtà, tutte le realtà e lo capiamo fin dalla sigla iniziale: imponente, massiccia che ci costringe a guardare la vastità del pianeta Terra in pochi secondi. Svettano grattacieli e poi siamo nella coloratissima India e poi le scene si susseguono finché non ti restano dentro. 
Ho tante teorie riguardo questo finale. Tutto mi aspettavo meno che prendessero Wolfgang, il più lontano dalle persecuzioni della BPO, troppo preso dalla sua serrata storia personale. È come una martellata sui denti, lo prendono e lo torturano barbaramente serrando il ritmo narrativo all'improvviso e non hai tempo di chiederti com'è successo. Ci aspettavamo che trovassero Riley, oppure Will, tutto potevamo pensare meno che scovassero lui e che avrebbero scovato Kala. 
Avrà avuto senso l'incursione alla BPO? Forse, lo scopriremo solo l'8 giugno.
Nel frattempo spero di far uscire una bella recensione sul canale Nerdflics
State in campana, anime, perché ho appena iniziato a parlare dei Sense8.

mercoledì 9 maggio 2018

"Queste gioie violente hanno violenta fine" (SPOILER WESTWORLD PRIMA STAGIONE)


Dolores Abernathy
Adesso faccio parte anche io di quella manciata di persone che si è appassionata a una serie tv che parla di robot, di persone, di robot-persone ma anche no?
Confesso che dopo aver assistito a quanto accaduto in "Ex Machina" non è che mi fidavo poi tanto e credevo che assolutamente non avrei fatto confusione. Ma se è vero che "Westworld" è un luogo che rivela la vera natura di ciascuno, probabilmente io sono troppo sentimentale per giungere a pensare che sono tutte macchine; eppure non sono tutte persone, non trovate che ci sia molta confusione? Tra l'altro, se a un certo punto, una volta raggiunto il centro del labirinto macchine non sono ma non sono nemmeno esseri umani, di che diamine di specie stiamo parlando?
Inizialmente sembra un gigantesco luna park: arrivi e fai quello che vuoi, con i residenti, che sono dei robot programmati per non essere aggressivi con i visitatori e che una volta morti vengono rimessi in sesto e tornano sul loro "palcoscenico". Ovviamente il "fai quello che vuoi" si riduce all' intrattenersi con le donnine a pagamento del saloon e uccidere i residenti all'impazzata perché l'essere umano ha aspirazioni becere, ma questo è un altro discorso ancora.
A un certo punto però giunge un ragazzo diverso dagli altri: William, che s'innamora perdutamente della bellissima e intelligentissima Dolores e decide di aiutarla a fare chiarezza nella sua testa, perché in lei sta crescendo una coscienza che non sembrerebbe più il programma di un robot...
C'è intanto da precisare che il parco nasce dalle idee malate di Robert Ford (vi dice qualcosa Hannibal o meglio Anthony Hopkins?) e il suo socio Arnold, che insieme ne hanno pensate di ogni colore. Ford ha creato un nuovo aggiornamento per gli androidi, le "ricordanze", che li aiutano senza dubbio a non ripetere gli errori delle vite e storie precedenti (ogni volta che tornano sul campo potrebbero cambiare narrazione), ma nel contempo il ricordo è una lama conficcata nelle carni, perché ricordare vite e vite di soprusi non è così semplice e può condurre alla pazzia. 
Maeve Millay
Dei residenti sono principalmente due le donne che sembrano trovare la loro coscienza: Dolores e Maeve, che nella sua storia attuale gestisce un "giro di donne dai facili costumi", ma in qualche altra occasione era una madre che doveva proteggere la sua bambina, creatura di cui non si sa più nulla.
Le storie di Ford sembrano aver perso mordente, ma a una certa compare una nuova narrazione che non è propriamente farina del suo sacco. Si parla spesso del cosiddetto "Labirinto", che altro non è che un modo per alcuni dei residenti di trovare la propria coscienza. Una volta giunti al centro del "Labirinto" sembra impossibile perdere i ricordi nonostante si muoia e Dolores ha raggiunto per certo quel luogo, ma restano ancora molti dubbi che spero sia la seconda stagione a chiarirli.
Maeve ha scovato davvero il suo centro, visto che in lei non si accenna alla storia del "Labirinto"?
Le due donne sembrano aver ricevuto una coscienza, allora perché mai ancora eseguono gli ordini?
Maeve che sembrava la più scaltra, dopo una repentina fuga per cui ha mobilitato molte persone, alla fine decide di tornare indietro solo per recuperare quella bambina che è da qualche parte nel parco... che sia scritto anche quello nei codici della storia della fuga, oppure parliamo di un segnale vero d'istinto materno ovvero di umanità? Tra l'altro, siamo sicuri che non cominci a provare qualcosa per il tecnico del laboratorio che l'ha aiutata nella fuga, dal momento che con lui si comporta diversamente?
La prima stagione di "Westworld" almeno per me si conclude con molte domande, alcune risposte di considerevole valore e uno strappo troppo forte al cuore. Il mio pensiero va al povero Will, che smentisce con la sua teoria tutte le possibilità di una vita vera all'interno dei suddetti robot, quando racconta la tragica storia del suo amore per Dolores. Nonostante lui fosse temporaneo e lei no ha deciso di restare lì per rivederla ancora...e ancora. Ok l'avrà ammazzata un centinaio di volte, ma un po' di risentimento ci sta quando tu fai di tutto per conquistarla, lei sembra accettare la tua corte e poi basta che muoia per non ricordarsi più di te. Non è neanche il modo a un certo punto.
Non vedo l'ora di vedere come va a continuare e soprattutto a quali riflessioni andremo incontro con la seconda serie. Chissà se riusciremo a capire quanti mondi sono stati costruiti per il diletto degli esseri umani e soprattutto, chissà se riusciremo a scoprire se i residenti sono fatti d'ingranaggi o coscienza.