Translate

giovedì 24 dicembre 2015

Capodanno è ogni giorno


Bisogna vivere un po', nemmeno così tanto, per giungere a una conclusione.
Si avvicina il Natale. No dai, non sto facendo Capitan Ovvio, lungi da me; non era questa la conclusione.

A parte il fatto che ogni volta che giunge il Natale, scorgo in me una gioia maniacale nel rivedere sempre lo stesso film -e già questo la dice lunga sul mio essere normale- e un'apatia diffusa -colpa della seduta estenuante   incarta regali-, scatta nella mia testa l'orribile bilancio annuale.
Ho fatto la brava? Ho raggiunto i miei risultati? Sono felice? Appagata? Delusa?
Quindi il Natale e, di conseguenza il Capodanno soprattutto, diventano, invece di momenti per ricevere ed offrire quel minimo di calore umano, giorni di terribile angoscia.

Ma così lo vivevamo da bambini? 
Mi ricordo, che un anno Babbo Natale mi portò un bambolotto che nella pubblicità era a dir poco angelico, ma nella realtà piangeva come un asino... mentre lo stavano squartando... tagliando a zig zag... beh insomma ho reso l'idea. Eppure vi assicuro, ero felice come una Pasqua -tanto per essere così spiritosa da non far ridere affatto-.

Cosa c'è, quindi, di così sbagliato negli adulti, per indurli proprio in questo periodo a una spietata auto-vivisezione?
Un altro anno è passato. Ok, fin qui ci siamo...
E non c'è una svolta.
Ma se la nostra vita, dal Capodanno scorso, fosse destinata a cambiare radicalmente dopo un anno e tre mesi, o cinque mesi, o sette mesi? Perché proprio entro questo fantomatico primo gennaio dobbiamo esaurirci per diventare esseri pienamente risolti, consapevoli e realizzati in ogni ambito?
Cos'accade: si muore il due?
Cosa siamo, yogurt con la data di scadenza?
La mia conclusione ed il mio caloroso augurio per tutti, è che possiate rendervi conto che la vostra vita è bella anche se mancate un traguardo. Che riusciate a godervi le persone che vi circondano, a non perderle, a creare ricordi da conservare sempre con voi.

E tenete a mente, sempre, che il Capodanno è un concetto così relativo, che ogni cultura possiede un giorno diverso... persino i Maya! Ok quelli li lasciamo perdere...
Cosa vi dice che il vostro Capodanno, il giorno in cui sarete pienamente appagati, non sia in realtà a metà anno?!
Se così fosse, sareste così fortunati da festeggiare due volte!


Scusate se non sembro me stessa, ma almeno una volta un po' di speranza voglio portarla anch'io.
Auguri di cuore, sentite la luce dentro di voi. Lasciatevi scaldare da essa e donatela a chi ha freddo... ma non solo durante le feste; quello fatelo sempre.

sabato 5 dicembre 2015

Solo gli amanti sopravvivono. L'angosciosa e magica decadenza dei veri vampiri


Tralasciando -come se fosse facile- i disarmanti occhioni azzurri di Tom Hiddleston capaci di farti perdere metà della trama, ci addentriamo in territorio oscuro. I vampiri veri, quelli dallo sguardo agghiacciante, quelli problematici, dall'aria gelida, che si portano addosso tutto il sapore di epoche lontane, li troviamo qui.



Adam ed Eve vivono lontani, eppure i loro cuori non riescono a fare altrettanto. Quando Eve si rende conto che la depressione sta spingendo Adam a cadere nel suo profondo baratro, lascia improvvisamente tutto e giunge a salvarlo dalla sua solitudine. Talentuoso musicista -tanto da aver donato alcune sue opere ai più famosi compositori della storia, permettendogli di spacciarle per loro-, egli non si sente così appagato dalla sua musica da salvarsi dai suoi tormenti, compresa questa immortalità troppo pesante. Prima dell'arrivo di Eve infatti si era già procurato un proiettile con cui suicidarsi in seguito.
I due si sentono improvvisamente salvi l'uno tra le braccia dell'altro, ma non è così semplice la loro esistenza. 
A parte l'invasiva presenza degli zombie, c'è il sangue da cercare continuamente -che si procurano sempre di contrabbando, non con la "caccia"- e l'ancor più invasiva e repentina presenza di Ava, la disastrosa e indisciplinata sorella di Eve.



Impressionante è il peso delle colonne sonore, che la fanno da padrone indiscusse. 
Il suono pesante, gotico della chitarra cì entra nella testa e la riempie di mostri, di incubi. Ogni suono è cupo tanto da sembrare un inno alla tristezza e alla morte; percepisci il dolore nell'aria in ogni scena, in ogni nota.
Non è un film composto da rapidi frame; l'atmosfera è angosciosa, sospesa, lenta...moolto lenta. Così lenta che finisci per ragionare come i protagonisti; ti ritrovi a capire quanto gli pesi addosso l'eternità. Ti perdi dentro un oblio di sensazioni vuote, immobili che non cogli fino in fondo. Senti quella loro perdita di speranza a sopravvivere in un mondo in cui per vivere ti procuri il sangue con strani metodi, perché gli esseri umano non hanno nemmeno il sangue pulito.
Ogni scena è una trappola in slow-motion, dai movimenti ipnotici; come nelle battute iniziali la camminata di Eve lungo le scalinate di Tangeri, dove viveva: non è un meccanico accumulo di passi uno dietro l'altro; si aggira per la città quasi fosse un'odalisca che sta danzando e tu sei lì che ti senti quasi di troppo ad osservare quella danza. Ogni colpo d'anca che fa per salire e scendere è un movimento carico ed ancestrale, fatto di rimandi antichi. 
Adam, perso nelle sue ferite, apre la narrazione irrompendo con un fiume di silenzi prepotente, irreparabile. Anche lì lo spettatore è costretto a sbirciarlo discretamente per non disturbare quel dolore che non tutti possono arrivare a capire. Quel dolore che ha il sapore di una depressione stagnante, vera, pura. Come se non stesse recitando affatto.


Finisci per gustare ogni singola immagine... e ogni immagine diventa estasi per gli occhi. Indubbiamente più importante della trama è cogliere i momenti uno ad uno, perché sono carichi di arte maledetta, di poesia.
Tom Hiddleston e Tilda Swinton riescono perfettamente a creare distanza, a calarsi fino in fondo nei panni di anime antiche e lontane che vivono in questo mondo ma non ne fanno parte mai davvero. La loro esistenza nella nostra realtà è quasi un ossimoro; lascia stupefatti vederli interagire tra loro con gli Iphone e poi restare comunque tenacemente aggrappati ai libroni impolverati. Galleggiano tra le epoche inqueti, presenti eppure perennemente distanti. Come fantasmi. Lo senti a pelle che sono impregnati di passato; lo senti a pelle che non hanno pace, non possono averne e non ne avranno mai.
Ma è proprio la loro maledizione a renderli così accattivanti, sfacciatamente magnetici, oscuri, perennemente persi come se non avessero uno scopo. Eppure se non ci fossero, lo spettatore si sentirebbe privo di quell'ancestrale richiamo, di quella loro malata e decadente poesia.
È una ragnatela di film; prego, restateci impigliati. Fatevi avvolgere e divorare.

giovedì 19 novembre 2015

Vangelia, di Daniele Pollero

"Perché questa matta scrive alle tre di notte?", vi domanderete voi e onestamente chiedere è lecito e rispondere è cortesia. Il mio nottambulismo mi ha portata fino a un racconto di tredici pagine (è gratuito, lo trovate qui) che mi ha incuriosita e allora non potevo mica agire come un essere normale e leggerlo di mattina. Giammai! Quindi eccomi subito a riferire al mio vasto pubblico... c'è nessuno?!
Deliri a parte, la storia è piacevolmente scorrevole:

Michael trova una ragazzina per strada con il corpo devastato di ferite, tanto da sembrar morta. La raccoglie e la porta a casa... 
Il resto lo lascio alla vostra immaginazione, ma dubito che indovinerete il finale.

Voto:  ☠  ☠  ☠  ☠  ☠

Dall'inizio quasi pacifico, degenera parecchio alla svelta e le scene si fanno sempre più drammatiche e veloci. Il punto di partenza lascia sperare a niente di più preoccupante di un problema recuperabile, finché Michael non trova fatalmente Vangelia, che dà pochi segni di vita. Colto da un attacco di misericordia incrementato dalle innumerevoli ferite della giovane, la prende con sé... ma sarebbe davvero stato meglio non farlo. O forse no?
È pungente. Oltre a garantire immagini forti e cruente, in tredici pagine riesce a distruggerti psicologicamente e lo fa semplicemente con le battute finali che chiudono violentemente un portone in faccia alla speranza.
Sono rimasta affascinata dallo scritto, perché non scorgi solo sanguinare una persona; ancor peggio  qui sanguinano anime. Di Michael, di Vangelia, del lettore e non solo.
Un racconto che, con poche coltellate ben assestate è capace di colpire le arterie e condurre al più totale sgomento.



martedì 17 novembre 2015

"La notte dei generali". Quel poco che basta per alimentare la follia.

Oggi vi faccio viaggiare nel tempo. No, il film a cui alludo non è "Ritorno al futuro" ma un'interessante pellicola datata 1967, dalle tinte angoscianti, misteriose e, soprattutto naziste.
A parte la storia alquanto singolare per cui non credevo potesse prender vita una vicenda simile, salta all'occhio proprio perché, da bravo film di una volta, si regge praticamente sul carisma degli attori principali che vanno solo osservati con sguardo adorante, perché non c'è nulla da aggiungere davvero.
Una prostituta viene brutalmente uccisa e l'unico testimone dell'accaduto, da dov'è riuscito a nascondersi, del colpevole riesce solo a scorgere il pantalone di una divisa da generale.
Il caso viene immediatamente preso a cuore dal coraggioso e sfrontato maggiore Grau che, incurante dei rischi che corre, procede svelto ad indagare sui tre generali che, la notte dell'omicidio avevano utilizzato l'auto per motivi non di servizio.
Nel mirino ci sono il generale von Seidlitz-Gabler, il suo capo di stato maggiore, generale Kahlenberge, e il generale Tanz. Quest ultimo in particolare, si presenta in maniera inflessibile, crudele e anomala rispetto agli altri due. È privo di pietà e pur di stanare gli ebrei in ogni angolo della città è capace di raderla al suolo per i pochi a cui viene in mente di opporgli resistenza. 
E qui veniamo al binomio che talvolta diviene un trinomio, contando il caporale Hartmann. Tanz, pupillo di Hiltler viene costretto a prendersi un giorno, che poi diviene due giorni di licenza, perché alle sue spalle si sta tessendo un'artificiosa trama per creare l'attentato al Führer. Hartman è incaricato di accompagnarlo e finisce per svolgere un ruolo un po' di tuttofare nell'essere di compagnia al generale; il caporale tuttavia ha dovuto per ordini dall'alto, rinunciare al tempo che si era preso per stare insieme a Ulrike. La ragazza, figlia del generale von Seidlitz-Gabler, unica figura femminile di spicco in tutto il film salvo la madre con cui è eternamente in conflitto, non è in buoni rapporti con la stessa anche perché la vede benissimo sposata col generale Tanz, ma lei non vuole saperne e resta colpita da Hartman, tirando avanti una storia difficile con lui.

-maggiore Grau-
-generale Tanz-
Hartman tuttavia incontra difficoltà ben peggiori del coronamento del suo sogno d'amore. Qui prende corpo  l'intero film, come un cuore fermo che improvvisamente comincia a pulsare di una componente profondamente malata e vitale. Perché la struttura non è costruita su tecnicismi e giochetti da costringere a complessi calcoli e ragionamenti; l'anima della storia è deviata, pesantemente psicologica e contorta emozionalmente.
Durante le due ore emergono via via due caratteri sempre più impositivi: quello caparbio, testardo, in una certa maniera ottimista e coraggioso al limite dell'incoscienza di Grau; quello perverso seppur composto, irrecuperabile seppur all'apparenza ligio al dovere, violento e incasellato nella propria rigidità, del generale Tanz. Si ha la percezione di assistere a una profonda lotta tra fuoco e ghiaccio. Il primo crede profondamente nella giustizia e nel suo valore. La domanda che onestamente mi ha portata a fare è: "Con tutte quelle persone che vengono portate via e uccise senza pietà lontane da casa, dagli affetti, mandate a morire come cani... con questa poca umanità, che senso ha indagare sull'omicidio di una prostituta mentre intorno succede l'indicibile?" Non vi anticipo niente, perché lui la risposta la fornisce largamente e senza peli sulla lingua. Confesso che mi è rimasto davvero dentro per purezza e positività.
Il generale invece si presenta come un tipo molto inflessibile, per cui il dovere viene al primo posto e che non sgarra mai. Invece pian piano tira fuori i suoi scheletri nell'armadio; un armadio pieno di mostri che lo inghiottono di continuo e l'interpretazione di Peter O'Toole si rivela immensa. Da inchino. Man mano che lo si segue nel suo percorso ci trascina in un crescente disagio che si tramuta in un'ansia sempre più galoppante. Fino a che diventiamo indubbiamente pazzi anche noi. 


Vale tutto il film già solo la scena in cui visita una galleria che possiede dei quadri confiscati e si ritrova faccia a faccia con l' "Autoritratto" di Van Gogh. In un'atmosfera pesante e da magone, emerge un'interiorità sofferta, morbosa e capace di tutto. Nel preciso istante in cui incrocia gli occhi di Van Gogh, nel generale scatta qualcosa  di oscuro, un eccitazione disturbata, come se la sua follia si fosse compenetrata in quella del disperato artista. Come se finalmente si fosse sentito sedotto da quell'anima rovente, capito.
La mimica facciale è perfetta. Pur non scomponendosi, l'attore ci spalanca le porte del mondo malato del generale attraverso il dettaglio: dissemina il film di piccoli tic nervosi che diventano avvertimenti palesi. Come se sotto sotto il generale Tanz gridasse: "Statemi alla larga" e lo facesse chiudendo brutalmente l'occhio in un momento inadeguato, piegando di poco la bocca serrandola, irrigidendosi. Il linguaggio del corpo non manca affatto di dipingere le turbe psicologiche dell'uomo in maniera onesta e spietata. Perché si può fingere fino a un certo punto, ma poi emergono i mostri che si trattengono... e spalancano le fauci.
Colui che pagherà di più per questo vagabondare in una psiche fortemente compromessa, sarà il docile eppure fermo caporale Hartmann, che sperimenterà in prima persona  il viaggio sulle montagne russe del terrore e della follia.
Amo tutto ciò che non è scontato ed è drammaticamente complicato; vi consiglio d'immergervi nella visione così da uscirne deviati anche voi.

lunedì 16 novembre 2015

Ninna nanna










L'innocenza persa respirando vita
avvampa in te, trascinante incendio.
I tuoi occhi d'acqua che specchiano i miei,
obsolete braci spente.
Nere come il posto
in cui i sogni cadono e non tornano più.
Cielo luminoso, piccolo abbraccio di sole
tienimi per mano,
che non c'è bisogno di parole.
Tu, tocco spontaneo di Paradiso.
Pennellata a tradimento, a forma di sorriso.
Rinnegherò per te le ombre
morendo di me stessa.
Soffocando demoni che non conoscerai.
Non vi sia per te agonia
più forte di un sussurro all'anima.
Esplosiva di luce.



martedì 10 novembre 2015

What if this storm ends. Guardare il Buio negli occhi.



Passeggiavo sul blog di una mia amica e mi è rimasto dentro un bellissimo bilancio della sua vita, perché ha compiuto venticinque anni da poco. Un quarto di secolo e complimentoni per la donna che è. Io ho ancora un anno per fare bella figura; se volete leggerlo è qui. Rinnovo ancora gli auguri e spero che almeno per i trenta ce la faccia a diventare così tosta.
Mi sono resa conto che forse sarebbe stata ora di aggiornare anche il mio, di blog. Non ho mai visto una scrittrice così restia a parlare di se stessa; sono un caso umano, ma questo lo sapete già.
Eppure sono sempre stata ecco, non tantissimo, ma abbastanza logorroica da evitare con sorprendente talento tutti gli interventi a cuore aperto che forse mi avrebbero fatta sentire meglio.
Tante persone hanno a malapena il coraggio di dirigersi verso lo specchio la mattina e guardare la loro faccia vera. Tante persone non sanno nemmeno che forma abbia, la propria faccia. Magari si sono semplicemente adeguate all'amica a cui vogliono un bene infinito e si comportano come lei, perché dividere una personalità in due è comunque meno pesante. Dividere un cervello in due comporta sempre meno responsabilità. Ma due vite non si possono vivere come fossero una, quindi a una certa arriva sempre il momento in cui ci si deve togliere quella maschera che con tanta maniacale accuratezza ci si è incollati addosso e vivere di propria iniziativa. Anche essere disposti a commettere degli errori, per respirare un attimo.
Mi sono chiesta, proprio in questo preciso istante, cosa ho fatto invece io per diventare una persona migliore.
Mea culpa, non ho conquistato il mondo come pensavo. Anzi, volevo cambiarlo ma in parte lui ha cambiato me, facendomi sentire inadeguata quando avevo i numeri per vincere, disprezzata quando non mi mancava niente per essere accettata, anzi era agli altri che mancava il cervello.
Eppure non ho permesso mai a ciò che c'è fuori, di cambiare il nucleo di me stessa: il mio complesso, buio, doloroso ma profondissimo da mettere le vertigini, mondo interiore.
Se siete persone insicure, sappiatelo che il prossimo non avrà pietà, anche se magari con lui ne avrete. Anche se ci credevate davvero in loro, tante persone vi feriranno. Anche dove butterete sangue per mantenere i legami più veri, verrete pugnalati alle spalle. Non tutti vi faranno sentire giusti ma, per l'amor del cialo, lottate. Lottate con i denti perché niente è più importante di voi stessi e della vostra magia di esseri unici e irripetibili.
Vivete, che è l'aspetto più importante. Vivete come vi viene perché è un'azione molto più istintiva e semplice di come si possa pensare. Vivete perché vi salva. 
Non lasciatevi attanagliare da quello che penseranno gli altri di voi, perché al 90% partoriranno sempre il pensiero sbagliato.
Persino io che ho due lati ben distinti di me, non ho ancora capito quale la gente voglia vedere, quale più l'aggradi per farmi sentire al sicuro. C'è sempre modo di giudicare qualcuno. 
Devo ammettere che non ho raggiunto grandi traguardi lavorativi, pubblicazioni di ebook a parte. Mi barcameno ancora tra un lavoro e l'altro e praticamente ho in mano un pugno di mosche in quanto a sicurezze e chissà se mi sentirò sicura mai.
Le mie conquiste non si possono quantificare in base a possedimenti oggettivi, che comunque farebbero sempre comodo. A tal proposito potreste sempre fare una donazione al conto corrente numero... no dai, sto scherzando.
Spesso è l'anima durante la vita, a fare grossi salti in avanti e nessuno se ne rende conto.
Ho impiegato una ventina d'anni a dare il via al processo, ma sono uscita dal guscio. Ho spalancato quell'Inferno che ho nell'anima in faccia alla gente e non ho avuto più paura di andarne distrutta. O perlomeno facciamo che il più delle volte non ne ho avuto paura.
Ancora ricordo nel 2010 scrivendo con incertezza i primi capitoli di "Angolo Buio", quante censure. Nasceva tutto nella mia testa bacata: quanti problemi mi sono posta per buttar giù una frase anziché un'altra; cos'avrebbero pensato le persone più vicine a scorgermi così nuda, fragile, esposta e ferita.
La verità ragazzi? Non serviva a niente nascondersi, perché il Buio c'è chi lo percepisce anche solo da un termine fuori posto e chi non lo vorrà vedere nemmeno quando con esasperazione glielo urlerai in faccia.
Sapete cos'è il Buio?
Alzi la mano chi è stato preso almeno una volta. Facciamo tana libera tutti, non giochiamo sempre a nascondino.
Chi non è andato mai a dormire con l'angoscia? Chi non si è mai svegliato dicendo: "No, passo. Questa giornata non la vivo". Chi non si è mai sentito sommerso dal catrame fino a soffocare? Chi non ha mai avuto paura, paura davvero del futuro, di andare avanti?
Quante volte si è proceduto arrancando, perché non se ne può parlare con nessuno?!
Pesa vero, il catrame sulle spalle senza che qualcuno ve lo levi di dosso, eh?
Però ciascuno è muto e morto nel proprio dolore. Nessuno vuole aprirsi e vivere ancora; i pochi che, perlomeno davanti a uno schermo lo fanno o ci provano, vengono presi di mira.
Che nessuno si azzardi a sfogarsi su un social. Eh no, c'è sempre il cretino di turno che esordisce beffandosene con "quello/a è un/a depresso/a". Che per il mio personalissimo punto di vista, è come se avesse detto "guarda quel frocio" oppure "quello è un minorato" o ancora, everybody "che cesso, ma dove va".
È come sparare sulla Croce Rossa, vero?! Prendere di mira una persona ipersensibile per il Buio che si porta appresso magari da una vita, di cui non si sa niente.
Il Buio, la depressione, chiamatela come volete, è una malattia. Una malattia insidiosa con la quale si lotta ogni giorno e che per l'Italiano medio non esiste. E chi prende in giro coloro che ne portano i sintomi, non dovrebbe sentirsi un genio, ma un appartenente a pieno titolo a una massa di pecore che non sa come si sta e invece di giudicare è meglio che continui a belare. Perché tanto più di quello non può fare.
E prima di dire che non è una malattia, di sparare boiate stile "solo le persone aziane possono essere colpite, un giovane di cosa dovrebbe essere triste?"; chiunque prima di fare riflessioni stupide, campate per aria, formulate in base a un proprio nulla cosmico mentale, dovrebbe pensare a un paragone pratico, molto semplice: se avete un'auto rotta, quanto tempo impiega per accendersi? Quante volte si ferma lungo il cammino e vi lascia a piedi?
Bene, immaginate che la forza vitale vi lasci a piedi, di passare ore nel tentativo che la macchina si riaccenda ma qualsiasi cosa facciate, non sentite nemmeno il rumore del motore.
Pensate di buttare, in termini tempistici,  nei casi più leggeri il 10%, nei più pesanti il 50/60% della giornata a cercare di accendervi e ingranare per fare le cose di tutti i giorni. Ora ditemi se tutto questo tempo perso dietro a un motore difettoso ve lo restituirà mai nessuno.
Una persona affetta da depressione necessiterebbe di altri 10/20 anni di vita bonus, per recuperare tutte le ore che si è giocata in standby, restando indietro mentre gli altri andavano avanti come treni. Ora ditemi voi, se non è invalidante e se non andrebbe curato come disturbo.
Però non prendiamoci in giro: l'unica cosa che un adulto sa dire è che sei giovane e passa, invece la tascini da anni, magari.
In Italia c'è parecchia ignoranza in merito. Perlomeno pensateci, prima d'infierire contro qualcuno che ha sempre questa zavorra sulle spalle.
E sono molto contenta, onestamente. Ci ho messo anni ma sono lieta di essere riuscita a guardare il mio Buio negli occhi, a esternarlo a modo mio, a non farne un tabù, a confrontarlo con quello degli altri. A togliere  momentaneamente qualche zavorra di dosso a qualcuno che ne aveva bisogno.
Non sono propriamente la donna più realizzata del mondo, ma ci sono persone materialmente realizzate che per tutta un'esistenza fingono e scappano dai propri fantasmi e non hanno il coraggio. Il coraggio di ammettere il proprio Buio.
Di questo sarò sempre, infinitamente, fiera di me stessa. Perché una volta che ne parli, perlomeno sei fuori dalla prigione del silenzio in cui molti cadono e fanno finta di niente.

lunedì 26 ottobre 2015

"Nephilim. Guerra in Purgatorio" e "Nephilim. Ribellione all’Inferno" di Valerio la Martire

Nephilim. Guerra in Purgatorio
Non puoi scegliere di nascere Celestiale.
Puoi solo scegliere dove volare.


Sinossi.
La tregua era stata stipulata. Dopo quattromila anni i Nephilim Celestiali e i Nephilim Infernali avevano deposto le armi spartendosi le Americhe.
Ma la pace era stata conquistata a caro prezzo. L’alleanza dei Celestiali con la razza immonda dei Demoni aveva infranto equilibri antichi che non dovevano essere toccati.
Creature più potenti e pericolose dei Nephilim sono ora entrate in gioco e non è la pace il loro obiettivo. Nessuno, nemmeno il loro creatore, avrebbe però potuto immaginare l’amore tra un Infernale e un Celestiale.

Biografia.
Valerio la Martire è nato a Roma il 5 novembre 1981, con due settimane di ritardo. Ha recuperato il tempo perduto mettendosi a scrivere a dodici anni.
Visto che le sue giornate durano 42 ore ha lavorato come barman, commesso, operatore di call centre, animatore turistico e baby sitter. È stato volontario per Greenpeace e per non farsi mancare nulla ha lavorato anche con l’Unhcr e Medici Senza Frontiere.
Tra le sue pubblicazioni, I ragazzi geisha (Ed. Libreria Croce, 2009), libro sulla prostituzione maschile; Stranizza (Bakemono Lab. 2013), storia d’amore omosessuale nella provincia siciliana; Nopperaboo! (Bakemono Lab. 2013), favola per bambini ambientata in Giappone.
Nephilim è la sua prima trilogia urban fantasy.

Link.

Estratti.

Ryan
Una caduta dal 104° piano. No. Non la reggo. Ma avevo visto bene. Dopo pochi piani in caduta libera c’è la statua di un angelo ad ali spiegate. Atterro su quella e da lì continuo a saltare verso i piani più bassi utilizzando statue, cornicioni e tutto quello che trovo nel mio passaggio. Un grattacielo che sembra uscito da un fumetto di Batman. Meglio così. Fosse stato vetro e cemento armato, non avrei avuto nessun appiglio e allora avrei preso la birra con lo zio. Quando arrivo a terra, sento il suono di un clacson.
«Qui! Ryan! Sali!». Morgan, in macchina con gli altri. Se la ridono mentre cercano inutilmente di metterla in moto. Li raggiungo correndo. Un SUV nero quasi mi mette sotto mentre attraverso la strada.
«Ryan! Dov’eri finito?». Morgan mi accoglie urlando a squarciagola. Sono mal ridotti. Blaze ha dei brutti tagli sul petto e Rubi-qualcosa un occhio nero e un braccio piegato in maniera innaturale. L’unico che sembra star bene è Morgan, stravolto dall’eccitazione del combattimento. Ha perso la parrucca, il vestito è strappato in più punti e le corna gli spuntano tra i capelli. Durante il combattimento deve averne perso il controllo.
«Allora, non è stata una festa da sballo?!».
Mi metto al posto di guida, accendo il motore, ingrano la prima e parto.
«Ti sono cresciute le corna, idiota».
«Ma sì, poi le limerò. Ryan, amico mio... cos’è quel sorriso che hai stampato sulla faccia?».
Mi guardo nello specchietto. Sotto il sangue ho un sorriso fin troppo evidente. Non mi ero accorto di sorridere. Rubi-coso dietro di noi continua a urlare e festeggiare. Blaze non dà molta corda all’amico, guarda fuori dal finestrino mentre si gira tra le dita una fiammella. Saranno feriti, ma certo non sono in fin di vita. Guardo la strada, mi accorgo che sto spingendo sull’acceleratore. Troppo. Rallento un po’. Morgan mi fissa. Non capisce se ho ammazzato qualcuno o se sono solo stordito d’adrenalina.
«Ho conosciuto un ragazzo, Morgan».
«Avete capito ragazzi? Ha conosciuto un ragazzo!».
I due dietro non rispondono nemmeno. Stanno cantando qualcosa di indecifrabile che coinvolge una mucca, un fattore e un sacco di altri dettagli che non capisco. Accendo la radio e la metto a tutto volume. Non ho voglia di starli a sentire. Se ci becca una volante della polizia stavolta ci buttano in galera con tutta la macchina.
«Grande, amico mio! Era ora! E chi è? No, Ryan. Non dirmelo. Il cantante del gruppo. Secondo me ti aveva buttato l’occhio. Oppure quel buttafuori con i capelli rossi? Oddio, forse è uno di quelli a cui ho spaccato la faccia davanti la piscina. Ehi! Ho spaccato la faccia al tipo che ti sei rimorchiato? In caso mi devi perdonare, ma c’è da dire che non era niente di che...».
Un rosso bruciato e una curva stretta, terza, poi quarta e via sull’asfalto.
«Chi? Non so di chi stai parlando».
«Allora non lo so. Meno male. Sarei stato un pessimo amico se ti avessi mandato all’ospedale il tipo la sera stessa che l’hai conosciuto! Ma hai visto che ballo che ho fatto fare a quei dementi? Senti, ma ’sta storia che erano Demoni? ’Sti stronzi dei Celestiali ancora si tengono Demoni per casa! Per casa poi! Come fai a tenere sotto il tuo tetto uno che per colazione mangia vermi e cuori di bambini. Certo questi non facevano schifo come altri che abbiamo incontrato. Rubicante! Ti ricordi di quel Demone che abbiamo incontrato in Messico? Quello con le corna da cervo coperte di muco... Eh? Ti ricordi?».
«Mh?».
«Ma sì! Quando c’eravamo messi in testa di trovare un chupacabra per tenerlo come animale domestico».
Rubicante si rimette a cantare con Blaze.
«Alla fine abbiamo trovato una licantropa che era una bomba. Te l’ho raccontato? Vabbè come sia. Insomma amico, incontriamo questo Demone, ma era tipo chiuso in questa cantina da non so quanto tempo. Era circondato da amuleti, roba di quelle zone. Mojo bruttissimo. Ed era tutto ricoperto di una melma che...».
Freno a mano, sterzo. Testacoda. Recupero la strada e lancio la macchina sul ponte di Brooklyn.
«Cazzo Ryan! Dovrò cambiare le gomme, amico! Quanta irruenza in questo Infernale! Quanta irruenza!».
«Jonathan. Si chiama Jonathan».
«Jonathan? E adesso chi è questo? Non dirmi che è un Demone! Meglio un Umano a questo punto! O magari un Infernale! Un altro infiltrato che non abbiamo notato, eh? Un bell’Infernale. Guarda che a letto siamo i migliori. Insomma non sono mai stato con un Infernale uomo, ma le ragazze... ti fanno dimenticare qualunque Umana!”
«Non è umano e non è un Infernale».
«Oh, Ryan, un Demone no! Che schifo! Mah! Basta che non è come quello messicano. È come quello messicano?».
«Un Celestiale».
Anche i due dietro si azzittiscono.
«Un Cele... Tu... stai scherzando, vero?».
Smetto di guardare la strada per un attimo e lo fisso negli occhi. Poi mi giro di nuovo giusto in tempo per schivare una moto contro cui stavo per schiantarci.
«Sei impazzito?».
«Penso proprio di sì».
«Non parlavo della moto».
«Lo so».

Jonathan
«Come hai fatto a scoprire come si chiama?». Blake dorme, ma vado comunque in bagno per non farmi sentire troppo.
Emily ha la voce di un’aquila. «Con i potenti mezzi della Feather, fratellino. Ho mobilitato tutte le schiere angeliche per scoprire il nome del tuo uomo misterioso!». La voce di Emily arriva insieme al suono del traffico.
«Vabbè, come ti pare... Quindi è uno di quegli Hill?».
«Pare proprio di sì, fratellino. Però è andato via anni fa da Los Angeles. Il tuo bel Romeo lavora come pompiere nella Grande Mela ormai da un paio di anni e ha ricevuto anche una medaglia per aver salvato non so che bambino. Un diavolo dal cuore buono».
«Quindi? Hai un suo contatto?».
«Meglio, gli ho dato un appuntamento a Central Park».
«Quando? Emily, io sono da Blake adesso».
«Ups. Pessimo tempismo. L’appuntamento è... adesso sotto l’angelo della fontana di Central Park. Vabbè, se non riesci a venire lo vedremo io e Alexander».
«Alexander lo Stregone? Che c’entrate voi? Che ti stai inventando?».
«Invece di chiedermi di Alexander raccontami un po’ di Blake! Com’è andata?».
«Bene. Senti, mi faccio una doccia e arrivo a Central Park. Casa di Blake non è lontana per fortuna».
«Nemmeno il tempo di far raffreddare le lenzuola! Sei una cattiva persona, sai?».
«Finiscila. A dopo». Attacco il telefono senza darle il tempo di inventarsi altro. Esco dal bagno. L’ho svegliato comunque. L’odore di caffè nell’aria. Blake è in cucina. Canticchia mentre prepara una specie di colazione. Allestisce tazze, tovaglioli e qualcosa che sembra un piatto di biscotti e cioccolata su di un vassoio.
«Ah eccoti! Sto preparando un concentrato di energia per riprenderci e magari ricominciare». Mi viene incontro e mi pianta un bacio sulle labbra. Sa di cioccolato e di sesso.
«Non è un po’ tardi per fare colazione?».
«Ho sempre sognato di preparare la colazione per il meraviglioso ragazzo con cui passo le notti. Adesso che ti ho in casa devo approfittarne. Non sono sicuro che rimarrai fino a domani mattina».
«Io devo andare». Gli metto le mani sulle spalle e lo allontano.
«Appunto. Ma sei appena arrivato. Speravo saremmo rimasti insieme un po’. Magari dormire insieme e domani andare a fare un giro ».
«Mi dispiace. Cose di famiglia. Mia sorella...».
«Ok. La famiglia prima di tutto. Ora che so anche chi, sono ancora più curioso di conoscerli»
«Posso fare una doccia?».
«Certo. Posso farla con te?».
«Una doccia veloce».
«Rapidissima».



Contatti.

www.valeriolamartire.com



Nephilim. Ribellione all’Inferno
Non puoi scegliere di nascere Infernale.
Puoi solo scegliere quanto bruciare.


Sinossi.
La bocca dell’Inferno si è aperta nella baia di New York. E la posta in gioco non è mai stata così alta. Alexander, Emily e Valerie devono affrontare una crisi che potrebbe travolgerli tutti.
Gli Eterni stanno incatenando i Nephilim al loro controllo, in un gioco di potere nel quale nemmeno gli Stregoni rimarranno neutrali.
Mentre il mondo si avvicina alla rivoluzione, Ryan ha un solo pensiero: riportare indietro Jonathan.
Il secondo volume della saga dei Nephilim penetra nei gironi dell’Inferno, è venuto il momento di superare ogni limite umano.

Biografia.
Valerio la Martire è nato a Roma il 5 novembre 1981, con due settimane di ritardo. Ha recuperato il tempo perduto mettendosi a scrivere a dodici anni.
Visto che le sue giornate durano 42 ore ha lavorato come barman, commesso, operatore di call centre, animatore turistico e baby sitter. È stato volontario per Greenpeace e per non farsi mancare nulla ha lavorato anche con l’Unhcr e Medici Senza Frontiere.
Tra le sue pubblicazioni, I ragazzi geisha (Ed. Libreria Croce, 2009), libro sulla prostituzione maschile; Stranizza (Bakemono Lab. 2013), storia d’amore omosessuale nella provincia siciliana; Nopperaboo! (Bakemono Lab. 2013), favola per bambini ambientata in Giappone.
Nephilim è la sua prima trilogia urban fantasy.

Link.
Ancora non disponibili link di acquisto

Estratti.

Ryan
Il mostro sovrasta Emily, lei compare alla nostra vista solo per brevi momenti nei quali schiva, si getta a terra e lancia delle urla che allontanano il suo avversario. I capelli sciolti sono bagnati e frustano l’aria, mentre tiene a bada il mostro con il suo pugnale. Da qui sembra così piccola, quella lama. Combatte bene, schiva i colpi più possenti e tiene sempre una posizione di vantaggio sul nemico. Ma ha ragione Alexander. È troppo. Combatte da quanto, dieci minuti? Tra poco sarà esausta. Anche se è una Celestiale, non potrà tenere questo ritmo a lungo.
Una donna esce dal bosco. È nuda, la pelle scura, i capelli neri e ricci fino alle ginocchia. Eva. Cammina a piedi nudi sull’erba e si muove senza guardarsi intorno, tiene lo sguardo basso, si osserva i piedi. Quando si avvicina al cerchio di guardie e Licantropi, tutti si fanno da parte e abbassano la testa.
Sta andando verso Emily!
«Avanti Alexander, aiutami a trovare la matrice così possiamo andarcene. Quella è Eva!».
Lo Stregone si gira verso di me. Ha gli occhi neri e il viso coperto di vene scure e pulsanti. Come quando ho provato ad attaccarlo al deposito bagagli.
«Dammi il braccio», la sua voce è roca e dura. Me lo afferra e con un artiglio mi incide la carne.
«Questo è sangue di Infernale! Il potere chiama potere. Per questo sangue versato, ti ordino di palesarti. Maie came Camaxtli!».
Un boato alle mie spalle. Una delle poche pareti di pietra della stanza è esplosa verso l’esterno, rivelando un comparto segreto. La pietra matrice che contiene i miei poteri schizza come un proiettile verso di me. La afferro al volo e sento che è mia. Pulsa della mia energia, mi appartiene come nient’altro al mondo.
«Adesso distruggi quella pietra, Infernale!».
La getto a terra e la schiaccio con il piede. Onde di energia escono dai frammenti e mi entrano dentro. Sento il potere fluire di nuovo in me. Un flusso di fiamme e rabbia enorme. Tocca tutti i punti del mio corpo. Li innerva e li rinvigorisce. Preme dietro i miei occhi e sulle mie dita. Non lo ricordavo così intenso, o forse il mio corpo aveva imparato a farne a meno.
Eva ha camminato oltre la fila di guerrieri e di Licantropi. Ha raggiunto il centro del prato. Posa una mano sul Lican controllato da Emily e lo paralizza.
Tutto intorno a lei adesso è fermo e immobile. Emily è in posizione di guardia, ma tiene la lama abbassata. Le due donne si osservano senza parlare.
Eva le posa una mano sulla spalla e la tira verso di sé.
«Dobbiamo portare Emily via da lì!», Alexander mi fissa con occhi neri e inumani. «Io non posso farlo, Ryan. Devi farlo tu».
La sua mano mi stringe il braccio con forza, le dita quasi mi entrano nella pelle. Il potere dentro di me risponde al suo tocco infiammandosi. Si dimena con violenza.
Non riesco a contenerlo.
«Alexander, qualcosa non va. Non riesco a...».
«Sei un Nephilim. Scatenati e aiutami a portare via Emily. Lei è in pericolo, avanti!».
Le fiamme prorompono da me. Lo stesso senso di perdita di controllo che ho provato quando ho attaccato Val. Lo stesso calore bianco che ho scoperto di avere quel giorno, adesso esplode fuori di me.
Alexander sparisce dietro le fiamme che mandano in frantumi la vetrata, inondano il prato e lambiscono la foresta. Divorano tutto ciò che incontrano. Ma c’è qualcosa di diverso, stavolta. Sento di poterle muovere, gestire. È come se fossero una mia estensione, una parte meno materiale del mio corpo. Emily è di nuovo sola. Eva sembra essere sparita, mentre tutti gli altri intorno hanno ripreso a muoversi e si preparano a rispondere al mio attacco.
Riesco a modulare le fiamme e genero uno scudo di fuoco che mi protegge dai proiettili dei cecchini. Sento le pallottole cadere e fondersi nelle mie fiamme.
Utilizzo questo nuovo controllo sui miei poteri per creare un corridoio che mi conduca protetto fino a Emily; percepisco Alexander correre al suo interno. Il fuoco mi trasmette sensazioni fisiche. Non era mai successo prima.
I miei poteri sono cambiati.

Jonathan
Un deserto. Lo stretto sentiero indicato da Dumah mi ha portato in un deserto oscuro. Non so per quanto tempo ho camminato. Il tempo non sembra avere un gran senso qui. Non ho fame e non ho sete, ma mi sembrano passate ore da quando ho preso la stradina che s’inerpicava oltre le rocce. Qui lo spazio non ha limiti come nel tuo mondo, la strada sarà lunga quanto deve. Chissà che cosa intendeva. Nel primo girone, la volta sopra di noi era illuminata dalle fiamme e dal riverbero della lava. I fumi di zolfo si accumulavano sulle rocce, tra le stalattiti nere che ci minacciavano come migliaia di spade di Damocle. Qui il cielo è buio e imperscrutabile. Non ha stelle o nuvole. Solo la soffocante impressione che sia tanto vicino quanto nero. Evoco le fiamme di Ryan e le mantengo nel pugno, per illuminare intorno a me. Qualche sterpaglia. Sassi e terra gialla. Niente più di questo. L’aria è pesante e opprimente. Non c’è vento, sento la polvere entrare nei polmoni. Fa caldo. Un caldo che secca la gola, eppure non c’è il sole. Tutto questo mi dà la sgradevole sensazione che le leggi siano state scritte per creare disagio e dolore. Qui niente ha a che fare con il reale. Il mio stesso corpo pesa come se fosse premuto verso il suolo, a impedirmi di alzare la testa al cielo.
Sono lontano da quella grotta di fuoco, da quella sofferenza di ossa e nervi esposti, da quell’odore di carne bruciata che si stacca in brandelli, dal quel sangue rappreso nelle vene per il calore, eppure mi sento quasi peggio. Rinchiuso in un pozzo profondo dove posso solo sperare di soffocare in fretta.
Forse perché è proprio questa la verità. Non importa cosa farò, non importa come userò i giorni che mi restano. Comunque vada, qualsiasi scelta io faccia, non uscirò vivo da qui.
Non esiste via d’accesso all’Inferno. Non esiste via d’uscita dall’Inferno. Si può solo essere inghiottiti in questo mondo arido e morto. Venire consumati e diventare polvere nei polmoni di qualcun altro.
Non c’è niente per un essere vivente. Non c’è speranza o futuro. Solo una lenta morte.
Ma ho del tempo. Non so quanto, forse poco, comunque non ho intenzione di sprecarlo. Quel dannato ha visto le proprie ferite curate e si è lanciato di nuovo sulle rocce, aprendosene di nuove. Ma non saranno tutti così.
In quel girone infernale ci sono le anime più antiche. Quelle che non conoscono cambiamento. Quelle che non possono accettare il cambiamento. Per quanto fugace e benefico esso sia. E l’ambiente ne rispecchia il pensiero. Qui è diverso. Deve essere diverso. Il Diavolo mi ha detto che le anime che sono rinchiuse in questo girone sognano ancora. Coloro che abitano questo luogo non sono perduti. Per loro posso fare qualcosa. Per loro posso impiegare gli ultimi giorni che mi rimangono. Qualcuno dei dannati vorrà giustizia, pace, la fine del dolore ciclico e senza fine. Per loro cercherò di cambiare le regole.
I miei poteri funzionano. Non so come. Forse grazie all’energia di Ryan che ancora sento scorrermi dentro, forse perché è come ha detto Emily: non siamo così diversi dagli Infernali.
Emily, Val... mi mancano. Spero che le cose si siano messe a posto dopo che la bocca dell’Inferno si è chiusa. Ryan si ricostruirà una vita. Le mie sorelle torneranno ad amarsi come un tempo. Tutto tornerà a posto o forse no, in ogni caso tutto andrà avanti anche senza di me. Io non sono mai stato tagliato per essere un Feather. E loro un giorno lo capiranno.
Blake non lo vedrò mai più. L’ho lasciato che dormiva a letto. La nostra storia era appena cominciata ed è già finita. Sono sparito senza una spiegazione, senza un addio. Non mi perdonerà mai. Ora che è lontano per sempre, vedo i miei sentimenti con più chiarezza. Da quaggiù tutto sembra più evidente, i dubbi rimangono troppo piccoli sullo sfondo perché possa guardarli. Resta solo ciò che conta e lui era qualcuno d’importante. Qualcuno da tutelare e di cui prendermi cura.
Non l’ho nemmeno salutato. Sono andato via per raggiungere Ryan e l’ho lasciato solo. Forse cercherà di rintracciare Emily. Adesso che sa chi sono, potrebbe farlo. Ma come si prende contatto con una rock star? O con l’amministratore delegato di una compagnia come la Feather Corporation? Non ho fatto in tempo a fissargli un incontro per finanziare la clinica! Questo era importante. Se la clinica dovesse chiudere, Blake ne uscirebbe distrutto. È tutta la sua vita. Dovrà trovare il modo di farcela lo stesso. Nemmeno questo ho potuto fare per lui. Non gli ho lasciato nulla.
Chissà come sarebbe andata avanti la storia con lui. Forse da nessuna parte. Rivelargli la mia vera natura sarebbe stato impossibile, mi avrebbe amato lo stesso?Mi devo occupare del qui e ora. Sono solo in mezzo a una steppa deserta... e quella sembra essere una strada asfaltata. Alimento le fiamme e genero una luce abbastanza forte da vedere qualche metro più in là.
Sì, è una strada asfaltata. Malconcia forse. Ma è una strada. Prosegue sempre dritta in entrambe le direzioni. Quando metto un piede sul manto c’è un cambiamento. All’orizzonte, dove sembra finire la striscia di asfalto, vedo un bagliore. Qualcosa di dorato e tenue che si fa sempre più forte. Il sole, qui? Una piccola sfera di luce emerge oltre la curva di questo mondo e tutto inizia a prendere forma e colore.
Il sole illumina il paesaggio e l’enormità di questo luogo mi spaventa. L’orizzonte sembra così lontano. Alle mie spalle vedo solo ora che c’è la mostruosa sagoma di una nave. È poggiata sul fianco e, mentre la osservo, vedo l’acqua scivolare dalle fiancate, il terreno bagnarsi e raggiungermi fino alla strada. Lo scrosciare cresce d’intensità, poi si placa e finisce. Sul lato c’è scritto 456-9 NY USA. Una nave mercantile di New York? Questo posto ha sempre meno senso. Non ci sono alture o colline o montagne a bloccare la vista. Solo una pianura sconfinata e questa nave arenata nel nulla. L’alba sembra immobile. La luce non aumenta. Il sole non sembra riuscire ad affrontare la volta celeste, che rimane per la maggior parte nera come quando era notte.
Lancio un’ultima occhiata al relitto e m’incammino verso l’alba.
Se voglio incontrare qualcuno, camminare su questa strada mi sembra la scelta più logica. Porterà da qualche parte. Oppure sarà solo un altro gioco perverso e senza senso? Una strada desolata e vuota dove camminare per sempre, senza raggiungere mai nulla.
Laggiù c’è qualcosa che si sta muovendo. Vedo una nube di polvere sollevarsi al suo passaggio. Non tira vento, non penso sia vento.
Qualcosa si sta muovendo in questa direzione. Qualcosa di grande. Oppure qualcosa di numeroso.
La terra trema. Sembra il rumore di una mandria. All’orizzonte vedo delle figure. Potrebbero essere degli uomini a cavallo. Ma sembrano così grossi. Hanno un aspetto strano.
Non sono cavalli. Sono mostri.
Stanno venendo qui. Stanno venendo per me.



Contatti.
www.valeriolamartire.com

lunedì 5 ottobre 2015

THE HYBRID'S LEGACY SAGA

EMMA
Emma é una ragazza semplice dall'inconsapevole fascino magnetico. La sua vita tranquilla, al confine dell'invisibilità, verrà sconvolta da un cambiamento radicale ed improvviso che la catapulterà nel complesso e violento mondo di streghe e vampiri. Un'inaspettata e travagliata transizione ne muterà in modo definitivo la natura e l'essenza trasformandola in un essere sovrannaturale mai esistito prima. Quando la straordinaria ragazza, accompagnata dai suoi amici di sempre e da un nuovo e viscerale amore, si troverà ad affrontare con coraggio la sua nuova vita imparando ad amarla e ad amare se stessa come mai prima, scoprirà di possedere uno sconfinato ed incontrastabile potere. È, questa, una appassionante ed intensa storia di amicizia, fratellanza e amore.





GABRIEL. IL SIGILLO DELLA TREDICESIMA RUNA
Il secondo capitolo della saga "THE HYBRID'S LEGACY SAGA", scritta da Francesca pace, ci traghetta in un'atmosfera dark, sanguinaria e voluttuosa.
Gabriel è un ragazzo come ce ne sono molti. Scapestrato e superficiale, conosce fin troppo presto i dolori che un'esistenza umana porta con sé. Attraverso la sofferenza e la morte impara la caducità della vita e la fragilità dei sentimenti.
In una Scozia di fine 1400, Gabriel sceglierà le tenebre e l'oscurità dell'immortalità. Sceglierà di diventare un vampiro.
Sangue e morte ne accompagnano l'esistenza vissuta nell'inconsapevolezza e nell'ignoranza del suo dono. Un sigillo che ne cambierà radicalmente le sorti.
Una vita, la sua, vissuta al limite con al fianco Andrew, suo fratello, che mai lo abbandonerà neanche quando tutto in lui sembrerà essere perduto.
Una storia che abbraccia quasi sei secoli, ricca di cambiamenti e repentini mutamenti che porteranno ad un'intima trasformazione interiore che toccherà il culmine nell'incontro con Emma, l'amore della vita di Gabriel.
Sarà proprio l'amore, il motore che muove ogni cosa, a rendergli salva la vita e soprattutto l'anima.


VINCOLO DI SANGUE
Il terzo capitolo della saga "THE HYBRID'S LEGACY SAGA" è il romanzo di cambiamento, di crescita.

Nulla è come sembra. Il dolore, la morte, la magia...ogni cosa che ruota intorno alla vita di Emma e dei suoi compagni sta per essere sovvertita da un potere arcano e misterioso che entrerà nelle loro vite in modo violento.
Le alleanze cambieranno e la schiera di Danielle si arricchirà di uno spietato e quanto mai inaspettato alleato pronto a tutto per prendere la vita di Emma...
Anche quando il cuore di Emma vacillerà, incapace di sopportare questa nuova, dolorosa ed impensabile verità, lei dovrà trovare la forza di compiere il proprio destino...dovrà mettere a tacere il suo cuore fin troppo umano e le proprie emozioni...dovrà confrontarsi con la parte peggiore di sè per cercare di salvare il suo mondo.
Che ruolo avrà la Congrega dei Guardiani in questa nuova battaglia?
L'intimo sentimento che lega i due immortali saprà salvarli? Potrà l'amore assoluto che Emma prova per Gabriel rendergli salva la vita...ancora una volta?
Amore, tormento, paura...questi i sentimenti che accompagnano le giornate della bella ibrida che porterà a compimento il suo cambiamento, divenendo una donna forte e coraggiosa in grado di ripristinare gli equilibri del proprio mondo anche a dispetto di un potere maledetto che tenterà di condurla attraverso le tenebre fino al luogo suo piú oscuro.

PATRICK
Questo spin off della serie "THE HYBRID'S LEGACY SAGA" è un racconto di presentazione che pur nella sua brevità descrive il momento in cui il soldatino Patrick è costretto a maturare e a prendere coscienza di chi è e di cosa potrà diventare.
Lui sa benissimo di essere un guardiano, si allena per questo, ma non ha mai incontrato veramente dei nemici efferati e crudeli come Danielle che sono la personificazione mostruosa del male stesso. L'episodio orrendo a cui assiste e di cui è vittima gli apre gli occhi. Da qui inizia il percorso che lo renderà il Patrick che abbiamo conosciuto in "Vincolo di sangue".


mercoledì 30 settembre 2015

Le notti bianche, di Fëdor M. Dostoevskij - Recensione

*Voto: ♊ ♊ ♊ ♊ ♊

Gli incontri più belli si fanno sempre per caso. Forse è così riassumibile l'intera storia di questo libro e mia: del come ho letto tal libro. In questo periodo sono molto presa da "Insciallah" della Fallaci; il problema sostanziale è che si tratta di un tomo di sole 700 pagine e, dovendo fare un viaggio, necessitavo di una lettura più snella, ovvero che non mi avrebbe rotto una spalla a portarla dietro lanciandola in borsa.
Così "Le notti bianche" era lì che mi guardava da un pezzo, piccolo rannicchiato nella libreria insieme ai fratellini. Si vociferava fosse una narrazione straordinaria, ho deciso di darle una possibilità.
E per fortuna.
Avrei rimpianto per tutta la vita di essermi persa una storia del genere.
Credo proprio che diverrò un'improvvisa e accanita fan di Dostoevskij... vado subito a comprarmi una maglietta autografata.

Un sognatore, un uomo di cui -riguardo i dati anagrafici- si viene a conoscere solamente l'età -ventisei anni-, incontra, durante una delle sue passeggiate notturne, una ragazza. Nasten'ka sta piangendo appoggiata a una ringhiera, nei pressi del lungofiume; è inconsolabile, eppure lui prova l'impulso di avvicinarsi a lei, ma ella gli sfugge. Avrà modo dopo qualche minuto, di conquistare la sua fiducia proteggendola da un aggressore. I due avranno modo di aprirsi a vicenda, di fondere le loro risprettive solitudini: l'una fatta di fuga disperata dalla realtà, di angoli strani in cui rifugiarsi a sognare per soffrire meno le delusioni, l'essere veramente solo; l'altra composta di attese estenuanti da tritare il cuore, nella speranza del ritorno di un uomo che sembra non tornare mai.
Sia il sognatore che Nasten'ka saranno risucchiati dalla consapevolezza che i loro dolori, all'apparenza così opposti e privi di nesso logico tra loro, sono in realtà la stessa cosa. Hanno la stessa consistenza pesante di un macigno in gola, di un luogo spietato in cui ti senti sempre aggredito dai mostri e non trovi pace, né sonno, né sollievo.
Due solitudini così angoscianti, da risucchiare persino il senso stesso di distanza tra le due anime.
Quando il freddo che sentono è identico, poco importa quali sono i fattori che li hanno portati a cadere nello stesso buco nero che uccide; il solo modo che hanno per salvarsi è aiutarsi l'un l'altro.

Il sognatore è il traino della vicenda. Parla di sé in terza persona un po' per la vergogna della propria vita e un po' per timidezza. È un tipo strano, ma è proprio tutta la stranezza che si porta dietro a renderlo veramente degno di nota e d'attenzione. La maniera -se vogliamo- allucinata e originale in cui percepisce il mondo, in cui vede la città e attribuisce un'anima anche alle cose, ti getta fin da subito nel suo mondo costruito da una fitta trama di fantasia. Una fantasia così esplosiva, che riesce a conferire anche all'ambiente circostante un'anima forte. Dostoevskij da questo punto di vista è molto diretto e innesca un interesse vivo anche verso quattro palazzine; aspetto che ahimé non sono riuscita a riscontrare in Goete, abilissimo con le emozioni, ma pomposo e troppo minuzioso nell'evidenziare ogni minimo dettaglio, di un giardino che poi sarebbe servito marginalmente alla narrazione. Dostoevskij, tramite il sognatore ti ci fa parlare, con il luogo. Ti appassioni e vorresti viverlo, interagirci anche tu.
Anche i palazzi mi sono noti. Quando cammino, è come se ognuno di essi mi corresse incontro per la strada, mi guardasse da tutte le finestre e quasi dicesse: <<Salve; come va la salute? anch'io sto bene, grazie a Dio, e nel mese di maggio mi aggiungeranno un piano>>. Oppure: <<Come va la salute? domani cominceranno a restaurarmi>>. Oppure: <<Sono quasi andato a fuoco e che spavento!>>, ecc. Ho i miei preferiti, ho degli amici intimi; uno di loro ha intenzione di farsi curare da un architetto quest'estate. Passerò apposta ogni giorno, perché, Dio ci salvi!, non lo curino alla bell'e meglio.
Egli ha una percezione particolare. La condizione di non avere nessuna relazione duratura, nessun amico, gli ha permesso di sviluppare una sensibilità, un attaccamento a ciò che ha intorno tale che risente di ogni minimo cambiamento: se il signore che lui tutte le sere alle sette incontra nel solito angolo della città, a un  tratto non c'è più, ne soffre in maniera terribile pur non sapendo nemmeno chi è. Egli sente il respiro di San Pietroburgo, come se la città con tutti i suoi abitanti fossero un organismo da conoscere a fondo e a cui voler bene.

Qui veniamo al tema più ingombrante: la solitudine.

Allora, che tipo di persona siete? Su, cominciate dunque, raccontatemi la vostra storia>>.

<<La mia storia!>>, gridai io spaventato, <<la mia storia! Ma chi vi ha detto che ho una storia? Non ho una storia...>>.
<<E come avete vissuto se non avete una storia?>>, interruppe lei ridendo.
<<Assolutamente senza alcuna storia! Così, ho vissuto, come si dice da noi, per conto mio, cioè assolutamente da solo, -da solo, del tutto da solo, - capite cosa significa da solo?>>
Da subito avviene l'incontro di due personalità completamente diverse. Il sognatore è molto fantasioso, poliedrico, colto, vivace intellettualmente e in una certa maniera piuttosto artificioso e complesso. Nasten'ka è molto semplice. Lo scarto tra i due, quando parlano delle rispettive vite è evidente: quella del sognatore è basata principalmente non sul reale vissuto, ma su quello che è riuscito a costruire a forza di ragionamenti e sogni; lei invece vuotando il sacco gli presenta il conto di un'esistenza materica composta da avvenimenti tangibili, sensazioni vere che lui invece è riuscito a vivere solamente per astrazione. Uno nel suo mondo completamente fatto di castelli di carte, lei esasperata da una nonna cieca che la costringe a stare tutto il tempo attaccata a lei con una spilla da balia per controllarla, senza poter sperare tanto in un amore che ha promesso di tornare dopo un anno per sposarla, ma ancora non si è fatto vedere. Nasten'ka attende sulla panchina il suo uomo... e il sognatore nel contempo attende che la vita gli dia quache motivo vero per uscire dagli ambienti stretti in cui è solito rintanarsi per creare vite alternative.
Ciascuno getta in faccia all'altro un buio completamente differente... il miracolo vero è che questi due bui interagiscono tra loro, mangiandosi a vicenda. Lasciando quasi spazio a una flebile luce di speranza.
Il vuoto del sognatore e il vuoto di Nasten'ka arrivano a fondersi così tanto, che in pochissimo tempo nasce tra loro un legame forte e sentito da entrambe le parti.
Il sognatore fa pensieri strani, al punto tale che non si sente mai accettato... pensieri che, seppur nella sua semplicità, la ragazza capisce per via di una grande intelligenza emotiva. Come se con poche parole riuscissero a sedare le rispettive angosce almeno per un po', riuscendo a concedersi un minimo di pace. Una zona franca in cui smettere di difendersi e potersi riposare un attimo prima di riprendere a combattere contro i sogni che non si avverano. Contro il quotidiano che incombe minaccioso e soffoca ogni speranza e fantasia.
La storia è un dialogo continuo, incessante in cui i due non fanno altro che toccarsi l'anima. Un dialogo artificioso dal lato di lui, semplice dal lato di lei, ma intenso in ambedue i versi.
Tacqui pateticamente, dopo aver terminato le mie patetiche affermazioni. Ricordo che avevo una gran voglia di scoppiare in un riso forzato, perché sentivo già che si muoveva in me un diavoletto ostile, che la gola aveva già cominciato a stringermisi, il mento a tremare, e che sempre di più i miei occhi diventavano umidi... Mi aspettavo che Nasten'ka, la quale mi aveva ascoltato con i suoi occhietti intelligenti spalancati, si mettesse a ridere con la sua risata infantile, irrefrenabilmente allegra, e già mi ero pentito di essermi spinto tanto lontano, di aver raccontato invano ciò che già da tempo mi pesava sul cuore, a proposito di cui potevo parlare come un libro stampato, perché già da tempo avevo preparato la sentenza su me stesso, e ora non avevo potuto trattenermi dal leggerla, dal confessarmi, senza aspettarmi che mi comprendessero; ma, con mio grande stupore, ella tacque, esitando un po' mi strinse leggermente la mano e con una certa timorosa partecipazione chiese: <<Possibile che abbiate davvero vissuto così tutta la vostra vita?>>
Per un attimo entrambi i personaggi sono convinti di aver trovato il Paradiso; in un certo senso una relazione dove morire tra le braccia dell'altro diventa una forma d'amore, disinteressata e indispensabile. Una forma d'affetto forte che li lega intensamente, gli provoca una sorta di assuefazione.
Ma che tipo di amore è?  Lo stesso amore in nome del quale Nasten'ka attende il ritorno dell'amato da un anno, legata da  una promessa, ridendo, sospirando, disperandosi?
In questa storia che non sembra contenere eroi ma solo perdenti o meglio, caduti, anche l'happy ending è relativo. Cosa s'intende per lieto fine, dal momento in cui nell'attesa del principe azzurro il legame s'inspessisce e il fuoco nel cuore del sognatore comincia a bruciare per lei?
Non c'è lieto fine, in una storia che lascia comunque qualcuno deluso e infelice a leccarsi le ferite in un angolo.
È anticipato praticamente ovunque sul web, questo finale. Ma io non voglio spifferarvi se l'amato di Nasten'ka tornerà o meno. Non sarò io a dirigere la vostra immaginazione verso un binario prestabilito.
È una narrazione scorrevole, vivace, a carattere fortemente emotivo e proprio per questo l'ho amata.
Confesso che il tema onirico combinato alla confusione sentimentale è ricorrente anche nei miei scritti e probabilmente mi ci sono trovata in simbiosi fin da subito; non ho potuto fare a meno di restarne turbata, colpita.
Vi lascio con le parole del sognatore, profonde, incisive, dolorose per quanto disilluse e terrorizzate da uno spiraglio di vita vera.

Ora, mentre sto seduto accanto a voi e parlo con voi, mi fa quasi paura pensare al futuro, perché nel futuro c'è nuovamente solitudine, nuovamente quella vita stantia, inutile; e cosa potrò sognare, quando sono stato nella realtà tanto felice accanto a voi! Oh, siate benedetta, voi, cara ragazza, per non avermi respinto dalla prima volta, per il fatto che posso già dire di aver vissuto seppure due sere della mia vita!>>.






*NB: La simbologia utilizzata è così irrilevante, che ho deciso che ogni volta prenderò simboli a caso dal web. Sappiate ad ogni modo che il massimo è sempre 5.
Non mi piace dare un voto al libro, ma credo che chi cerca una recensione sul web comunque ne abbia bisogno. Quindi tagliamo la testa al toro e diamo al pubblico questa formalità.

mercoledì 23 settembre 2015

Oggi è nato il mio "secondogenito": Angolo Buio

Buonasera, anime!
Oriana Fallaci era solita pensare ai suoi libri come i suoi bambini... spero solo non mi prenda a calci per aver preso in adozione il termine. Non sarei degna nemmeno di citarla.
Virgoletto il termine secondogenito non tanto perché di bambino non si tratta, quanto per il semplice fatto che "Angolo Buio" è stato scritto per primo ma ho deciso di non pubblicarlo self, quindi lasciando che "Rosso Placebo" lo scavalcasse temporalmente. 
Mentre infatti "Rosso Placebo" ha fatto i suoi saluti al mondo il 14 gennaio 2014, "Angolo Buio" si è affacciato alla vita il 23 settembre 2015 anche se era pronto dal 2011.  La data di pubblicazione è una coincidenza molto curiosa e gradita, in quanto il numero 23 è importante nel e per il libro. Il 23 è stato emblematico di come dalle sconfitte si può ricominciare, di come la bellezza dell'essere umano è saper rinascere dalle proprie ceneri.
Forse è stato proprio il giorno in cui ho deciso che si poteva costruire lo stesso, anche se le cose non vanno sempre secondo i nostri piani. Non si può restare in eterno a piangere.
"Angolo Buio" è un frammento d'anima più grande, una sfida maggiore, più impegnativa. Elia ha una voce particolare, un urlo dentro che cerca di attirare l'attenzione. Eppure si sente inghiottito in una morsa che non gli dà pace, è costantemente destabilizzato dagli avvenimenti nel momento in cui la sua migliore amica Mary lo saluta, per sparire dalla provincia in cui sono cresciuti insieme. Ciò scatena innumerevoli dilemmi. In parte è come se si generassero sogni di serie A e di serie B: chi vive in provincia deve pensare in piccolo, ridimensionare le proprie aspirazioni per non essere schiacciato da esse; chi invece va all'estero, può desiderare il mondo anche se non è detto che l'otterrà.
Elia percepisce la piccola città come una trappola in cui i sogni non vivono. Ne sente il peso ogni giorno... ma soprattutto sente la mancanza di lei, con cui ha perso i contatti il giorno prima della sua partenza per l'America.
E Mary diventa la sua ossessione costante. Un pensiero così insistente che giunge ad assillarlo anche di notte e lo conduce ad una progressiva pazzia che lo porta a sfumare i contorni. A non avere l'esatta misura del mondo, dei suoi affetti.
L'abbandono ha il sopravvento su tutto in maniera inesorabile, dolorosa e accecante.
Una pugnalata in pieno cuore.
Sarebbe improprio definirlo un romanzo sull'assenza? 
Non lo so. Sono una "scrittrice" di quelle che fanno domande senza avere realmente le risposte.
Ma alla solitudine dell'anima non c'è risposta, se non quella dell'affetto costante dei nostri cari.


"A ripensarci, non poteva che nascermi il sorriso, ricordando dettagli così dolci dal retrogusto amaro.  
Era proprio il retrogusto, quel sentore di ricordi, che, facendosi largo nella mia nuova vita senza di lei, la stava via via distruggendo. A quel sentimento nei suoi confronti, molte forse troppe volte chiamato amicizia, non sapevo più dare un nome. Aveva perso il suo taglio netto per poi lasciarmi in testa solo una gran confusione. 
Prima avevo le mie certezze: Mary era sempre stata il mio conforto, l’abbraccio di una sorella, un sostegno, una delle tante cose che mi spingeva a credere che avevo ancora qualche motivo per sorridere la mattina, perché sapevo che con lei non sarei mai stato veramente solo. Lei era forza, quella che m'impediva di mollare in continuazione me stesso e la vita. Era un placido oceano in cui quando ero stanco di lottare mi lasciavo andare, fino a ritrovare le forze per affrontare l'esistenza. Mary da un'eternità era parte di me, un'abitudine, un'irreversibile dipendenza."


Link per l'acquisto 
La mia pagina Facebook


Martina.

Martina di tutto aveva bisogno, meno che ve la raccontasse un corvo come me. Era capace benissimo da sola di presentarsi per quello che era. Con i colori giusti, quelli che nemmeno conosco.
Però è riuscita nel mio grigiore a farmi vedere l'arcobaleno e non posso che ringraziarla ogni giorno di essere esistita.
Era forte e fragile come solo le persone ipersensibili sanno fare e guardava sempre il mondo con i suoi occhi, non con gli occhi degli altri come spesso si fa per pigrizia, cattiveria o ignoranza. Si prendeva il suo tempo per metabolizzare l'ambiente circostante, lo mescolava alla sua anima e ne tirava fuori la sua arte, la meraviglia più assoluta. 
Perché lei aveva un'anima davvero bella. Trasparente che ci potevi guardare il sole attraverso.
Lei aveva uno sguardo diverso e se cercavi di convincerla che il mondo fa schifo non ti ascoltava nemmeno: aveva inghiottito così tanto dolore per convertirlo in pace interiore, che quella certezza non potevi più portargliela via.

Ci sono persone che pensano che le perdite vadano cancellate dalla memoria, che un bel colpo di cancellino risolva il grande mistero della morte. 
La morte è una mia vecchia amica. Talvolta la porto nel cuore anche se non ci ho avuto mai a che fare davvero, faccia a faccia. Non so descrivervelo, ma è come se la conoscessi da una vita, col gelo che porta e quella solitudine affannosa e fredda, che ti toglie le forze. Ti smorza il respiro, la morte che ti passa attraverso la pelle e si fa conoscere.
Conosco così tanto la morte -è probabilmente l'unico concetto che rimugino e metabolizzo da quando son nata- che sono certa che, ogni volta che cercate di dimenticare qualcuno, lei sta già aprendo le sue fauci marce in un ghigno.
Perché la morte perde solo se le persone vivono per sempre. Se le cancelliamo, muoiono due volte e la seconda morte è la peggiore.
Forse è per questa mia unica filosofia che son stata in grado di sviluppare, l'unica sulla quale ho investito energie, che Martina continua ad esserci per me.
Perché una ragazza di 26 anni non muore, se tu non lavi la lavagna.
La sua energia, i suoi video, le sue foto impareggiabili. Nulla deve cadere nell'oblio. 
Nulla. Io non gliela do vinta alla signora con le fauci, la falce e il ghigno marcio.
Martina lo sa, come mi saluta ogni mattina e come io ogni volta ricambio il saluto; come m'incoraggia ancora dicendomi di non avere paura, che ci sarà il sole e andrà tutto bene, nonostante troppe volte mi sia estranea la speranza.
L'altro giorno mi è venuta in mente perché ripassavo delle canzoni da cantare. Mi dispiace non averle mai insegnato un po' di tecnica, perché ci teneva e di solito mantengo sempre le promesse. Un po' non ho fiducia in me come insegnante e un po' ci siamo sentite poco e questa cosa è scivolata in maniera triste. Ma sono sicura che adesso con la sua bellissima voce stia cantando lo stesso e che abbia cacciato via persino le nuvole che portano pioggia. Facendo uscire la luce. Come quella che ha regalato sempre a tutti donandosi in immagini, parole, emozioni.

Voglio lasciarvi qualcosa, appunto perché lei sapeva parlare di sé meglio di come lo avrei fatto io.

Il suo canale Youtube

I suoi blog:

Alcune delle sue innumerevoli e bellissime foto