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giovedì 26 ottobre 2017

IT 27 anni dopo. Anche voi galleggerete.

Come tutti gli altri bravi bambini ho indossato l'impermeabile giallo, preso il mio palloncino rosso e l'ho portato a vedere IT. Confesso che si è divertito non poco, fino a quando non è esploso in una fontana di sangue.
Incidenti a parte, al fine di essere totalmente informata, ho fatto un corso accelerato guardando prima il film del 1990. Purtroppo mi manca la lettura del libro. Per ora...
I film si discostano parecchio l'uno dall'altro, evidenziando la storia in modi diversi, ma l'ultimo ne esce vincitore per via di molti punti di forza.

IT (1990)
Genere:Thriller/Horror
Regia: Tommy Lee Wallace
Durata: 192 min
Cast: Tim Curry, Richard Thomas, Tim Reid, Annette O'Toole, Jonathan Brandis, Brandon Crane, Adam Faraizl, Emily Perkins, Marlon Taylor, Seth Green, Ben Heller, Harry Anderson, John Ritter, Tony Dakota


IT (19 ottobre 2017)
Genere: Horror/Thriller
Regia: Andres Muschietti
Durata: 135 min
Cast: Bill Skarsgård, Finn Wolfhard, Jaeden Lieberher, Nicholas Hamilton, Owen Teague, Sophia Lillis, Jackson Robert Scott, Megan Charpentier, Steven Williams, Chosen Jacobs, Wyatt Oleff, Jeremy Ray Taylor, Jack Grazer, Jake Sim, Logan Thompson

*Siete avvisati: la seguente recensione contiene alcuni spoiler*

Trama:
 In una giornata particolarmente piovosa, Georgie esce a giocare per strada con la barchetta di carta regalatagli dal fratello Bill, costretto a restare a letto perché non sta bene. Il piccolo, perdendo la barchetta in un tombino, conosce Pennywise il clown danzante, che gli parla proprio da lì. Ha trovato il suo giocattolo e gli chiede di afferrarlo. Il piccolo, tristemente raggirato, allunga il braccio verso lo spaventoso pagliaccio...
Il povero Georgie non è né la prima né l'ultima delle vittime di Pennywise, testimone anche l'archivio storico della città di Derry: in quella città accandono cose strane. Ogni trent'anni per un anno c'è un  ingente numero di morti e sparizioni, nonché catastrofi che portano via numerose vite... e Pennywise è sempre lì, perfino nelle foto antiche della città.
Bill non affronterà la minaccia da solo, ma con l'aiuto di altri sei ragazzi (Ben, Eddie, Richie, Stan, Beverly e Mike) cercherà di fermare il clown per sempre.


C'è una forte motivazione che mi ha portata ad invertire Horror e Thriller nelle rapide schede film: la pellicola del '90 non può essere definita esattamente horror. C'è della suspance, le scene possono essere più o meno cruente ma gli elementi e come sono assemblati  non creano esattamente un clima da horror. Il nuovo film lo si guarda rigorosamente arpionando le unghie al braccio di qualcuno. La stessa storia è resa in modo deviato, disturbato, teso. È come se avessero preso gli stessi eventi e li avessero messi in tensione.
I sette ragazzi hanno ciascuno un modo personale di vedere il clown e hanno anche diversi problemi in famiglia che spesso fungono da impedimento alle loro imprese. Trent'anni dopo non sembra di avere a che fare con le stesse scene, a partire dall'inizio in cui Georgie dà retta a Pennywise e poi scompare. Il bimbo sparisce in una maniera molto meno cruenta, rispetto alla sequenza nuova in cui il clown prima gli stacca un braccio, il piccolo grondando sangue cerca di strisciare via ma viene tirato nel tombino per le gambe e poi ci viene offerta un'inquadratura sulla strada inondata di rosso.
La stessa scena del bagno di casa di Beverly (sto cercando di non creare troppo spoiler) è molto, molto cruenta, rispetto al primo (vi prego evitatemi di dire sempre "film del '90", facciamo che sono primo e secondo anche se non ha senso).
Gli stessi personaggi ti danno l'impressione che si sia passati da tinte tenui a tonalità molto più sgargianti. Il carattere e gli atteggiamenti di alcuni sono volutamente esasperati.
A partire dallo stesso Pennywise, l'attuale sembra molto più assetato di sangue, che di paura e mette davvero i brividi. Il precedente si perdeva più in colloqui prima di terrorizzare i bambini; nel secondo i dialoghi sono un po' più ristretti e IT si trasforma più volte.
Partiamo dal principio: il primo Pennywise ha le sembianze di un clown e si comporta inizialmente come un clown. Insomma finché non comincia a mostrare i dentoni non è esattamente così minaccioso. Ha i palloncini, il costume sgargiante, è un clown. Un clown. Esatto, proprio un clown, se lo state pensando.



Purtroppo non ho ancora avuto modo di leggere il romanzo di Stephen King ma chi è riuscito afferma che la versione più fedele sia proprio quella qui sotto, che di apparentemente innocente non ha nulla. Nemmeno se fosse realmente innocuo qualcuno ci crederebbe.
Ha un aspetto molto particolare e curato, meno commerciale, come se fosse un cortigiano ottocentesco. Personalmente ti dà quasi l'impressione che sia stato esiliato da qualcuno perché troppo perverso e crudele.
M'immagino già la scena di questo abominio che si fa strada nella sala principale di un castello e gli invitati si aggrappano alle tende o vomitano per il terrore. Nella mia testa ho un po' la scena del cartone animato "Anastasia" in cui Rasputin viene cacciato brutalmente e lui maledice tutta la famiglia.
Potrebbe anche essere utilizzato per un creepy carillon al posto della ballerina.
Lo stesso cambio stilistico è stato spiegato da Andy Muschietti in questo articolo: Per leggerlo clicca qui. Confesso di non avere una preferenza, perché sono entrambi ben caratterizzati seppur molto differenti.



I ragazzi hanno alle spalle storie di famiglia molto particolari, non hanno un'infanzia serena. Credo che questo sia uno dei punti che li accomuna tutti e che faccia da collante per il gruppo.
Non ho notato particolari discrepanze nel personaggio di Bill, anzi credo sia quello rimasto più simile. Una nota di merito va al secondo Bill perché è riuscito proprio a farmi piangere, ma non voglio creare troppi spoiler e mi fermo qui. Il piccolo Georgie è anche molto simile, se non per qualche scena aggiuntiva veramente bella.
Nel caso di Beverly il suo carattere è stato un bel po' stravolto, come se ci fosse un abbozzo di emancipazione femminile che nell'altra sicuramente veniva a mancare, dava troppo l'impressione di essere costantemente trascinata dalle altrui volontà. Ha conservato la sua espansività ma si mostra decisamente meno propensa ad abbassare la testa. Mi ha stupito molto il tono che le è stato dato, molto più strong rispetto alla vecchia Beverly che a tratti mi ha fatto cadere le braccia.
Vorrei aprire una parentesi riguardo Richie. Precedentemente interpretato da Seth Green -noto per il ruolo di Oz (il licantropo) in "Buffy l'ammazzavampiri" ma la sua lista è ben più lunga- dimostra già da lì di avere l'argento vivo addosso. Accattivante, sarcastico, pungente, carismatico seppur non sempre opportuno -per non dire che quando apre bocca si ferma sempre tre frasi dopo quelle che dovrebbe esternare- è da subito di spicco all'interno del gruppo, ma passato il testimone al giovanissimo Finn Wolfhard, il nostro Beep-Beep Richie acquista una marcia in più.
La star di "Stranger Things" -di cui sta uscendo la seconda stagione- fa il suo ingresso trionfale regalandoci un carattere ancor più linguacciuto, irrefrenabile e soprattutto sboccato.
Se nella prima versione Richie parla troppo, qui è totalmente inopportuno e soprattutto parecchio irriverente.
Non risparmia a nessuno le sue frecciatine anche al costo di finire molto male.
Lo scambio più soft che mi ha fatta piegare in due, è stato quando, posto di fronte alla scena in cui la mamma di Eddie dopo mille raccomandazioni al figlio lo costringe a darle un bacio di fronte agli amici, Richie spezza l'atmosfera sghignazzando, chiedendo alla signora se gradisce un bacino anche da lui.
Non ci troviamo più davanti al ragazzino timido cotto di Eleven; Finn Wolfhard mostra una grande maestria nell'interpretare ruoli diametralmente opposti, qualità sorprendente data la giovane età.
In Eddie invece si accentuano le tendenze ipocondriache. Cambia particolarmente il personaggio di sua madre, che nel '90 si mostra molto curata mentre la ritroviamo ad oggi certamente non in forma, dipendente da tv e divano. Una visione abbastanza sgradevole.
Non si evidenziano particolari cambi di rotta negli altri ragazzi, se non per il fatto che Stanley nel secondo film è un po' a scomparsa: ha delle scene molto buone poi per un po' ti dimentichi proprio che c'è ancora; il primo Stanley ha una presenza più marcata nel lungo termine.
Gli stessi bulli sono interpretati in maniera violenta; nella miniserie non si è visto bene ciò di cui sono capaci.
IT dopo quasi trent'anni si è evoluto in un film più sfacciato e sanguinolento: se prima avevamo quasi dei dubbi a definirlo un horror, ora lo è a tutti gli effetti. È come se avesse acquisito sapore, rispetto a una storia più edulcorata dove i temi forti -contenuti nel libro- erano espressi in modo velato per non terrorizzare a morte i bambini.

giovedì 19 ottobre 2017

Anoressia, autolesionismo, depressione, balene, delfini e l'effetto Werther.

L'altro giorno (e questo per dire due settimane fa, credo... o una, ma è così importante?) ero a casa di mia sorella acquisita (è una luuunga storia) e, come quando non abbiamo questa gran voglia di saltare sui muri, ci diamo a un film di Netflix: "To the Bone", per l'Italia "Fino all'osso". L'ho trovata una bella storia tendente al drammatico, positiva per come la tematica dell'anoressia viene trattata, forse un po' fantasiosa in certe scene ma comunque valida.
Ciò che più mi ha colpita è stato il fatto che la protagonista pubblicava dei disegni su Tumblr e una ragazzina che l'ammirava si è uccisa. Seguendo quello che pensava fosse il canone dell'artista? Questo non è approfondito, ma il dubbio che assale la giovane è proprio quello.
Il semplice toccare l'argomento anoressia, ha sollevato il solito polverone che accade ogni volta che il film non è su caramelle ed orsacchiotti: se ne può parlare? Sì, no, forse, non lo so... più o meno intorno ai disturbi mentali di varia entità c'è lo stesso pudore che avevano le bisnonne a parlare delle mestruazioni. 
La stessa serie tv "Tredici" è finita nell'occhio del ciclone per istigazione al suicidio, ma non c'è niente di nuovo in tutto questo: stiamo parlando del cosiddetto "Effetto Wherter", termine coniato dal sociologo David Phillips, prendendo spunto da quanto successo con "I dolori del giovane Werther", romanzo di Goethe in cui un giovane si suicida dopo essersi innamorato di una donna, ma lei sposerà un altro. Dopo l'uscita e il successo del romanzo si è verificato un incremento dei suicidi e lo stesso accadde dopo la morte di Marilyn Monroe.
Un altro argomento che fa urlare "vade retro" è il cosiddetto fenomeno balena blu (i delfini erano sarcastici), che oscilla tra video fake e realtà scomode da vedere.
Da qui la domanda che nasce è: "Cosa dobbiamo fare? Nascondere il dolore sotto il tappeto?"
La verità secondo me è che parlare delle cose felici/facili è molto molto più semplice.
Il post più cliccato di tutto il blog, nonostante la mole spropositata di recensioni che pubblico, riguarda l'anoressia (Per leggerlo clicca qui). L'aspetto più triste di tutta la faccenda è che quando le persone arrivano all'articolo, posso leggere le parole che hanno usato sul loro motore di ricerca (ovviamente in maniera anonima, non so chi ha scritto cosa, non è il Big Brother) e il più delle volte ci si giunge per cercare metodi per vomitare o non mangiare.
A questo punto, io mi chiedo, ora che tutto è a portata di tablet/pc/smartphone, ha davvero senso non parlarne affatto, dal momento in cui se si cerca un incitamento in negativo lo si trova?
Io credo che non sia il film in sé per sé a creare il problema suicidio, come da solo non faccia spuntare una depressione o un'anoressia, ma che si debba stare attenti a come si tratta l'argomento, perché si rischia di creare coraggio nell'affrontare le situazioni nel modo sbagliato. Non è stato Goethe a dire alla gente di suicidarsi, però ha varcato una linea: ha spostato il confine del giusto un po' più in là, appena dopo la morte. Involontariamente nel cuore di qualcuno si è palesato un "coraggio" che era ancora in stato embrionale, ma questo è tipico dell'essere umano, che è un animale sociale e soggetto a condizionamenti.
Si può però restare condizionati anche in maniera positiva, solo che chi potrebbe parlare di reagire, di combattere lotte dolorose invece di farla finita, tace. Manca un incitamento alla vita.
Il mondo va così male perché di chi soffre o non si parla per niente o se ne parla in maniera devastante e letale. Oppure, ancora peggio, si parla delle malattie mentali e di coloro che ne sono affetti, come di mostri da emarginare o ficcare in uno sgabuzzino. È quasi come se esistesse solo il risvolto decadente e mai qualcosa che inciti a ripartire.
Se siete arrivati fino alla fine di questo post, qualsiasi sia il problema da nascondere, non nascondetelo. Non siate isole. Parlate parlate e soprattutto fatevi aiutare da qualcuno in grado di tirarvi fuori. Perché un corpo bello è quello ancora capace di reggersi in piedi, una persona davvero in pace non si sfregia da sola, un vincente non è colui che l'ha fatta finita, ma questo dev'essere chiaro.
Si può stare meglio senza farsi del male.  

giovedì 5 ottobre 2017

Recensione: La gemella sbagliata, di Ann Morgan

Voto: ***

Le voci che ho in testa stanno litigando tra loro per decidere se questo libro è da rissa o da nobel.
Inevitabile è affermare che mi ha fatta piuttosto alterare, perché ho divorato pagine e pagine con una sola domanda nel cervello e la risposta istiga alla carneficina.

La trama in maniera molto scarna: due bimbe, gemelle, decidono per gioco di scambiarsi. Helen è sempre stata in una condizione di privilegio rispetto ad Ellie che veniva disprezzata da tutti per via dei suoi problemi; al momento dello scambio, quest'ultima si rifiuta di tornare nei suoi panni e si appropria della vita della sorella.
Un gioco che sembrava così innocuo genererà problemi grossi come montagne e danni fisici e morali irreparabili.

Lo stile è costantemente in bilico tra delirio e realtà, ma anche l'espressione del caos ha un certo ordine. Il ritmo resta cadenzato qualsiasi cosa accada, come pioggia che a poco a poco scivola giù. Anche ciò che viene presentato come folle, a mio avviso ha un incasellamento ben preciso. Non è un libro caotico, puoi respirare le scene e seguirne il filo nonostante la narrazione rimbalzi costantemente tra presente e passato.
La famiglia Sallis è reduce da un suicidio. Le due bimbe restano orfane di padre e vengono "seguite" dalla madre, colpita da un'opprimente depressione. Lo scambio avviene in seguito al dramma e, nonostante le bambine siano completamente diverse (Helen sicura di sé, forte e autoritaria, mentre Ellie si mostra parecchio fragile, manipolabile e presenta qualche problema mentale) la mamma riesce a confonderle... diciamo per sempre. Ella intanto presenta loro un nuovo papà e il tempo seguita a scorrere, con Ellie che riesce ad acquisire un'autostima e a prevalere su Helen, la cui situazione la porta ad ammalarsi mentalmente e a perdere la rotta per il dolore. Tuttavia la sofferenza non è vana, perché incanala la giovane verso una strada artistica. Riesce ad essere incisiva da lesionare il cuore.
"Inizi disegnando una scena natalizia: una famiglia seduta in salotto a guardare la televisione, con un grande albero di Natale nell'angolo. La particolarità della scena è che a una prima occhiata sembra tutto normale, soltanto osservando con più attenzione ci si accorge che le cose non sono come sembrano. Per esempio, la madre ha l'aids. Non puoi mostrarlo esplicitamente nel disegno, ma puoi raffigurarla con le guance scavate e gli occhi infossati, i segni lasciati dalla siringa sulle braccia lunghe e magre. Il regalo appena scartato davanti a lei è un ago, e nella scodella non c'è il cibo, ma vomito. Il bambino piccolo è pieno di lividi: il padre lo picchia quando non c'è nessuno che li possa vedere. Quanto alla ragazzina adolescente, be', non serve una laurea per capire, dai suoi vestiti strappati e l'espressione stravolta, cosa le faccia il padre.
Drappeggi le ragnatele come decorazioni natalizie perché l'abete, realizzi mentre continui a disegnare, è lì tutto l'anno.
Nessuno ha voglia di metterlo via e rifarlo. Ciò che a un primo sguardo sembra un avvenimento speciale è una sorta di tortura. L'allegria dell'albero è come risucchiata, sostituita da noia e vergogna, un'altra cosa che la ragazza deve nascondere ai suoi compagni di scuola. In realtà, se si osserva attentamente, ci si accorge che nel mondo, fuori dalla stanza, è giugno. Il sole splende anche se l'orologio sul videoregistratore indica le 21.30. È il giorno più lungo dell'anno."
I demoni non mollano la presa così facilmente e tutto ciò che ha vissuto sarà incisivo per sempre nei passi successivi che andrà a compiere.
Le parti introspettive riguardanti Smudge (non mi dilungherò in spiegazioni) sono ben costruite e toccanti. Le voci che la tormentano arrivano ad essere talvolta anche divertenti e coerenti con gli interrogativi martellanti che tornano nei momenti peggiori. Smudge ha una sua forza distruttiva con la quale affronta le lotte e si ricostruisce a modo suo. Nonostante i continui impedimenti trova sempre un modo ed ammiro la caratterizzazione di tal personaggio, che ha dietro un bel lavoro.
Ellie seppur molto artefatta ha una sua linearità, anche umanità se vogliamo (magari senza allargarci troppo). Non si rivela il personaggio peggiore.
Il padre. Suscita particolare attrattiva la sua figura, il modo in cui ci viene presentato dagli occhi delle figlie. Egli è speciale, fuori dall'ordinario, come un folletto. Una creatura fragile che questo mondo non poteva ospitare realmente, come un personaggio dei cartoni animati. Emerge palesemente, senza nemmeno averlo conosciuto, quanto fosse un uomo speciale  e quanto soffrisse a vivere in un mondo  poco colorato. Nemmeno la sua arte lo tirava su. 
Ma la mamma... vi dico solo che se questa persona avesse avuto un briciolo di -cervello/ umanità/ decenza/ intelligenza?- sarebbe stato come se Aemon Targaryen avesse accettato il Trono di Spade invece di mandarci il fratello matto: non ci sarebbe stato alcun libro. Ci deve pur essere qualcuno che non ne fa una giusta pur di mandare avanti la storia, ma questa donna è fantascientifica: le uniche parole che riesce a pronunciare sono divieti, insulti e, quando finalmente trova un modo per dimostrare la propria utilità è comunque inutile/ tardi. Onestamente non credo che i suoi comportamenti fossero guidati da una semplice depressione per la perdita del marito; in lei emerge un tratto fortemente grottesco e darwiniano, ciò mi porta a pensare che sia indubbiamente il personaggio più malato dell'intera famiglia. Non è nemmeno lontanamente comparabile a un personaggio cattivo serio: si trascina un nonsense di fondo che il lettore fatica ad afferrare e comprendere... o quantomeno giustificare.
C'è un'unica domanda che ti martella per tutta la storia, la cui risposta è raccapricciante.
Una lettura in cui l'introspettività prende il sopravvento sul thriller, adatta a chi ama il sapore nostalgico dei ricordi e dei rimpianti.
Strano e meraviglioso rivedere i pezzi del passato così, come in un film. Strano e meraviglioso provare di nuovo le emozioni cancellate da anni di blocchi per appunti, luci al neon e stanze con la moquette alle pareti. Le aveva dimenticate.
«Eravamo felici» disse sorpresa, fissando sua sorella. «Prima che tutto iniziasse, eravamo felici.»