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mercoledì 27 agosto 2014

Maleficent: un viaggio nell'anima.


Se siete nati uomini, probabilmente avrete cercato di tagliarvi le vene durante il film; se ciò non è accaduto, avrete certamente apprezzato la sensazionalità di questa pellicola ad uso e consumo femminile. Infatti, se ci riflettete bene, gli uomini durante la storia o sono dei cattivoni insensibili (eccetto il corvo, Fosco, che si presenta come un personaggio diverso e accattivante, con quel look alla Gomez e quell'aria a metà tra il tenebroso e il dolce come il miele), o sono perfettamente inutili.
L'unica pecca di una storia davvero meravigliosa, che ci apre le porte della psiche di una donna... e soprattutto del suo cuore. Rivoluzionaria come rivisitazione di una fiaba, perché in maniera originale è capace di sovvertire qualsiasi punto di vista: non si possono odiare dei cattivi così. Non si può odiare una Malefica così.
Un grande inchino per Angelina Jolie, che è semplicemente perfetta nel ruolo: come se fosse nata per interpretarlo. Ha saputo sprofondare negli abissi più neri, nella disperazione di una donna delusa. Ha preso un dolore fiabesco e l'ha reso vero, vivibile, reale. Ha fatto in modo che tutti potessero in parte sentirsi traditi; sentirsi Malefica.
Non ho mai assistito a una rielaborazione così ben fatta, da rendere così perfetto il mix tra la tradizione e innovazione.
Per cominciare, sappiate che la protagonista vera e propria non è Aurora. Il sipario si apre su una giovane fata protettrice della Brughiera; una fata di rara bellezza e forza, che un giorno incontra un bambino e diventa sua amica. Stefano e Malefica sono sempre più intimi e inseparabili, finché un giorno lui, guidato da una sfrenata ambizione, l'abbandona per cercare potere.
Lei nel frattempo diventa invincibile ed impedisce al re Enrico di prendere possesso sul suo territorio, che difende a spada tratta dalle violente aggressioni, insieme ai suoi abitanti. È ora una donna fatta e finita, ma non dimentica il suo amore cieco per quel ragazzino nemmeno un istante, nemmeno col tempo: non ci pensa due volte a perdonarlo anni e anni dopo, quando torna con la coda tra le gambe e sembra cercare solo affetto. Invece l'ha già tradita: ha promesso al sovrano di ucciderla per ottenere il trono in cambio, ma non se la sente di porre realmente fine alla vita della fata; così fa in modo che si addormenti e le strappa via le ali, per fornirle come prova.
La fata si sveglia e prende coscienza dell'orribile fatto. Si dirige tremante da qualche parte in cerca di un riparo, ma la ferita che brucia di più non è quella dietro la schiena. Il problema permanente è quel cuore spezzato, incapace di ricomporsi. Erge barriere e sortilegi in modo che il regno ottenuto da Stefano non potesse più avere a che fare con il suo, e diventa crudele. Un giorno però, nel suo buio  e solitudine compare un corvo che la segue e che successivamente lei salva e rende umano o animale a seconda delle situazioni. Egli, suppongo da subito affascinato da lei, intende sdebitarsi diventando la sua ombra, il suo fedele servitore. Fosco diviene il suo collegamento, la spia che le racconta ciò che accade nel reame tanto odiato.
Malefica, intrappolata dall'astio cerca a tutti i costi una vendetta; il pretesto le viene fornito dalla nascita di Aurora, primogenita di re Stefano e della moglie,  e interviene come nella storia originale a portarle in regalo il sortilegio carino che tutti sappiamo.
Il re, disperato, fa bruciare i fusi del regno e affida la bimba alle tre fatine...e qui inizia il bello. Le tre fate madrine si rivelano tre perfette mentecatte: goffe, stupide, sbattono in continuazione tra loro e non sanno far altro che bisticciare. La bambina piange e non sanno cosa fare, così la lasciano disperare nell'attesa che smetta.
La cattiva osserva tutto ciò in agguato, ridendo. Fino al primo contatto con la piccola principessa, che sposta qualcosa dentro di lei, anche se la donna cerca di restare fredda. La corazza cade appena si rende conto che Aurora ha davvero bisogno di una mano seria per restare in vita; così la visita e nutre di nascosto. Se ne occupa come una madre, mentre la bimba cresce e diventa una "meravigliosa" fanciulla.
In questo caso, Fosco la vede lunga immediatamente: percepisce in modo lampante che Malefica non è crudele come cerca a tutti i costi di dimostrare e le fa da sostegno, facendole però, tra una battutina e l'altra, notare "l'ipocrisia" della sua cattiveria. Questo è un legame molto bello. Il corvo non è servitore e basta: egli è amico, complice, compagno. Egli la capisce davvero, scruta quel cuore ferito come se lo conoscesse da sempre e cerca di guarirlo lasciandolo sfogare. Se ne sta con lei, leggero come un vestito, discreto come un guanto. Tra i due s'instaura un feeling immediato: lei stessa non lo vede come un semplice schiavo; altro indizio della  sua dolcezza. Non cerca solo qualcuno che voli per lei, ma che provi a riparare pian piano una situazione irreversibile. Lui questa percettività la possiede tutta e non esita a metterla in pratica. Fosco infatti si rivela come un personaggio molto interessante e dalla spiccata sensibilità, che sa vedere oltre le vendette, i silenzi. Un uomo che sa scovare il dolore e aiutare Malefica a mandarlo via.
Ecco, lui è l'unico uomo della storia, che fa una cosa utile e ha spessore. Stefano ad esempio è un cattivo e non si spiega mai da cosa è spinto nel bramare sempre ed esclusivamente potere. Poteva avere un vissuto strappalacrime dietro; invece niente.
Intanto Aurora cresce e l'incantesimo sta per compiersi. Diventa una ragazzina che, definirla esteticamente entusiasmante, mi sembra piuttosto esagerato. L'Addormentata del cartone animato è quanto di più bello ci possa essere; qui l'hanno resa così.
A parer mio carina, ma non folgora a prima vista. Stessa cosa per il principino che s'innamora di lei: potevano incontrarsi al supermercato e sarebbe stato uguale. Soprattutto, nessuno li avrebbe riconosciuti.
Il pezzo forte della pellicola, in parole povere, è quasi unicamente la figura ben caratterizzata di Malefica. È come se l'intero film passasse attraverso la sua anima e gli eventi ne filtrassero le emozioni. Durante la visione, lo spettatore assorbe il suo dramma dell'abbandono e tradimento; la sua rabbia; la frustrazione nascosta  per una vendetta inutile; il dolore e rimorso per aver tirato in questa storia un'innocente. Si scopre poco a poco una donna dalle mille sfumature, dall'orgoglio feroce atto a coprire una sconfinata bontà; un bisogno palese di amore, comprensione, tenerezza.
Angelina Jolie ci presenta una forza fragile, o una fragilità forte... e lo fa con la facilità di un respiro. Lo fa come se fosse stata Malefica tutta la vita, e avesse aspettato di tirarlo fuori e offrirlo in pasto al pubblico. Il suo è un tormento vivo: così ingombrante che lo si può toccare.
Un ruolo portato con un talento così spiccato, da tenere in piedi quasi da solo l'intero film. Film che soprattutto per questo, esce vincente da ogni giudizio.

martedì 12 agosto 2014

Fuga di cervelli: siete sicuri che non sia uno spaccato generazionale esaustivo?


Ok, ditemi che son donna e in quanto donna, paranoica traviso le cose e capisco fischio per fiasco. Ditemi che son donna e in quanto donna per voi non capisco un cavolo; ma a me quel film è piaciuto.
Ho seguito anche (in modo piuttosto blando) lo scontro Yotobi/Ruffini, ma nulla mi schioderà dall'affermare che ho gradito... e ora vi spiego perché.
Sembra banale, che sia scontato, che non faccia ridere, che sia addirittura inverosimile. No, ragazzi, vi sbagliate di grosso: non c'è niente di più reale.
Il film di internet (come lo definisce Yotobi, perché fatto da youtubers) è strutturato e interpretato da persone (vedi Willwoosh) che hanno sempre avuto il pallino di gettare in faccia alla società quello che è la società, anche se in modo comico.
Il gruppetto di sfigati, non è troppo sfigato per essere vero; tra l'altro non sono i personaggi ad essere realmente stupidi. È un concetto un po' difficile da rendere plastico, vivo, ma ci voglio provare.
I protagonisti sono persone che, per un motivo o per l'altro, vengono disprezzate da tutti. Ma non siamo al livello dello stupidotto con i pantaloni ascellari: stiamo parlando anche d'individui con handicap, che a quanto pare si trovano a loro agio solo in mezzo agli sfigati... e gli stessi sfigati, non ci sono davvero: ci fanno e nascondono col loro "farci", disagi nettamente più grandi.


La trama tesse le vicende di Emilio (Luca Peracino), insicuro secchione da sempre perso per Nadia (Olga Kent), e i suoi amici, che lo spingono a seguirla in Inghilterra e dichiararsi. Ovviamente non è solo: l'intero gruppo, un po' comico e un po' no, sarà al suo fianco in quest'avventura e avrà non pochi ostacoli da affrontare.
Il protagonista è profondamente convinto che una come lei, bellissima, sveglissima, non lo guardi nemmeno per sbaglio; invece si capisce perfino da lontano, che la bella subisce il  suo fascino. Suppongo che in maniera latente lo noti anche lui, ma è troppo congelato dalla sua condizione di emarginato. E così sono i suoi amici: una comitiva legatissima, di gente rifiutata dagli altri, che in fondo ha una percezione di se stessi come rifiuti.
Ognuno di loro presenta qualche problema che nemmeno riconosce, ma in un certo qual modo manifesta. Alfredo (Paolo Ruffini) ad esempio è cieco, ma lo dissimula non usando il bastone. Si aggrappa agli altri, si fa descrivere ciò che accade...tutto meno che andare a tentoni; Alonso (Andrea Pisani) è su una sedia a rotelle e pensa sempre al sesso, ma scarsamente ottiene risultati e in un certo senso non dà la colpa al suo atteggiamento cafone, scaricando piuttosto la responsabilità sulla sua condizione fisica; Franco (Frank Matano) si comporta in modo stupido, quasi ci prende gusto a passare da fesso. Come se cercasse di evitare discorsi seri sulla propria interiorità; Lebowsky spaccia, ma anche lui si chiude un po' a riccio: infatti non dice quasi niente, è ermetico. Altro indizio che suggerisce qualche problema, è la sua "amica" più cara: una zebra di gomma che si porta sempre appresso.


Intanto mi ha colpito la forza di quest'amicizia pulita e sincera, di quelle che non esistono più. Un amico parte, va all'estero e il gesto più logico per gli altri è incoraggiarlo e stargli vicino. Senza raggiri, senza egoismi, senza troppi calcoli. Senza esitazioni. Per un amico si fa. È un discorso innovativo, spiazzante... tanto semplice, quanto impossibile da recepire, in un mondo che scorre innanzitutto sui propri interessi; il che denota anche una certa sensibilità implicita da parte dei ragazzi, che accantonano le proprie esigenze per essere d'aiuto.
Sono una comitiva compatta anche nelle difficoltà: tra una battuta demenziale e l'altra (comicità che magari non è apprezzata da tutti, ma comunque fa ridere in quanto proprio spicciola e abusata dai giovani: una parodia del modo di scherzare odierno) loro sembrano così sbagliati, ma praticano i fatti; ciò emerge soprattutto durante una cena che, apparentemente risulta andare in modo catastrofico. Eppure i nostri eroi sapranno risollevarsi a vicenda.
La profondità dei personaggi, che a detta di molti non emerge, è giusto che non sia palese e scontata. Ogni tanto si dovrebbe leggere tra le righe. Anche perché se fosse stata costantemente evidente, avrebbe reso inutile la scena in cui Emilio apre gli occhi agli altri e li costringe a una brusca presa di coscienza: non si può pretendere di essere accettati dagli altri, se prima non ci si accetta da soli.
C'è un'incomunicabilità palese, una paura di rivelarsi che appiana ogni interazione e la butta sullo scherzo... ma non è lo scherzo il fine; al massimo, una copertura.
Questo si riscontra sempre, all'infuori della "pellicola". La gente dal vivo parla del nulla, poi magari davanti a un computer sfoga quello che tanto a lungo ha taciuto, represso. Ma ci si mostra sempre felici, per non essere ulteriormente aggrediti. Si ride, si dicono cose stupide, perché è una fatica immensa avere il coraggio di dire "vivo male così". E anche se ci fosse il coraggio, di solito non interessa a nessuno, che qualcuno viva male.
Non è un film prettamente comico, a parer mio. Riconosco che la mia è una corrente di pensiero originale; ma più che far ridere, nasconde una morale molto pesante.
Sembra per tutto il tempo, che loro non siano capaci di fare altro che pensare al sesso e fare battute scontate e poco ragionate. Ma sinceramente, a meno che non frequentiate una ristretta cerchia di filosofi dei nostri tempi (in tal caso invitate anche me), questo è ciò che importa. Questa  l'interazione che conta adesso. Viviamo in un contesto che non paga ciò che sei e non cerca di tirarlo fuori: è un'epoca tristemente darwiniana in cui, se non fai quello che il branco, i tosti non fanno, sei tagliato fuori. Hai una sedia a rotelle? Sei un cieco? Allora non puoi venire a ballare; stattene un po' con quello là, che se ne sta sempre a studiare.
Ora conta fare solo quello che fanno tutti; l'altro non è un arricchimento, anzi: la sua diversità, psichica o fisica che sia, è concepita come un grave pericolo. Se tu hai qualcosa da dire, semplicemente conta in base a quanto sono alla moda i tuoi jeans. La battuta "stocazzo", fa ridere in base a quanto è popolare il tizio della compagnia che la pronuncia.
Questo ha tirato fuori il film: giovani spaventati, che permettono agli altri di dire l'ultima parola su chi sono. Perché un secchione è troppo invisibile per quella figa laggiù; un cieco è troppo cieco per meritare un po' d'amore; un ragazzo sulla sedia a rotelle non può permettersi una ragazza "normale".
Ma chi lo decide realmente questo?
Chi decide davvero chi merita chi, o chi può diventare chi?
Sembrano personaggi privi di contenuti, ripetitivi, anonimi. Perché hanno paura di tirare fuori il loro potenziale, perché ormai pensano che la loro vita sia interamente lì; perché si sono adagiati. 
Il loro mondo prende a girare solo quando cominciano a cambiare il loro schema mentale: chi decide cosa sono destinato ad essere?
Io.
È una rivelazione da non tralasciare, dato che siamo perennemente condizionati e permettiamo a tutti di condizionarci. Basta che ci diano del perdente e lo diventiamo; ma abbiamo noi l'ultima parola. Mai lasciare che sia qualcun altro a definire noi stessi. Non siamo noi a doverci adattare (a fare gli stupidi perché ci definiscono stupidi e così via); semmai sono gli altri a doversi adattare al fatto che tutto siamo, meno che stupidi; sarà il mondo a dover capire... non noi a rinunciare.
Perché sentirsi dei perdenti, è il primo passo per perdere.

domenica 10 agosto 2014

I segreti del linguaggio del corpo, di Marco Pacori

Se le comunicazioni interpersonali andassero lisce come l'olio, probabilmente non ci sarebbe bisogno di un libro del genere; quando tuttavia, ogni colloquio formale e non si risolve in un "le faremo sapere", forse è giunto il momento di farsi qualche domanda. A tal proposito, "I segreti del linguaggio del corpo" si configura come un'esaustiva fonte di risposte.
Se siete quel tipo di scettici che commenta con: <<Eh certo: se mi gratto il didietro adesso significa che sono turbato e ce l'ho con te. Non poteva semplicemente prudermi? Ora non posso nemmeno grattarmi in santa pace?!>>, sappiate che la mia risposta vi sconvolgerà.
Grattatevi quanto volete! Anche perché la prima premessa che viene posta è proprio la seguente: i segnali del corpo vanno interpretati anche a seconda della circostanza. Sta al cervello dell'osservatore porsi dei quesiti. No, non c'è un piatto predigerito e prepensato; mi spiace.
Ovvero, se un tizio con cui stai parlando viene punto da uno sciame di api e comincia a grattarsi e rotolarsi, molto probabilmente è meglio che tu chiami un'ambulanza, invece di pensare che si senta ostile nei tuoi confronti eccetera eccetera. Un minimo d'interpretazione!
Anche perché lo affermano gli stessi psicologi, che la psicologia non è una scienza esatta... però aiuta a capire molte cose. Prima di sputarci sopra, sarebbe meglio confutarne la credibilità... e vi confermo che Marco Pacori ci ha visto molto bene.
La mia edizione non so purtroppo spiegarvi dove trovarla, perché al tempo la comprai per caso dal giornalaio: la lasciavano in omaggio acquistando qualcos'altro, che al momento sfugge alla mia memoria. Comunque ci sono molte versioni in libreria e ho verificato rapidamente che dovrebbe variare solo la copertina... quindi ecco: per chi lo vuole, c'è sicuro.
Facendovela breve, l'autore c'illustra i meccanismi psicologici che innescano certi gesti, che altro non sono che azioni istintive troncate all'improvviso dalla parte più razionale del cervello. La premessa infatti è che la corteccia prefrontale tenga a bada gli impulsi, ma ne sfugga sempre una parte che diventa per l'appunto il tanto studiato linguaggio del corpo.
Quali movimenti ci segnalano pensieri ben precisi? Cosa rivela le persone, nonché le verità e le bugie?
Leggetelo per scoprirlo, anche perché il linguaggio è scorrevole e piuttosto chiaro e comprensibile. Alla portata di tutti, anche di chi non ha basi di psicologia a fare da fondamenta.
Magari non finirete lo stesso a fare "Lie to me", ma è comunque una buonissima lettura per imparare a comprendere meglio gli altri, a cercare un incontro; a cogliere ciò che tante volte cercano di non dire o non far percepire. Un ottimo aiuto per chi ha intuito o per svilupparne uno. Perché possedere una bella sensibilità è un'incoraggiante punto di partenza, ma non è mai troppo tardi per coltivarla e migliorare i rapporti di ogni tipo.