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domenica 16 ottobre 2016

Il Mare della Vita

Sapete, non tutti affrontano le giornate di sole come se il sole ci fosse davvero; non tutti riescono a vedere la magia della loro esistenza, perché il dolore spezza e ostruisce ogni cosa.
Ci sono mali che ti predispongono a una sofferenza perenne, la peggiore: l'assenza di luce.
Momenti terribili in cui ti ritrovi in una stanza al buio senza accorgerti di come ci sei arrivato. Momenti in cui ti ritrovi a dubitare di chiunque, anche degli affetti veri. In nome di quel dolore, distruggi anche ciò che potrebbe salvarti. A volte l'unica cosa che puoi fare è abbandonarti e lasciare che qualcuno ti aiuti, ma è proprio lì che il Buio ti costringe alla chiusura, perché alla fine non sempre si ha quel coraggio; è più semplice tacere e lasciarsi accoltellare.
E resti solo. Non ti fai aiutare da nessuno, perché tanto nessuno può capire o placare quel mostro che ti divora le viscere senza chiedere scusa. Quel mostro che ha sempre fame e ti destabilizza, ti toglie le forze.


"L’intento di raccontare questa storia nasce dall’esigenza di porre un focus su un problema sempre attuale ma poco affrontato: la depressione.
Questo male colpisce moltissimi giovani e lo scopo di quest’opera è proprio quello di trasmettere speranza e determinazione per credere ancora in un futuro, che al giorno d’oggi sembra ci sia stato strappato via. Un altro proposito è quello di sensibilizzare il pubblico verso una malattia così diffusa eppure così sottovalutata, tanto che molti perdono la vita proprio per mancanza di supporti validi per guarire.


Sinossi: Kevin perde i colori da quando la sua donna lo ha lasciato, non vede più la vita.  
Fiamma, nella testa del protagonista, non sa più chi è; ingaggia una lotta disperata contro i mostri del Buio affinché il suo mondo, il "Giardino" non si prosciughi.
Non sarà solo nella lotta: Luce sarà al suo fianco."

Per saperne di più, perché non mettete un bel like alla pagina dell'autore?  
Leonardo Carboni - Weird Stories








Leonardo Carboni



lunedì 10 ottobre 2016

La felicità.


Non c'è cosa più facile che scrivere della tristezza. È un'emozione così totalizzante, annientante, così violenta che non la puoi reprimere e intasi la vita altrui, straripi nei pianti contagiosi. Straripi nel tirare addosso agli altri il tuo buco nero, perché vuoi solo uscirne, vuoi liberarti dal liquame, dallo schifo.
Tutti parlano della tristezza, ma nessuno parla mai della felicità.
Nessuno riesce mai a parlare, dell'anima che trema forte quando vedi qualcuno. Nessuno riesce mai a parlare di quella sensazione, dopo aver vagabondato tanto a lungo, sotto la pioggia, sotto un gelo da far battere continuamente i denti, di essere finalmente a casa.
Nessuno esprime mai cosa vuol dire sentire tanto caldo da crollare a dormire, perché finalmente si è al sicuro e niente può più distruggerti. Quando non hai più battaglie interminabili da combattere e puoi riposare senza il terrore di morire di nuovo, grondando sangue. Quando le ferite non pulsano più e sei quasi sorpreso, perché ormai credevi di non avere più speranza, che soffrire fosse il tuo disgraziato destino, la normalità.
Ti viene solo da piangere. 
Quando dopo un funebre silenzio, ti alzi e senti in te la musica fiorire, puoi solo piangere di gioia. 
E non ci sarà vita di merda capace di cancellarti quel sorriso lì. Non ci saranno turni massacranti di lavoro, rimproveri, sgarri capaci di portartelo via.
Non ci sarà niente e nessuno in grado di cancellare la gioia vera, quando la provi. 
Vuoi solo vivere ancora, vuoi solo non fermarti mai, anche quando cadi a pezzi per la stanchezza. 
La gioia vera, daresti tutto te stesso per provarla ancora, in qualunque condizione.
Quel sorriso lì è fuoco inestinguibile e sa solo nascondersi un po', per esplodere di nuovo. 
Volevo solo lasciarlo scritto. 
Segnarlo dove potrò rileggerlo fino alla morte.
Che cascasse il mondo, sono felice. 
Sono felice. 
Felice.
Felice.
Volevo scriverlo, che non conta che la vita vada come ti aspettavi, ma che vada come volevi. 
Non dimenticatelo mai. 
Dovete essere voi stessi. Dovete essere felici.
Non dovete essere o fare quello che si aspetterebbero da voi, ma quello che vi fa ridere dentro di cuore. 

-E' stata chiamata "giallo".
Così ho seguito la mia strada,
qualcosa di importante da fare.
Ed era tutto giallo-




venerdì 7 ottobre 2016

Recensione: Lo spacciatore di carne, Giuliano Sangiorgi

Trama (per motivi di tempo inesistente, ho dovuto prenderla da internet):
Non c’è legame più forte del sangue. E il sangue, la carne, nella vita di Edoardo sono molto più che una metafora: sono la materia di cui è fatto il suo passato e quella a cui deve tornare.
Aveva cinque anni, «cinque anni di niente» il giorno in cui ha visto suo padre sgozzare un agnello. Da allora il sangue non ha smesso di scorrere nel mattatoio, «la carne-officina» dove il padre macellaio (un tempo il suo gigante buono, adesso un estraneo) attende con pazienza che prenda la laurea prima di raggiungerlo e mettersi all’opera accanto a lui. Perché quello è il destino che la sorte – una sorte incarnata in famiglia – gli ha assegnato, contro cui Edoardo può al limite provare a ribellarsi nascondendo gli agnellini sotto al suo letto, illudendosi che giocare a proteggerli possa salvarli davvero dal loro futuro segnato, e non semplicemente rimandarlo. Dopotutto rimandare, nascondersi, è quello che fa anche lui: studente fuorisede a Bologna, è lontano da casa da due anni ma ha dato solo un esame, il più facile. Vive in un appartamento di via Zamboni con due ragazzi, in uno spazio a compartimenti stagni, dove l'unico contatto con gli altri è dato dagli odori e dal vuoto lasciato dai coinquilini quando vanno in facoltà. La sua è una vita in stallo, «un presente parcheggiato».
Finché, sul treno per Bologna, incontra Stella. Un faccia bianchissima da bambina, vent’anni sulla pelle e mille negli occhi. Stella è bellissima, misteriosa, bacia e morde con la stessa passione, e Edoardo se ne innamora in un istante. È l’inizio di un rapporto simbiotico, un triangolo travolgente e pericolosissimo che ha come terzo vertice la droga. Per procurarsela (per lui, ma soprattutto per Stella) Edoardo rivende i tagli pregiatissimi di carne che suo padre gli spedisce orgoglioso ogni settimana: la carne in cambio della droga, la droga in cambio di Stella. Ma ciò che inizia nel sangue non può che finire nel sangue.
Quando Edoardo capisce che Stella l’ha abbandonato, quella carne che alimentava il suo legame comincia a trasformarsi in ossessione. In un mondo ormai allucinato dove tutto appare possibile, la carne diventa denaro contante e l’amore diventa incontrollabile follia.


Recensione: La parola d'ordine è anticonvenzionale. Mai letto un libro del genere.
Il mondo sporco e confuso di sangue a cui Edoardo è stato destinato fin dall'inizio è come se lo inghiottisse, come se lo tirasse a sé, facendogli capire che dal sangue non c'è realmente scampo.
Lo stile è intricato e complesso. Giuliano Sangiorgi conferma la sua modalità di scrittura intrisa di dolore e poesia, una poesia faticosa che scaturisce da un vortice di emozioni difficile da descrivere e spiegare.
La chiave di lettura è capire, sporcarsi di quelle parole finché non diventano proprie. Capire quell'incomunicabilità di fondo che rende tutto faticoso, sporco e privo di un effettivo respiro.
Edoardo, il protagonista, in partenza sembra privo di una reale identità, quando invece mostra un'anima piena d'inventiva nonché folle. Cade nella stessa trappola da cui cercava di scappare per una vita e lo fa con tormento crescente. Un tormento che si autoalimenta in un circolo, soprattutto per colpa della sua grande sensibilità.
Stella onestamente l'ho trovata  poco interessante, poco fine e delicata. Piuttosto grossolana come donna nei gesti. Una donna che quasi sarebbe meglio non incontrare mai, che vive urlando la propria esistenza addosso agli altri, priva di una qualsiasi grazia e pudore. Non lascia qualcosa di bello da ricordare; è un personaggio che si regge interamente sull'idealizzazione, sul castello di carte che Edoardo aveva costruito nei suoi confronti.
Anticonvenzionale per anticonvenzionale, invece vi dirò che ho gradito molto più Sonia. La dolce donzella altri non è che una prostituta, conosciuta casualmente durante la relazione con Stella. I due si limitano sempre a salutarsi in maniera medievale, dolce. Un giorno però, quando ciò che riteneva amore è ormai sfumato, torna dalla giovane e le propone un baratto: la carne di suo padre in cambio dell'amore di lei.
Lei accetta di buon grado lo scambio, ma poi c'è un passaggio rapido, poche righe che definiscono alla perfezione questa stupenda meteora, molto più meritevole di attenzione. Poche righe che mi hanno fatto venire la pelle d'oca, rendono superflua ogni spiegazione.

L'amore a gettoni dura poco.da quel giorno Sonia mi ha amato tutte le volte che le ho portato qualcosa di carne. Il frigo si è riempito fino a strabordare. Ne è ancora pieno. Non so se mi ha scopato per compassione o per amore.Poi ho saputo: non mangia carne e non me l'ha mai detto. 


Dopo quest'umana parentesi di amore disperato, ha inizio la vera e propria discesa all'inferno.
Edoardo diviene già un tutt'uno con le droghe grazie all'incontro con Stella; da lì non perde mai l'abitudine e finisce per non ritrovare nemmeno se stesso. L'amicizia con lo spacciatore, Luca, non fa altro che facilitarlo nella fusione tra ciò che è falso e ciò che è reale. Lui stesso gli procura tutto ciò di cui ha bisogno per dipingere la sua nuova esistenza, per aiutarlo a sovvertire il sistema monetario.
Ci si perde come il protagonista. Ci si perde, sporchi di sangue, sporchi di troppi colori -le droghe- a chiedersi cosa sia davvero successo e cosa no. Il finale ci lascia sulla bocca un punto interrogativo importante... un nodo che non si scioglie e resta lì, con il carico di angoscia che si trascina appresso.
È un libro tanto poetico quanto sfacciato e rivoluzionario negli intenti.
Oltre le vicende personali, sulle quali scende la pesante ombra del dubbio, la narrazione lancia sassi: riflessioni che passerebbero inosservate, se solo non puntassero esattamente l'occhio di bue sulla sporcizia del mondo. Un mondo costruito sul denaro, frutto di sangue almeno quanto la carne che egli spaccia. 

E perché un pezzo di carta è arrivato a muovere le cose, tutte, la vita e la morte dell'umanità?
È solo carta, cazzo. La mia è carne. Meglio uccidersi per questa, se proprio si deve, come branchi di animali intorno alla carcassa di un cadavere... e vinca il più forte, vinca il più aggressivo tra di noi umani. Meglio un uomo, nudo di carne e ossa e non uno straccio di carta.
Meglio dipendere dall'uomo e dalla sua carne, anziché dal denaro e i suoi cadaveri. 
Il lieto fine non esiste, il libro si conserva intatto nel suo pessimismo e nella sua disillusione.
Non seguite la storia; seguite le parole e i pensieri che ne fanno da impalcatura di fondo. Saranno loro stessi a condurre il gioco.