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domenica 27 ottobre 2013

J.K. Rowling, ti devo delle scuse. Spero che un giorno potrai perdonarmi


Cara J. K.
Questa è una lettera di scuse a cuore aperto, che fortunatamente a causa delle barriere linguistiche non leggerai. Sai, hai altri libri da scrivere e non voglio farti prendere un colpo prima di terminare l'opera.
La prima volta che strinsi il caro Harry Potter tra le mani, avevo pressappoco la stessa età del maghetto, forse un anno in meno. Insomma, ero piccola, ingenua, inesperta e solita a portare i libri anche in bagno.
In un giorno funesto accadde qualcosa che non dimenticherò mai.
Accadde che a tavola mangiavo con una mano e leggevo con l'altra, tanto ero assorbita dalla narrazione; al che, finito il pranzo giunse quel goccetto di caffè che mi era concesso ogni tanto. Mi appropinguai a bere dal funesto calice, quando il suo contenuto, per infausto destino si moltiplicò (almeno fu quello che sembrò ai miei occhi) e rovesciò completamente sulle pagine.
Inutile fu strapparmi i capelli, piangere disperata e tentare di rianimare la carta, intenta a fissarmi con sguardo severo. Mi sentii così persa d'animo e rattristata, che se fosse stato possibile mi sarei sputata in faccia.

Per questo ti devo delle scuse. Scontato fu, che da quel giorno non toccai mai più un caffè e un libro contemporaneamente (nemmeno se si trattava di un Harmony).
Questa triste, commovente e dolorosa vicenda, mi segnò tanto che ne trassi innumerevoli insegnamenti: mai più rovinai un libro e imparai a trattarli con cura, come se fossero dei figli. Mi diedi degli orari lontani dai pasti per leggere.
Ti ringrazio per la pazienza e voglio annunciarti che nonostante tutto sono andata avanti, mettendo la testa a posto. Ho comprato tutti e sette i capitoli della saga, visto da brava Potteriana gli otto film. Spero sia sufficiente come redenzione.
Ho riso come una matta dell' errore di Ron sul "Leviosà", anzi, soprattutto mi ha stesa la correzione (poco) sarcastica di Hermione. E' qualcosa che sono passati 10 anni, ma ricordo come fosse ieri. Come non dimentico affatto quando Fred e George hanno cambiato le lettere sulla spilla da prefetto, fino a comporre "perfetto". Quei due son sempre straordinari.
Poi ho sofferto. Ricordo ancora i tre kg persi per Silente: ho amato quel personaggio come non mai e ho impiegato tempo a metabolizzare la perdita. Per ore ed ore ho avuto i brividi, mentre seguivo la sua ultima avventura con  Harry. Avevo il magone e gli occhi lucidi: è stato favoloso, straziante e se pensavo al fatto che per il ragazzo era come perdere il padre di nuovo, il dolore si gonfiava ancora. Son stata male anche per altri, ma non tutti magari hanno completato la saga e non infierirò con lo spoiler.
Ricordo le notti insonni: ogni volta che arrivavo agli ultimi tre o quattro capitoli, scuola o no il giorno dopo, tiravo avanti fino a terminare. Mi hai regalato giorni da zombie indimenticabili.
Complimenti per Piton, che è il personaggio più ambiguo e meglio riuscito. Grazie per il suo dramma malcelato, attanagliante che tuttavia sa rendere costantemente evanescente. La dignità con cui sa nascondere le sue ferite, non ha eguali, come del resto la sua dualità. Semplicemente fantastico.
Grazie anche per Sirius e Lupin, entrambi adorabili.
Sappi che quella cretina di 10 anni, anche per merito tuo adesso vuole fare la scrittrice... e ogni volta che uccide un personaggio senza dar tempo a nessuno di rimuginarci su, rivede quelle cruenti e rapide morti sulla scopa che un sacco di volte le hanno tolto il sonno.
Doveva essere una lettera di scuse, invece è diventata di ringraziamenti: va bene lo stesso?!
Ad ogni modo, benedetto fu il giorno in cui ti è venuto in mente di creare questo universo. 
Non vorrei divenire troppo romantica, perciò chiuderò qui.

Un abbraccio
Federica


mercoledì 23 ottobre 2013

La lettera scarlatta: tutto credevo, meno di potermi innamorare di un prete.


Se tra quella folla di Puritani fosse stato un cattolico, il quadro di quella donna giovane e bella, che stringeva la sua bambina al seno, gli avrebbe ricondotto il pensiero all'immagine della maternità
Ebbene: ho letto anch'io il famigerato libro e come pochi è andato a incidersi a fondo nella mia carne e nella mia testa. Dopo una lettura del genere finisci per sentirti marchiato anche tu.
Non chiedetemi perché uso altri nomi per i personaggi (ringraziate la Newton Compton, che ha ben pensato di tradurli alla meglio come si sarebbe fatto una settantina/ottantina di anni fa) perché sarebbe una sfida persa in partenza.
La storia l'ho trovata semplicemente avvincente, appassionante, da lasciare chiunque senza fiato. E' fantastico come ogni personaggio necessiti di un'evoluzione e ciò si realizza fino alla più paradossale inversione dei ruoli; tanto che, Ruggero Chillingworth, marito danneggiato dal pastore Dimmesdale, resta persino beffato dalla propria vendetta, uscendone risucchiato. Da parte lesa si rende abile persecutore, fino a perdersi totalmente in quel male. Quanto accaduto nell'anima dello scienziato nasconde una morale, che ho trovato terribile e nel contempo non poteva essere più giusta; egli resta assorbito dall'odio con la stessa intensità con cui l'avrebbe rapito un profondo amore, perché ha investito le stesse (se non maggiori) energie nello scavare a fondo nell'interiorità altrui.
Chi può dire infatti che l'odio e l'amore non siano in fondo se non due aspetti della stessa passione umana?
La versione incriminata
che ho avuto il piacere di leggere
Quindi, in parole povere l'autore ci spiega che nel disprezzo, Ruggero ha fatto di Arturo Dimmesdale il suo unico senso di vita; una volta consumata la vendetta, è come se restare al mondo perdesse significato. Grottesco e spaventoso, no?! Però mi ha fatto pena fino a un certo punto; il personaggio che mi ha realmente rapito il cuore è stato lui: il prete.
Mentre la donna adultera  trova conforto nella sua punizione, nella compassione di alcuni, nell'amore di sua figlia; la bimba nell'affetto materno e il marito tradito nella vendetta; questo poveraccio si ritrova perfettamente solo, con la fossa dei coccodrilli intorno e nessuno che possa alleviare il suo dolore. Codesto cavaliere maledetto, costretto a combattere contro innumerevoli draghi, ne esce letteralmente a pezzi perché attaccato su troppi fronti: un pastore non può rivelare un simile segreto ed è costretto a farsi dilaniare da un rimorso che brucia continuamente, senso di colpa aggravato dai fedeli che lo osannano e prendono come punto di riferimento e, come se tutto ciò non fosse sufficiente, è forzato a vivere con un finto amico, che più che salvarlo è intenzionato a gettarlo in un baratro di malattia, morte o pazzia. Ruggero non perde occasione  per girare il dito nella piaga di quel cuore così percosso, fragile e lo fa subdolamente: giorno dopo giorno, prima guadagnandosi la fiducia altrui per poi infierire e pugnalarlo. Lo lascia crogiolare dal suo stesso attanagliante senso del peccato e ci mette il carico: troppo liberatorio sarebbe smascherarlo dinanzi a tutti; sicché il prete, per un errore dettato dalla passione (capirete leggendo che insomma, questo marito sembrava più disperso/morto che vivo) si ritrova completamente solo, in balia di un nemico, dello schifo che prova per se stesso, obbligato a subire dei complimenti fuori luogo che gli ricordano di continuo quanto lui sia in torto con la legge divina alla quale era fermamente attaccato.
Si ritiene un uomo fragile, ma a parer mio è il più forte a sopportare quell'Inferno continuo senza vacillare; nessun altro lotta su tutti questi fronti contemporaneamente.
Il mio cuore è rimasto sciolto da quella purezza e nobiltà d'intenti, quel perfezionismo nella ricerca della verità che non è corrotto nemmeno dalla possibilità di una scelta di comodo. E' l'unico così innocente e sensibile da costruirsi da solo il proprio flagello. Sono rimasta scossa e nel contempo impressionata da codesta forza nella prova e tenacia nel bisogno disperato di essere trasparente, senza curarsi delle estreme conseguenze che esso comporta.
Egli dà l'impressione di essere costituito da tante parti troppo differenti tra loro, che tirano ognuna nella propria direzione. Rischia costantemente di sfaldarsi, eppure continua a trascinarsi, senza nemmeno sapere il perché. Arturo Dimmesdale viene presentato come un eroe complesso, maledetto dal fato e crocifisso dalla propria debolezza umana.
Probabilmente è una figura che si presta a libera interpretazione; visto che ho letto da altri recensori un parere diametralmente opposto al mio, in cui addirittura lo si definisce egoista e codardo. Per me è semplicemente il meno scontato: la storia della donna fiera che sopporta gogna ed emarginazione, è strappalacrime, ma lascia il tempo che trova rispetto a un tormento così insidioso e sottile, come una nebbia. Più che codardia, potrei aggiungere a sua discolpa che la sua posizione è quella che più lo allontana dalla possibilità di prendere e rivelare su due piedi il proprio peccato. E comunque, riguardo l'egoismo non è messa così bene nemmeno Ester, visto che per anni ed anni lascia un uomo così delicato e fragile, in balia di suo marito che se fosse legale lo torturerebbe, solo per rispettare uno stupido patto. Ella infatti promette Chillingworth di non rivelare la sua identità, così da lasciarlo agire in incognito sulla mente dell'altro, già esposto al crollo emotivo e senza difese. Non puoi nemmeno chiedere ad un uomo di essere forte e fare la sua parte, se sei la prima a contribuire alla sua disfatta fisica e mentale (lo so, quando mi ci metto sono una laurea in giurisprudenza mancata: l'avvocato delle cause perse).
Ora che vi ho offerto un differente punto di vista, a voi le riflessioni. In fondo, quello che conta in un libro non è trovare il personaggio migliore o peggiore, ma che sia riuscito a spostare qualcosa dentro di noi, che non ci abbia lasciati indifferenti.
Il pastore nel tempio, e sulla piazza del mercato la femmina dalla lettera scarlatta: come si sarebbe potuto immaginare che lo stesso marchio segnasse due creature così diverse e lontane?

sabato 12 ottobre 2013

Il lavoro al tempo di Venditti


Ero lì tranquilla in auto che mi facevo i cavoli miei (ha iniziato Venditti eh, io non c'entro niente!), quando scatta questa meravigliosa canzone: Sotto Il Segno Dei Pesci. Un fantastico miscuglio di note intriso di significato. 
Ormai con la melodia nella pelle, scivolavo tra gli strati di tal gloriosa sinfonia, quando ecco la classica zip che si rompe: qualquadra non cosa! (ehm qualcosa non quadra, scusate...)
Mi rendo conto canticchiando (ce l'ho per vizio, con tanto di maledizioni lanciate dalla povera gente che ho intorno), che il testo in alcuni punti recita palesi utopie. Ma andiamo a vedere cos'è stato combinato:
E Marisa se n'è andata, oggi insegna in una scuola, vive male e insoddisfatta, e capisce perché è sola, 

E Giovanni è un ingegnere che lavora in una radio,  ha bruciato la sua laurea, vive solo di parole
Poverini. Proprio su quelle pene dell'inferno credo di aver versato la lacrimuccia. Marisa che lavora in una scuola ed è insoddisfatta: presa così la sua vicenda potrebbe ricondurre a un tipo di angoscia diversa da quella lavorativa; accostata a quella di Giovanni tuttavia fa pensare che siano dovute entrambe alla frustrazione dell'impiego inadatto. Ora io dico: mi spiace che tu faccia l'insegnante e che quell'altro abbia preso una laurea per blaterare in radio (magari a vivere di parole! Ma son punti di vista). Però sorge un'esclamazione spontanea: Beati anni 80! (arrotondiamo, che l'album è del 78)
Anche perché, se dovessimo riadattare il testo al giorno d'oggi, al posto del ruolo d' insegnante ci sarebbe lo scarico merci ai grandi magazzini... se proprio vogliamo invocare il miracolo; oppure Giovanni potrebbe benissimo impiegare la laurea d'ingegnere per lustrare i bagni della stazione.
No dai, non sono così sognatrice: a parer mio, in fase di ammodernamento, per non creare problemi innominabili, sarebbe meglio cancellare direttamente le due strofe. Via il danno, via il dolore.
Non va neanche questo: è brutto che Marisa e Giovanni non s'incontrino più nella canzone; allora facciamoli conoscere a uno di quei corsi gratuiti delle agenzie per il lavoro, che il lavoro non te lo trovano mai.
Ebbene, come sempre volevo essere polemica; altrimenti non sarei io. Sono una persona che brucia a prescindere un po' per tutto. Un po' come ai giovani è stato bruciato il futuro.
Detto questo, continuerò a urlare a squarciagola il ritornello di codesta canzone innervosendo il prossimo: scaldano sempre gli spaccati di storia che "si stava meglio quando si stava peggio."
E poi diciamolo; Venditti è davvero bravo.
Chissà cos'avrebbero pensato i frustrati di questo malessere relativo, se avessero saputo in anticipo che ci sarebbe stato il finimondo.
Domande di cui non sapremo mai la risposta, ma a me piace porle lo stesso perché sono una rompiballe.
Scusate la perplessità nonsense e buona giornata a tutti.

giovedì 3 ottobre 2013

Miley Cyrus e l'arte del leccare il martello

Tutti quanti sicuramente vi chiederete chi è Miley Cyrus.... Ma anche no. Nessuno da tempo se lo domanda affatto. La ragazza è riuscita a farsi conoscere anche dal più ignorante degli ignoranti, sicuramente per l'incredibile introspettività dei suoi brani. Ci mette proprio corpo e anima.
Avevo circa tredici anni quando guardavo distrattamente le rocambolesche avventure del telefilm Hannah Montana, nel quale una giovane star famosa maschera la propria identità praticamente cambiando parrucca (il solito cliché da film per ragazzi). Tante volte non era nemmeno così malvagio:  la protagonista e gli amici sono personaggi divertenti.
Da lì pensavo quasi si fosse rinchiusa in un bunker; non ho più saputo nulla di lei fino agli MTV Music Awards 2013, in cui sarebbe stato difficile ignorarla. Ma vi farò capire meglio di cosa sto parlando.

Vi posto il video del noto brano "Wrecking Ball", termine che dovrebbe indicare esattamente una palla da demolizioni. Possiamo trovare una Hannah Montana ovviamente non più bambina -anzi, proprio donna- alle prese con pene d'amore laceranti. Muri troppo spessi da abbattere.
La canzone non resta subito impressa: ecco, diciamo che non è proprio quel pugno in un occhio, quello strattone che ti lascia stordito e confuso; ci devi fare l'orecchio, ma con qualche ascolto è probabile che ci si possa abituare e resti in testa per qualche giorno.
Il testo non è dall'originalità stupefacente, perché in fin dei conti racconta della solita situazione in cui uno dei due pone il suo rifiuto e l'altro, ferito, urla la sua sofferenza, rinfacciando gli sforzi vani per raggiungere il cuore della persona amata.
Abbiamo graffiato, abbiamo incatenato inutilmente i nostri cuori
Abbiamo saltato senza mai chiedere perché
Ci siamo baciati, sono caduta sotto il tuo incantesimo
Un amore che nessuno potrebbe negare
 
 Inizia così: con una storia che comincia nonostante tutto. Potrebbe funzionare, anche se si comprende già da subito che sta per palesarsi il problema.... infatti il ritornello è un disperato:
Sono arrivata come una palla da demolizione
Non ho mai colpito così forte in amore
Tutto quello che volevo era distruggere i tuoi muri
Tutto quello che tu hai fatto è stato distruggere me
 Sì, mi hai distrutta
Ok, magari non è la più fantasmagorica delle formule musicali, ma devo dire che alla fine ci sta anche; interpretativamente è impeccabile, con quella voce che si carica di rabbia nei punti giusti come a volersi liberare di un dolore lancinante. Nel video addirittura vieni sommerso da quei due occhioni lucidi grossi, che ti rovesciano acqua addosso. Una canzone d'amore carina; dal tema un po' ordinario, ma un buon prodotto.
Quest'analisi perché non voglio rifilare due insulti superficiali e chi s'è visto s'è visto. La combinazione occhio lucido- voce- testo- musica, magari un piccolo brivido me lo dà.

Ora però spiegatemi perché necessariamente si debba leccare un martello. Esplicatemi il senso di cavalcare una palla da demolizioni nuda. Addirittura ci sono fan della cantante che affermano che il martello nasconda l'intrinseco significato dell'amarezza e durezza dell'amore. Capisco... quindi lo si lecca; mi sembra giusto. D'altronde, non si può nemmeno pretendere che si vada a cavalcare una palla da demolizioni vestiti; non è mica un cavallo. Ogni situazione richiede un abbigliamento consono, come questo che in tal caso calza a pene...pennello. Scusate, mi sono confusa. 
Quello che a questo punto mi chiedo è: perché una canzone d'amore struggente, che contiene uno strazio profondo, ferite da abbandono eccetera eccetera, debba essere accompagnata da una sottospecie di film porno di bassa lega?!
Tutto questo mi riporta sempre a quando ero una ragazzina (non che ora sia adulta), che guardavo una trasmissione su un canale della parabola che parlava delle mini stelle della tv e alla brutta fine che avevano fatto (era sui bambini famosi stranieri, non "Meteore"). Non è un bello spettacolo sapere che questi vengono cresciuti sotto i riflettori per anni ed anni e poi abbandonati al loro destino: una volta giunti all'età adulta, non li fa lavorare più nessuno; molti entrano nel tunnel della droga, i meno impetuosi si danno all'alcool. Sono vite interamente distrutte dallo star system.
Da qualche tempo a questa parte però, le mini star (femminucce) si sono organizzate: per non finire bruciate come quelle anni 80' e 90', eccole tutte a leccare martelli. Chi cambia modo di vestirsi, pensare, parlare; chi fa girare scatti integrali per il web; chi fa sconcerie alle trasmissioni musicali e chi ne ha più ne metta.

Dal 2000 in poi è come se fosse avvenuto un salto quantico, un'evoluzione della specie. E' a quel punto che la piccolina che canticchiava canzoncine strambe sui canali per l'infanzia, ora si ritrova a mangiare torte a forma di organo riproduttivo maschile di dimensioni spropositate. Così: per precisare all'universo il concetto che la bambina si è fatta donna, per cancellare le tracce d'innocenza neanche fosse puzzo di latte. E' divenuto un must non scritto per una ragazzina famosa, raggiunta una certa età, stracciare via quell'immagine mostrando due tette al vento, facendo appena si presenta la possibilità qualcosa di spinto. Per gridare al mondo: "Ecco, è arrivata la donna".
Non che una persona non sia libera di disporre del proprio corpo come vuole; ma non può diventare nemmeno un passaggio obbligatorio per testimoniare l'approdo all'età adulta. Soprattutto per il semplice fatto che il messaggio viene recepito negli stessi termini da quattordicenni/quindicenni che imparano ad usare il corpo per piacere al mondo. Se una tizia in tv si mette in testa di passare dalla bambola di pezza al cavalcare palle demolitrici, la vita è la sua. Però si dovrebbe avere quel minimo equilibrio per comprendere, che la fascia di età che ti segue e prende come esempio, ha appena smesso di guardare Winnie the Pooh e non fa in tempo a gettare il bambolotto, che si ritrova a leccare martelli con entusiasmo, in modo ambiguo. Il risultato dello star system sono le ragazzine confuse che si svendono per una ricarica al cellulare, si scoprono per una manciata di "mi piace" su facebook. Una schiera di modelle che cercano il principe azzurro nella maniera sbagliata, collezionando delusioni senza chiedersi il perché.
Le celebrità, almeno una volta tanto farebbero bene ad insegnare la semplicità, i sentimenti autentici, come instaurare delle relazioni vere. Perché l'artefatto è ovunque. Perché la vita viene sminuita troppo spesso dal volgare; come una canzone che poteva essere delicata e dolorosa allo stesso tempo, invece è ridotta ad un film porno. Non sono il nudo o lo sconcio a fare paura; quanto l'appiattimento delle emozioni stesse.