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mercoledì 1 marzo 2017

Per Matteo

Da quando non mi si vedeva per terra, quindi credo che in fin dei conti non sia cambiato nulla in nessun senso, ho cominciato ad avere il terrore delle incomprensioni. La testa si riempie di "perché". Perché mi hanno urlato contro solo perché dicevo la mia, perché mi giudicavano perché mi comportavo in tal modo. Perché perché perché.
Penso sempre che la società sia troppo superficiale e impieghi veramente poco a deviare un infante: t'impongono che sbagli a pensarla in un modo, che devi avere paura a dire tal cosa, che tanto non ti capiranno. Così da bambina sfacciata ed estroversa, a forza di "colpi di frusta" sono divenuta gelosa dei miei pensieri, li stipo tutti dentro la testa affollata. Non escono mai. 
Sapeste il nervoso che mi prende quando non si capisce ciò che intendevo. Sono ferite passate presenti e future, le incomprensioni. Hanno avuto sempre uno strano filo conduttore: come una corda intrecciata da una maestra, poi lanciata a una compagna di banco, fino a propagarsi nel gruppo di amici, nelle relazioni, nel lavoro.
Tante volte non dico ciò che penso, perché mi terrorizza che gli altri non capiscano ciò che intendevo. 
Temi così delicati pertanto non li affronto mai, ma è da giorni che voglio scrivere a proposito della speranza. E spero che nessuno capisca diversamente da ciò che volevo comunicare. 
Proprio ieri sono rimasta colpita da un articolo (leggilo qui) di un ragazzo che ha deciso di vivere, anzi ha paura di morire. 
E lì per lì ho pensato solo che avrei voluto solo scrivergli e complimentarmi, ma prima che arrivi l'equivoco mi spiego subito: non è questione di essere più bravi o meno di chi sceglie l'eutanasia, anzi sono decisioni che rispetto perché io stessa non so come reagirei, con la mia stupida abitudine di vedere tutto nero. 
La mia indignazione parte invece dal leggere sui social commenti che accusano chi ricondivide l'articolo di moralismo. Mi fanno cadere la mascella gli attacchi gratuiti a un ragazzo che, come chi lotta per un sollievo con la morte, sta lottando per l'inversa causa.
Si sta perdendo completamente il senso della morale. Il mondo si deve riprendere un attimo, perché quando una persona sta già cercando di vivere a pieno con i propri enormi problemi, la si dovrebbe aiutare e sostenere a prescindere che la sua scelta sia la vita o la morte.  Non che se è la morte allora ha fatto benissimo e se è la vita allora la scelta è da criticare. Chiedetevi a questo punto, se l'umanità è realmente umana, perché difendere il diritto alla morte non significa ostacolare il diritto alla vita. 
Ma l'italiano medio come sempre deve farne un minestrone per dimostrare agli altri che è capace di partore un pensiero. Un applauso allora. 

Per svariati minuti dopo la lettura ho pensato a Matteo, che gli avrei voluto scrivere, perché non è colpa di nessuno se non tutti se la sentono di continuare a vivere; pensate che c'è chi si suicida per minuzie in confronto. Gli avrei voluto scrivere che mi ha fatto sorridere, ma non per la storia dell'appello a Dj Fabo, di cui rispetto la scelta; mi ha fatto sorridere perché fino a un attimo prima c'erano migliaia di pensieri che mi affliggevano e che pensavo fossero ostacoli insormontabili, invece mi ha fatto vedere la speranza. Volevo solo ringraziarlo, perché ho trovato in lui una fiamma così incandescente da ravvivare la mia che tende a traballare. E che spero continui ad ardere, perché gli è stato dato un dono grande: la forza di mostrare alle persone che non bastano i problemi, non basta la crisi con la mancanza di lavoro, non basta un amore mancato, non basta un errore a toglierci il futuro. Mi ha fatto capire che siamo noi, fino all'ultimo, a decidere se il futuro c'è o meno; non il futuro che decide all'ultimo se manifestarsi a suo piacimento, come un'anguilla che sfugge dalle mani. Spero di tenere bene a mente, che una strada può esserci sempre se la voglio con tutte le mie forze.
Grazie per avermi insegnato che guardo la mia vita dalla prospettiva sbagliata. 

Il blog di Matteo

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