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martedì 9 luglio 2013

La stanza rossa.


Era una stanza completamente rossa. Insonorizzata. I cuscinetti scarlatti a rivestimento delle pareti mi facevano sentire spaventosamente sola e abbandonata: da lì non poteva udirmi nessuno. Nemmeno ce n'era bisogno: le mie urla mancavano di forma e colore, faticavano ad uscire, coperte dall'oscuro ticchettio di un orologio. Come se una bomba dovesse esplodere da un momento all'altro. Inesorabile conto alla rovescia verso la fine.
Avrei voluto essere pazza per non sentire: non quel sentire con l'orecchio che possono ottenere tutti; ma sentire inteso come provare. Avrei solo desiderato essere padrona di me, dei miei pensieri, fare in modo che convulse scosse non si abbattessero sul mio esile corpo strappato. La stanza era così inquietantemente rossa. A volte era vuota ad eccezione di me, a volte c'erano oggetti strani, angoscianti, ostili che uscivano fuori all'improvviso. Se cercavo di spostarmi, di liberarmi dalle sabbie mobili in cui mi ero impantanata, se solo cercavo di pensare di uscirne, il pavimento si allagava di sangue e l'oppressione cresceva. Ciò che più mi terrorizzava era la veridicità, la familiarità di quell'orrore; mi avrebbe martoriata a vita. Più mi divincolavo dai tentacoli dell'angoscia, più mi allontanavo dall'Angolo Buio, più il liquido rosso, vivo, cominciava a sgorgare a rivoli dalle pareti. Cercavo qualcosa di rassicurante; una bambola di pezza da toccare, ma ovunque mi voltavo si riempiva di cose apparentemente normali, che tutte insieme creavano inquietudine: sedie rovesciate, ghigni di pagliaccio, lame, chiodi. L'unico oggetto che sembrava assomigliarmi, togliermi per un po' la sensazione di estraneità, era una delicatissima rosa senza petali, fatta di spine scarlatte. La stanza si stava allagando e non volevo affogare, mi dimenavo strozzandomi e tossendo, pur non sapendo nuotare. Devo tornare nell'Angolo e non muovermi più. Non posso occupare tutta la stanza. Troppo tardi. L'anfratto di terra sicura era scomparso. L'angoscia, la paura di morire mi spaccava da dentro. Frantumava il mio respiro, lo tranciava come un sadico colpo d'accetta. La falce era sempre più vicina e non potevo scappare. Sotto i piedi, nella carne delle piante, un tappeto immenso di chiodi.
Gli oggetti galleggiavano nel sangue che si alzava a non finire. Pesanti s'incastravano nelle mie costole pungendo, straziando. Dolori lancinanti mi raggiungevano ovunque, tagliavano senza ricucire. I miei respiri, ridotti a poche boccate di disperazione. Il mio sangue si aggiungeva al sangue, il cuore pompava più forte per recuperare. Il cuore ci prova sempre, finché ne ha le forze. Tutto si faceva sempre più rosso e nero, ombre scarlatte mi offuscavano la vista. Fumo che si mangiava gli occhi, la stanza che si faceva un vortice che oscillava, cadeva a pezzi, si sgretolava.
Poi ci fu il suo sguardo; un'allucinazione di occhi azzurri, puri come il più soave dei Paradisi, che mi gelarono e scaldarono l'anima allo stesso tempo. Una voce. La sua voce.
<<Ti fidi di me?>> Chiedeva. Imperava a me che non riuscivo più a respirare e inghiottivo emoglobina.
<<Mi fido di te.>> Riuscii a rispondere in un lampo di lucidità.
Un mulinello mi trascinò; roteando fui risucchiata verso un'immensa voragine nera. Un pozzo ostile, sconosciuto. Una mano, la sua mano, uscita fuori dal nulla mi scaraventò con violenza in quella ferita di morte. Sbatacchiando tra le pareti, precipitavo spaventata in attesa di schiantare.

La stanza era diversa: alle pareti non c'era appesa la paura. La luce si gettava a piombo dalle finestre per cercarmi, colpirmi. Mi colpiva e non sentivo dolore. Il sudore freddo mi ghiacciava la fronte, mentre stormi di uccelli infestavano il cielo con canti di gioia. La mia stanza azzurra. Lo abbracciavo con tutta la voglia di vivere che mi scorreva nelle vene, senza poter spiegare. Lui stringeva più forte e venivo puntualmente  investita dal suo profumo.
<<Ti è successo di nuovo, vero?!>>
Annuivo terrorizzata al solo pensare che sarebbe accaduto infinite altre volte; si sarebbe ripetuto il tutto in una replica senza fine.
<<Non devi avere paura. Quando ti rinchiuderai lì dentro, ti salverai trovando il coraggio di cadere.>>

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