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sabato 21 luglio 2018

Tre Manifesti a Ebbing, Missouri: il film dell'imprevisto



"Tre Manifesti a Ebbing, Missouri" è una pellicola particolare, incisiva, decisamente poco ortodossa. Non spicca certamente per il politically correct ma per la forza espressiva, la sfacciataggine, la distruttività iniziale che muta, cambia la pelle fino a divenire sorgente per qualcosa di nuovo. Tra l'altro ha creato una sfida, ha acceso una miccia che successivamente ha infuocato gli animi nella vita reale.
La stessa iniziativa pubblicitaria dei "cartelloni rossi" ha avuto così un forte impatto sul pubblico, che è stata già replicata: a Londra per scuotere le coscienze riguardo l'incendio della Grenfell Tower, a cui manca un colpevole ma 71 persone nel frattempo hanno perso la loro vita; in Florida, dove su fondo scarlatto è finito il nome del senatore Marco Rubio, che non ha avviato riforme riguardo il controllo delle armi, ma intanto c'è stata un'altra strage in una scuola.
Tornando alla trama: Mildred Hayes ha perso sua figlia. La ragazza è stata stuprata e uccisa ma la polizia locale brancola nel più profondo buio, soprattutto per inettitudine. Le forze dell'ordine infatti sono troppo intente a torturare i neri e a creare scompiglio peggio dei cittadini, per preoccuparsi dei problemi urgenti, che necessitano di soluzioni.
La donna decide di regalare una doccia fredda ai nullafacenti affittando tre cartelloni pubblicitari lungo una strada poco trafficata, lanciando con essi un messaggio provocatorio nei confronti del capo della polizia William Willoughby. L'uomo tenta con le buone di riportare la situazione alla tranquillità, ma Dixon, il suo vice, non sembra affatto della stessa idea.
La particolarità della storia è che è profonda e imprevedibile: risulta impossibile indovinare le mosse di ciascuno dei personaggi, come sono tortuose le strade percorse che sembrano quasi uscire dal nulla. La narrazione è scivolosa, non la stringi mai in pugno, è un costante sfuggire dalle mani.
L'incipit infuocato, lo sviluppo della trama e il finale stesso sono concepiti con lo scopo primario di sbalordire e disorientare in maniera costante.
La focalizzazione primaria non riguarda infatti la ragazza protagonista dell'episodio di violenza, ma tutta una città allo sbaraglio, in cui sembra essere improvvisamente scomparsa la giustizia e non si trova un responsabile o qualcuno che si rimbocchi le maniche al fine di aggiustare la situazione.
Frances McDormand è grande nel ruolo di una madre ferita ma che non si rassegna. La tragedia e le precedenti situazioni critiche l'hanno resa una donna ruvida, sboccata, difficile da avvicinare, ma che non molla la presa e non si arrende davanti alle risposte vaghe, alle alzate di spalle. Certamente non è una madre perfetta, quella che ti prepara i pancake la mattina (siamo pur sempre in America, rispettiamo lo stereotipo per favore) e che ti rimbocca le coperte la sera, ma sicuramente è molto lontana dall'anaffettività e non riesce a contenere questo straripante dolore.
Il film vi lascerà a bocca aperta per troppi motivi, soprattutto perché grattando la superficie troverete la speranza. La gente del luogo è sì imprevedibile, ma capace di cambiamenti sbalorditivi, cosa che in genere non si riscontra mai: ciò mette in luce che si può diventare diversi, migliori, se ci s'investe seriamente forza di volontà. L'ultimo pensiero che ti lascia questa pellicola è di sperare sempre nel bene... o forse no?

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