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martedì 12 agosto 2014

Fuga di cervelli: siete sicuri che non sia uno spaccato generazionale esaustivo?


Ok, ditemi che son donna e in quanto donna, paranoica traviso le cose e capisco fischio per fiasco. Ditemi che son donna e in quanto donna per voi non capisco un cavolo; ma a me quel film è piaciuto.
Ho seguito anche (in modo piuttosto blando) lo scontro Yotobi/Ruffini, ma nulla mi schioderà dall'affermare che ho gradito... e ora vi spiego perché.
Sembra banale, che sia scontato, che non faccia ridere, che sia addirittura inverosimile. No, ragazzi, vi sbagliate di grosso: non c'è niente di più reale.
Il film di internet (come lo definisce Yotobi, perché fatto da youtubers) è strutturato e interpretato da persone (vedi Willwoosh) che hanno sempre avuto il pallino di gettare in faccia alla società quello che è la società, anche se in modo comico.
Il gruppetto di sfigati, non è troppo sfigato per essere vero; tra l'altro non sono i personaggi ad essere realmente stupidi. È un concetto un po' difficile da rendere plastico, vivo, ma ci voglio provare.
I protagonisti sono persone che, per un motivo o per l'altro, vengono disprezzate da tutti. Ma non siamo al livello dello stupidotto con i pantaloni ascellari: stiamo parlando anche d'individui con handicap, che a quanto pare si trovano a loro agio solo in mezzo agli sfigati... e gli stessi sfigati, non ci sono davvero: ci fanno e nascondono col loro "farci", disagi nettamente più grandi.


La trama tesse le vicende di Emilio (Luca Peracino), insicuro secchione da sempre perso per Nadia (Olga Kent), e i suoi amici, che lo spingono a seguirla in Inghilterra e dichiararsi. Ovviamente non è solo: l'intero gruppo, un po' comico e un po' no, sarà al suo fianco in quest'avventura e avrà non pochi ostacoli da affrontare.
Il protagonista è profondamente convinto che una come lei, bellissima, sveglissima, non lo guardi nemmeno per sbaglio; invece si capisce perfino da lontano, che la bella subisce il  suo fascino. Suppongo che in maniera latente lo noti anche lui, ma è troppo congelato dalla sua condizione di emarginato. E così sono i suoi amici: una comitiva legatissima, di gente rifiutata dagli altri, che in fondo ha una percezione di se stessi come rifiuti.
Ognuno di loro presenta qualche problema che nemmeno riconosce, ma in un certo qual modo manifesta. Alfredo (Paolo Ruffini) ad esempio è cieco, ma lo dissimula non usando il bastone. Si aggrappa agli altri, si fa descrivere ciò che accade...tutto meno che andare a tentoni; Alonso (Andrea Pisani) è su una sedia a rotelle e pensa sempre al sesso, ma scarsamente ottiene risultati e in un certo senso non dà la colpa al suo atteggiamento cafone, scaricando piuttosto la responsabilità sulla sua condizione fisica; Franco (Frank Matano) si comporta in modo stupido, quasi ci prende gusto a passare da fesso. Come se cercasse di evitare discorsi seri sulla propria interiorità; Lebowsky spaccia, ma anche lui si chiude un po' a riccio: infatti non dice quasi niente, è ermetico. Altro indizio che suggerisce qualche problema, è la sua "amica" più cara: una zebra di gomma che si porta sempre appresso.


Intanto mi ha colpito la forza di quest'amicizia pulita e sincera, di quelle che non esistono più. Un amico parte, va all'estero e il gesto più logico per gli altri è incoraggiarlo e stargli vicino. Senza raggiri, senza egoismi, senza troppi calcoli. Senza esitazioni. Per un amico si fa. È un discorso innovativo, spiazzante... tanto semplice, quanto impossibile da recepire, in un mondo che scorre innanzitutto sui propri interessi; il che denota anche una certa sensibilità implicita da parte dei ragazzi, che accantonano le proprie esigenze per essere d'aiuto.
Sono una comitiva compatta anche nelle difficoltà: tra una battuta demenziale e l'altra (comicità che magari non è apprezzata da tutti, ma comunque fa ridere in quanto proprio spicciola e abusata dai giovani: una parodia del modo di scherzare odierno) loro sembrano così sbagliati, ma praticano i fatti; ciò emerge soprattutto durante una cena che, apparentemente risulta andare in modo catastrofico. Eppure i nostri eroi sapranno risollevarsi a vicenda.
La profondità dei personaggi, che a detta di molti non emerge, è giusto che non sia palese e scontata. Ogni tanto si dovrebbe leggere tra le righe. Anche perché se fosse stata costantemente evidente, avrebbe reso inutile la scena in cui Emilio apre gli occhi agli altri e li costringe a una brusca presa di coscienza: non si può pretendere di essere accettati dagli altri, se prima non ci si accetta da soli.
C'è un'incomunicabilità palese, una paura di rivelarsi che appiana ogni interazione e la butta sullo scherzo... ma non è lo scherzo il fine; al massimo, una copertura.
Questo si riscontra sempre, all'infuori della "pellicola". La gente dal vivo parla del nulla, poi magari davanti a un computer sfoga quello che tanto a lungo ha taciuto, represso. Ma ci si mostra sempre felici, per non essere ulteriormente aggrediti. Si ride, si dicono cose stupide, perché è una fatica immensa avere il coraggio di dire "vivo male così". E anche se ci fosse il coraggio, di solito non interessa a nessuno, che qualcuno viva male.
Non è un film prettamente comico, a parer mio. Riconosco che la mia è una corrente di pensiero originale; ma più che far ridere, nasconde una morale molto pesante.
Sembra per tutto il tempo, che loro non siano capaci di fare altro che pensare al sesso e fare battute scontate e poco ragionate. Ma sinceramente, a meno che non frequentiate una ristretta cerchia di filosofi dei nostri tempi (in tal caso invitate anche me), questo è ciò che importa. Questa  l'interazione che conta adesso. Viviamo in un contesto che non paga ciò che sei e non cerca di tirarlo fuori: è un'epoca tristemente darwiniana in cui, se non fai quello che il branco, i tosti non fanno, sei tagliato fuori. Hai una sedia a rotelle? Sei un cieco? Allora non puoi venire a ballare; stattene un po' con quello là, che se ne sta sempre a studiare.
Ora conta fare solo quello che fanno tutti; l'altro non è un arricchimento, anzi: la sua diversità, psichica o fisica che sia, è concepita come un grave pericolo. Se tu hai qualcosa da dire, semplicemente conta in base a quanto sono alla moda i tuoi jeans. La battuta "stocazzo", fa ridere in base a quanto è popolare il tizio della compagnia che la pronuncia.
Questo ha tirato fuori il film: giovani spaventati, che permettono agli altri di dire l'ultima parola su chi sono. Perché un secchione è troppo invisibile per quella figa laggiù; un cieco è troppo cieco per meritare un po' d'amore; un ragazzo sulla sedia a rotelle non può permettersi una ragazza "normale".
Ma chi lo decide realmente questo?
Chi decide davvero chi merita chi, o chi può diventare chi?
Sembrano personaggi privi di contenuti, ripetitivi, anonimi. Perché hanno paura di tirare fuori il loro potenziale, perché ormai pensano che la loro vita sia interamente lì; perché si sono adagiati. 
Il loro mondo prende a girare solo quando cominciano a cambiare il loro schema mentale: chi decide cosa sono destinato ad essere?
Io.
È una rivelazione da non tralasciare, dato che siamo perennemente condizionati e permettiamo a tutti di condizionarci. Basta che ci diano del perdente e lo diventiamo; ma abbiamo noi l'ultima parola. Mai lasciare che sia qualcun altro a definire noi stessi. Non siamo noi a doverci adattare (a fare gli stupidi perché ci definiscono stupidi e così via); semmai sono gli altri a doversi adattare al fatto che tutto siamo, meno che stupidi; sarà il mondo a dover capire... non noi a rinunciare.
Perché sentirsi dei perdenti, è il primo passo per perdere.

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