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mercoledì 29 gennaio 2014

Recensione - Quattro etti d'amore, grazie di Chiara Gamberale

Titolo: Quattro etti d'amore, grazie
AutoreChiara Gamberale
EditoreMondadori
Pagine242
ISBN9788804616283
Prezzo 17 

Trama:
Tea ed Erica, due donne completamente diverse, s'incontrano sempre al supermercato e senza realmente conoscersi s'invidiano; rivedono l'una nell'altra tutto ciò che si potrebbe desiderare e perché no: arrivano anche in un certo qual modo a volersi bene. Tutto questo nella loro testa, senza interagire mai.
Tea è un'attrice, recita il ruolo di Lei in Testa o Cuore.  È bella, libera, senza figli e vive con un marito dalla sensibilità fuori dal comune, seppur in costante equilibrio precario. Erica ha due figli, un posto in banca, un marito presente: una famiglia concreta, tangibile, reale. Erica per Tea è la signora Cunningham: la stabilità; Tea per Erica è Tea, l'attrice della serie di cui non può fare a meno: irraggiungibile, di successo, semplicemente fantastica in ogni cosa che dice e fa.
Tra una puntata e l'altra, queste vite scorrono in parallelo, si sfiorano, accarezzano, singhiozzano all'unisono suonando e impastando tra loro le imprevedibili note delle loro esistenze.

Recensione:
Ascoltare sempre il linguaggio del corpo, ho pensato, quando chiudendo l'ultima pagina un brivido mi ha attraversata per intera (lasciando perdere il fatto che qui da me fa freddo). Sì, mi piace. Mi piace, mi piace e mi piace.
C'erano una volta Wendy, Peter Pan e l'Isola che non c'è; c'erano Erica, Michele, Viola e Gu. 
Ma soprattutto: c'erano due donne forse strane, forse no, forse felici, forse insoddisfatte: due vite che si sbirciano attraverso gli scaffali del supermercato; due anime che fiutano, scrutano, assaggiano le sensazioni del carrello dell'altra. Dell'esistenza che non avranno mai, che forse avrebbero potuto anche avere.
Innanzitutto, un enorme inchino allo stile: virgole frenetiche che si rincorrono, fino a morire nel punto. Il grosso della narrazione è così. Virgola virgola e ancora virgola. Poi virgola.  È tutto così scorrevole, per poi impennare, inciampare. L'autrice ha un modo di posare l'anima su carta molto particolare, molto raro, molto suo. Decisamente gradito, ti fulmina fin da subito e pensi: come scorre, come scivola e poi s'impiglia. Come cade e si rialza di nuovo... il suo modo d'imprimere la vita sul foglio è già di per sé metafora di vita.
La semplicità del quotidiano irrompe come un fiume senz'argini e altro non fa che fluire prepotentemente, ma  in modo lento e mutevole. Ogni giorno vissuto nella storia ti conquista, rapisce in maniera inaspettata: proprio mentre rifletti su una banale lista della spesa, piombano i pensieri improvvisi, pesanti macigni lasciati cadere come foglie. Macigni che non ti aspetteresti mai così.
È un libro in cui si ha fin da subito la netta sensazione che il semplice e il complesso siano saldati insieme, inscindibili. Come la realtà, in cui, nel bel mezzo delle astrazioni di cui si ha bisogno per l'anima, si viene bruscamente tirati via da quell'Isola che non c'è: magari verso il sugo che brucia, verso la bimba che dev'essere accompagnata a catechismo. Verso quei banalissimi, piccoli, insignificanti bisogni vitali che rapiscono tempo. Necessari all'uomo, ma danno sempre l'amara sensazione di rubarti tempo. Tempo di vita.

L'introspezione ti aggancia e accompagna fin dall'inizio, rendendo tutta quella normalità in un certo senso anormale. Sono discorsi che dalla superficie dell'esistenza cadono in affondi sorprendenti, concreti, rapaci. Perché no: dolorosi. È un continuo di domande innocenti -cosa compro per cena, chissà se uscirà bene la torta- che si trasformano, si evolvono fino a diventare dei mostri: che persone siamo, cosa stiamo realizzando, chi meritiamo al nostro fianco, dove stiamo andando a finire? L'innocuo si sporca, fino a costringere il lettore a digerire un mondo che non è poi così leggero. Non così rose e fiori.
Quella che si sporca di più in questa storia, quella che a parer mio ci mette lacrime, sangue e passione è lei, il mio personaggio preferito: Tea Fidelibus, donna forte/fragile, comprensibile/incomprensibile, intricata perfino per se stessa, moglie/madre di un Peter Pan cinquantenne; pazza, eppure sana. Testa o Cuore è una serie che ispeziona fin nei minimi dettagli il rapporto di coppia e lo scandaglia in due tempi: prima con le azioni fatte seguendo il cuore, poi mostrando ciò che sarebbe avvenuto se Lei e Lui (i personaggi si chiamano così) avessero agito secondo la testa. Le puntate sono seguite da tutti; ma i problemi di Tea non riguardano il lavoro, bensì Riccardo: suo marito così fragile, instabile, intrattabile ed assolutamente incapace di fornirle certezze. Un eterno bambino, che da bravo Peter la chiama Wendy. Ma Wendy da un po' si sente sola e incompresa. Da un po' Wendy ha deciso di giocare con Anthony: di avere da lui le attenzioni e la passione che il marito non le concede. Ma tuttavia non si riesce a sganciare: perché Riccardo è della sua stessa pasta; perché lui come lei si chiede di che colore è il retro del cielo, e non ha intenzione di rinunciare a quell'universo che solo gli artisti possono capire.
Sdraiati qui, a letto con me, e raccontami una storia. Non ne sai una? Inventala. L'importante è che sia qualcosa che non esiste. Qualcosa che non serve. Qualcosa che mi porti lontana, che ci porti lontane, lontanissime, da tutto questo qui.  
Più o meno pensavo, in quelle notti. 
O forse sentivo: perché mica capivo bene che cos'era, quella specie di colla che all'improvviso mi pareva di avere al posto del sangue. 
Solo da quando ho incontrato Riccardo l'ho capito. 
Era la fiducia incondizionata nelle cose di questo mondo che avevano i miei, che mi trasformava il sangue in colla.



Arrivava amore, insomma. 
Ma le risposte alle mie domande mai.  
Così ho cominciato a cercare altrove: e ogni notte, una volta a letto, andavo lì. 
Il Paese Degli Artisti, lo chiamavo: un posto dove mi bastava chiudere gli occhi e mi trasferivo a vivere. (...) 
A chiunque chiedessi: "Di che colore è il retro del cielo?", mi rispondeva. (...) 
Ognuno aveva la sua idea. Però a quel punto se ne discuteva. 
Tantissimo.
Lampante è l'incomprensione profonda che la brucia, che rovina attimo per attimo, che non le dà un secondo di pace. Un disturbo, un bisogno che le si è piantato dentro fin dall'infanzia e che nessuno ha saputo soddisfare, tranne lui. Lui che la chiama "bamore" perché "amore" è troppo compromettente. Lui, i cui disturbi s'incastrano con i suoi, quasi annullandoli. Però poi Anthony le dà affetto, Anthony la fa sentire donna nel vero senso del termine; non la bambina che deve stare attenta a non crescere, a non accantonare Peter.
La parte irrinunciabile del libro per me sta proprio nello sdoppiamento: quando la Wendy di Riccardo e la Tea di Anthony sono costrette a comunicare, a stilare un bilancio che tuttavia non riesce. Creare un'amicizia che non è possibile. Perché l'amore non è dato da quanto ricevi, nemmeno se sommi tutto l'amore ricevuto. Non è un calcolo esatto, pertanto costantemente in bilico; un dilemma difficile da risolvere, tra quello che si vorrebbe e quello che si ha.

<<Nel senso che io ho un passato particolare. Sai, Tea, prima d'incontrare Riccardo stavo per finire dritta in una clinica psichiatrica. Avevo un mostro, dentro, che mi portava a fare solo cose sbagliate.>> 
<<Così il mostro, anziché avercelo dentro, te lo sei messa accanto? Hai semplicemente dato a un'altra persona la responsabilità di rovinarti la vita, dunque.>> 
<<È già un passo avanti. Fidati.>> <<Ma non sei più la ragazzina disperata che eri, Wendy! Sei cresciuta.>> 
<<Non è vero.>> 
<<Sì che è vero. Se non fossi cresciuta non potresti mica sentirla, la mia voce.>> 
<<Io non crescerò mai. L'ho promesso a Riccardo.>> 
<<Questo non c'entra più niente con l'amore, però. È una dipendenza.>>
La vicenda della signora Cunningham è meno tortuosa per certi versi, ma non la si può definire ugualmente  meno sofferta. Reduce da una rapina nella banca in cui lavora, avrebbe bisogno di staccare, da marito casa e bimbi. Ma il suo lui non lo capisce e non riesce a seguire la sua voglia d'evasione. Non apprezza quel piccolo mondo senza di lui, fatto di serie tv e film che Erica si ritaglia a forza, con l'aiuto di un vecchio/nuovo amico (che purtroppo non è proprio disinteressato nei suoi confronti) e del computer, che funge da finestra aperta sul mondo esterno.

Non che abbia bisogno di tenere a mente chi sono e dove abito, figuriamoci. 
Ma ogni tanto mi sembra di andare non so come dire: sottovuoto, ultimamente. 
Sento proprio l'aria che mi manca e il corpo che si mette a galleggiare, per conto suo, dentro una specie di sacchetto. 
E fuori dal sacchetto tutto il mondo. 
Da una parte è una sensazione fantastica, nessuno mi può disturbare mentre sono lì, sparisce l'ansia, tutta, i pensieri non stanno più in fila per uno, schizzano via per conto loro, fanno giri assurdi, poi prendono a frullare forte, fortissimo, e vanno così veloce che si mischiano fino a diventare una cosa sola: niente. 
Però dall'altra è insopportabile, ieri in banca, per esempio, mi ha costretto a rifare un calcolo semplicissimo per quattro volte, perché proprio non ci stavo con la testa. E mi fa essere troppo nervosa con i bambini, soprattutto con Viola. 
Passa solo quando chatto con Davide Morelli: che persona meravigliosa è, era dai tempi di Giulia Fedrizzi che non riuscivo a parlare con qualcuno anche di argomenti, come dire, un po' particolari. 
E passa quando faccio l'amore con Michele.
Due donne dalle vite completamente differenti, legate da un supermercato; dalla spesa altrui, dalle proprie insoddisfazioni.
Pagine delicate in cui la vita sembra così semplice, ma non lo è e continua ad incresparsi ad ogni step. Pagine da cui emerge una grande morale: l'esistenza che invidiamo, in fin dei conti non la vogliamo davvero. Le nostre insoddisfazioni possiamo colmarle quasi sempre, sforzandoci di essere felici di ciò che abbiamo già.
Una lettura come un cassetto col doppio fondo: stratificata come le donne, che sono sempre iceberg di cui  anche solo la punta è appena percepibile e raggiungibile. Come le donne è così dentro, eppure così fuori dal mondo. Così in superficie, eppure così a fondo.
Una lettura così sporca d'anima, d'introspezione, di colori. Così indelebile, indimenticabile.

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