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giovedì 22 gennaio 2015

Subsonica. "Una Nave in una Foresta" e il suo affondo nei meandri dell'anima.

Settimo album della band, dal nome che annuncia uno smarrimento totale, è più che mai capace di sorprendere e colpire il cuore; tanto che non ero lì con l'ansia di recensirlo: mi ha colta alla sprovvista, con una canzone che fa così male, che non puoi evitare di parlarne al mondo. Sì, mi riferisco alla traccia sei, che a parer mio fa da traino a tutte le altre. Non posso fare a meno di commentare un lavoro così ben fatto e complimentarmi di cuore per ciò che ho emotivamente ricevuto.

1-Una nave in una foresta.
Ottimi presupposti di partenza. Siamo già nel territorio "Subsonica".
Si viene trascinati in un'oscurità dai toni tetri. I sintetizzatori come sempre fanno il loro lavoro in una canzone ben calibrata e pesata, che non presuppone abbandoni disperati. Eppure siamo in una voragine spaventosa. È un puzzle di frammenti, di tanti rimpianti che si comprimono in un solo spazio. Si percepiscono nel contempo una certa inquietudine per il futuro, un forte senso di vuoto e di abbandono, combinati all'ansia di correggere il tiro. 

Ci si sente come se i nostri errori ci aspettassero tutti in un luogo ben preciso, in attesa di saltarci addosso per dilaniarci senza pietà.
Un'analisi di coscienza difficile, complicata che presuppone un cambiamento radicale e profondo.
Un'assoluzione? Non si sa.

         Stanze vuote da riempire di presenze buone
e nuove rotte da ridisegnare
al largo dagli errori, senza dimenticare quello che ci faceva stare bene,
mentre il coraggio scivolava lentamente verso un nuovo oblio.
È presto per guardare indietro;
in quale luce ti vedrò.
È presto per girarsi e guardare indietro;
in quale luce ti vedrò.
In quale istante ti perderò:
ci sarà un tempo, non adesso.
2-Tra le labbra.
Incarnazione dell'attesa, è impregnata di un amore ancora platonico. Un oscuro limbo di ombre, un letto di fantasmi accompagna le parole che partoriscono in piccole gemme, una speranza tiepida.
La speranza stessa teme di crederci troppo, dal momento in cui viene esposto in modo fin troppo lucido (seppur implicito, andando per esclusione) cosa implicherebbe un no.
Brano particolare, nasconde tra le righe una disperazione straziante; una minaccia di oblio in caso di risposta negativa.



Vorrei saper pregare,

con le mie dita scure;

forse puoi farlo tu per me...

Che aspetto di sapere,

mentre non riesco a dire che,

che sarò salvo solamente...

Se...se un tuo sì,
se un tuo sì,
si accende tra le labbra.
Se un tuo sì,
se un tuo sì,
esplode la sua gloria.

3-Lazzaro.
Una bomba nucleare. Primo singolo, "Lazzaro" è una detonazione inaspettata dopo il torpore delle composizioni precedenti. Rapida, adrenalinica, potente, imperativa. Una scossa elettrica. Un grido profondo dell'anima ordina un risveglio immediato: ci ricorda che abbiamo perso tutto... ma siamo vivi e perfettamente in grado di riprendercelo con gli interessi. Invade l'aria con la sua forza e insistenza, la molesta. Lazzaro è un'aggressione musicale che lancia un monito importante: "Noi siamo padroni del nostro futuro. Della nostra vita".
La prepotenza delle note porta l'ascoltatore ad uscire dal guscio; predispone verso una risolutezza nei confronti degli obiettivi prefissati. 
L'impressione a caldo del primo ascolto, è di avere addosso tutta la violenza esuberante dell'estate dopo un inverno monotono, durato troppo per qualsiasi umana sopportazione. Si ha la sensazione di trovare la forza per vivere davvero; ci si sente forti, carichi. Travolti da un tornado di entusiasmo.
Finalmente vivi e non per finta.
Finalmente capiti e non dal politico di turno che si beffa del cittadino inerme, invece di risolvere davvero. Perché la musica capisce realmente e sa raggiungere parti di noi che non immaginavamo nemmeno di avere.
Io, dopo l'ascolto, avevo realmente voglia di mettere ordine subito alla mia esistenza.

Guarda il video

Ora che sei un’emozione scaduta;
ora che sei una certezza tradita;
ora che sei un’ambizione svenduta,
chiuso nel tuo sepolcro.
Quello che avevi oggi non vale più.
Hai studiato, creduto, lottato e sofferto.
C’era un sorriso negli occhi non c’è più;
col futuro qualcuno ha giocato d’azzardo.
Alzati e cammina, per scoprire di essere vivo come non mai.
Lazzaro,
stamattina, e resuscita un pezzo alla volta la volontà.

4-Attacca il panico.
Frenetica, confusionaria e movimentata, provoca il fiato corto, enfatizzata da un sussurro meccanico. Quello strascico a bassa voce che libera visioni, dandogli corpo, vita. L'intero insieme  suggerisce frenesia e paura. Una paura che viene infranta nel ritornello, da una risolutezza che esplode soprattutto in toni e parole:


Perdo sangue e attacca il panico:

finchè resisterò,

sarò più forte.
Nuova aria tra nuove carceri,
rubando il fiato ai diavoli
nei miei inferni.
Ed ogni giorno una nuova perdita
ed ogni giorno la mia rinascita,
sul filo denso della mia identità.
Ed ogni giorno una nuova ostilità
ed ogni giorno una nuova eredità,
sul filo denso della mia identità.
Non si lesina né di grinta, né di sintetizzatori; ha la velocità di un fulmine a ciel sereno. È un brano che entra in testa dal secondo ascolto in poi, laddove sulle prime può tendere a sfuggire, data l'immediatezza.
Febbricitante la fine, sembra avvolgere in una spirale.

5-Di domenica
Giunge in maniera provvidenziale, come un sediativo atto a placare le vertigini di libertà offerte dal terzo e la confusione visionaria procurataci dal quarto pezzo.
Seppur inappropriato, verrebbe quasi da considerarle consequenziali: "Lazzaro" sprigiona la forza di un sabato mattina; "Attacca il panico" libera i demoni di un vulnerabile sabato sera; "Di domenica" rallenta il ritmo: frena il precario vorticare e costringe ad un riposo dolce; ad una quiete che presta ascolto alle voci interne, ai sentimenti.
Sarà il testo, pulito e semplice, sarà lo stesso video musicale che suggerisce quell'immagine lì, ma io di fatto torno ai miei sedici anni. Dalla morsa nostalgica per chi ha già vissuto quel periodo e dall'invito implicito a viverlo in modo completo per chi ci si trova dentro, porta subito l'idea di un amore più ingenuo. Un amore non condizionato dalla maturità degli adulti, che spesso rosicchia anche i propositi più genuini. L'attrazione è vista in modo più spontaneo, leggero e naturale, come fosse un respiro già nell'aria invece di qualcosa di complesso. Il sentimento qui è libero dal senso attanagliante di gravità: quello tipico della band quando affronta questo tipo di tematiche.
Secondo singolo in ordine di uscita, è anche il brano che attira più critiche da parte dei fans, abituati a tutt'altro tipo di canzone. Io l'ho gradita proprio per la diversità; sono stufa di leggere che un gruppo si è venduto, ogni volta che sputa fuori qualcosa che va fuori dal suo tipico target. Poi il tempo passa e chi ha urlato "al venduto", si rimangia tutto per poi rivenderselo ad album successivo.
Meglio creare arte con lo stampino?
Basta semplicemente accettare che "Di domenica" ha tutt'altra natura: non lacerante e sfaldante, ma rassicurante. 

Guarda il video


Anche se domani sarò un rimorso,

forse puoi abbandonarti di domenica.


Sono cambiamenti solo se spaventano, 
sono sentimenti.
Tutti i giuramenti oggi che è domenica, 
sono adolescenti.



Capovolgi il tuo destino; 
sarò sempre qua, sarò sempre qua.
Capovolgi il tuo cuscino, 
di domenica, di domenica.

6-I cerchi degli alberi
Volevate le tenebre? Eccole qua, in tutto il loro subdolo e pericoloso fascino. Testo e note del terzo singolo, s'insinuano nella pelle. Fanno piangere e tremare l'anima di gioia e dolore contemporaneamente. Ti senti nudo, quando ti ritrovi a sentire la traccia numero sei.
Io amo questa canzone. Non si può non amarla: è ipnosi e abbandono totale.
Torbida ballata elettronica dai toni freddi, ti catapulta subito in un futuro (prossimo?) in cui tutto va disgregandosi sotto lo sguardo impotente dei protagonisti... che nonostante la distruzione assoluta che li attanaglia senza tregua, amandosi in un modo tormentato, completo, riescono a restare interi. 
Qui siamo nelle sabbie mobili. Non riuscendo a sfuggire in alcun modo da questo brano, ho deciso che l'intero album valeva la pena di essere recensito. Rendetevi conto di quanto può essere di vitale importanza ascoltarlo e imprimerlo in testa.
Pur essendo una canzone molto diversa, a me ha dato gli stessi pungenti brividi di "Incantevole"... e non dite che non ve la ricordate, che non ci credo!
Premettendo che io resto sempre legata in maniera morbosa alle ballate elettroniche, questa è un capolavoro da cui non ci si salva. Impietosa è la musica, addolcita in alcuni passaggi, su cui scorrono invocazioni di rassicurazione. Le note che s'impongono spaventose, si scontrano violentemente con un testo capace di creare e placare nel contempo qualsiasiasi inquietudine. Viene iniettato dolore in vena, ma qualcosa di più grande (più grande dei satelliti che cadono e degli oceani che si alzano in tutta la loro rabbia, badate bene) è capace di estirparlo prontamente. 
Il risultato finale dell'insolita combinazione, è che ogni certezza crolla in modo incessante; eppure ci si sente pienamente al sicuro. I Subsonica hanno creato l'infinito in mezzo alla precarietà.
Non c'è molto da fare: "I cerchi degli alberi" è una freccia scagliata a tradimento nel cuore.

Guarda il video

C'è la pace che vorrei,
chiusa in fondo agli occhi tuoi:
due fondali che non hanno età.
Cieli estivi limpidi,
si alzano gli oceani;
tutto gira in fretta intorno a noi.
Che respiriamo liberi
aria e lacrimogeni,
stretti contro il tempo che verrà.
Siamo nuove origini
tra le vecchie ingenuità;
dimmi che non moriremo mai.
7-Specchio
Capricciosa e sorprendente è l'apertura di questa "chiassosa" (ovviamente in tono affettuoso) traccia, che rimbalza dispettosa tra percussioni ed effetti. Così bizzarra e spiazzante, che è inevitabile chiedersi piuttosto presto dove voglia andare a parare. Prende via via sostanza, con l'introduzione di un testo meno sbarazzino e spensierato di come ci si aspetterebbe.


Specchio sii più gentile oggi se ce la fai;
ho l'anima fuori servizio, 

è un vizio, di forma, di sostanza 

e non passa mai. 
Sai che lo so. 
Specchio due dita in gola e mi riconoscerai;
potrei far meglio ma lo 
sai, qui tutto si è ristretto: 
la gioia, il tempo, lo spazio, il sentimento. 
Sai, non è tutto perfetto: 

si tira dritto, sfiorando il precipizio.
Scorre in maniera efficace, sfacciata e diretta un messaggio di disagio, inadeguatezza; anche un certo senso di vuoto incolmabile. Tuttavia non vedo un tracollo definitivo e sfaldante, quanto piuttosto una sopravvivenza rassegnata. Come se si volesse comunicare che la vita va avanti anche se non è proprio quella giusta; anche se sta stretta. La sensazione finale è quella di un brano divertentemente esasperato. C'è del sarcasmo; un'insolita vena tragicomica. Mi viene in mente il solito "va tutto bene", che la gente risponde anche quando è insoddisfatta.


8-Ritmo Abarth
In due parole: ansiogena e inquietante. Così forte che ti si schianta direttamente addosso. Veloce appunto come un'auto in corsa, ma è talmente tanta la voglia di comunicare in maniera immediata, che il messaggio vero e proprio è quasi sfuggente: devi ascoltarla più volte per assimilarne il senso. 
Qui mi sono trovata molto in difficoltà, non lo nego. Tanto che sono andata a cercare spiegazioni, letto interviste di cui vi riporto una domanda diretta a Samuel e la risposta:

La seconda invece riguarda il pezzo Ritmo Abarth. Chi di voi ne ha mai posseduta una?
Nessuno, ma l’idea ci è venuta osservando proprio quel tipo di macchina posteggiato davanti allo studio torinese di Max. Alla fine, abbiamo deciso di scriverci una canzone, l’abbiamo fatto e il risultato è stato molto soddisfacente. A tal punto che, esaltati dalla Ritmo Abarth, abbiamo deciso di comperarne una in società. Purtroppo non l’abbiamo trovata e abbiamo optato per una Ritmo Cabrio, di cui siamo molto orgogliosi. Millecinquecento euro ben spesi, bisogna ammetterlo. 
( CLICCA QUI per l'intervista)
Alla fine, sono giunta alla conclusione che agirò come una mia vecchia insegnante diceva sempre, dopo che una sua spiegazione prolissa era seguita da un modo d'agire errato e mille dubbi: <<Fa' per quello che hai capito.>>
Ok, io suppongo che ci sia di più della pubblicità a un'automobile: non strappatemi la giugulare per la tesi che sosterrò.

Oggi ti passo a prendere

Ti passo a prendere.

Perché non posso attendere

Non so più attendere.

Sono uscito dalla catena ricostruzioni
Fuori dall’ennesima pena per incontrarti.
Dammi una sola occasione
Il motore è pronto ad urlare
Ho un Ritmo Abarth nel cuore

Un orgasmo di cromature. 
Giuro che non riproverò 
Ma ci riproverò.

Voglio portarti al limite
Sorpasso il limite.
Premettendo che in genere non faccio i salti di gioia per le metafore automobilistiche, sembra proprio che tutto alluda a un periodo di risoluzione definitiva dei dilemmi amorosi. Come se il protagonista fosse stato a lungo indeciso/ferito e volesse recuperare con tutta l'irruenza e impazienza di cui è capace. Ho la netta immagine di un cuore che si riattiva più forte che mai dopo un forzato letargo e che non ha più intenzione di rallentare nella sua azione, per nessun motivo. Infatti il ritmo è abrasivo: l'andamento più aggressivo, che dolce. Non è una placida richiesta; l'impressione è più di una netta insistenza.

9-Licantropia
Ha il sapore d'interferenza. Ritmo lento e cadenzato, come un ansimare. Uno strascico di emozioni.
Anche qui, soprattutto qui, non fatevi prendere dalla fretta di passare alla prossima... e leggete il testo, che è uno strapiombo. Cadeteci dentro; fatevi trapassare dalle parole, una ad una. Assaporatele in testa, sussurratele. 
Poi, se ce la fate a staccarvi, andate avanti. 
Ci sono pochi termini per definirla: è sorprendentemente affascinante, se ci si lascia travolgere da essa.
Il tramonto sul discount

ha il suo picco di poesia; 
lo fotografo per te, 
che non sei mai stata mia.
Ora sei nostalgia 
e appanni le finestre col respiro.



E c'è una luna elettrica, 
c'è la mia licantropia.
Desideri e voluttà
su questa periferia. 



Ora sei nostalgia, 
appanni le finestre col respiro.
Ora sei nostalgia, 
azzanni queste stanze coi ricordi.
10-Il terzo Paradiso
Voce fuori campo e un battito di cuore fanno da filo conduttore in un brano inizialmente scarno dal punto di vista strumentale, che va arricchendosi man mano secondo meccaniche ben precise. Il colpo di genio sta proprio nella trovata di seguire scrupolosamente il concetto di base: il primo Paradiso è naturale; il secondo artificiale; il terzo una combinazione di entrambi e sarà l'ultima possibilità. L'andamento della musica pertanto si riempie secondo queste combinazioni: infatti all'ultimo si rivela più complessa: un precario, pericoloso eppure accattivante equilibrio di violini, sintetizzatori, flauti. Equilibrio che incarna da sempre l'ideale della band di fondere l'elemento elettronico con ciò che è "naturale". 
La vita artificiale che si fa vita a tutti gli effetti, senza mezzi termini.
Eppure non ho impressioni così positive. Mi striscia addosso un certo senso di disagio, incertezza. È un brano audace, che s'impone in tutto il gelo e mistero che può comunicare all'ascoltatore. Genera curiosità, ma anche sconforto. Ne conseguono comunque emozioni molto nette e limpide.



Con il morso della mela 

uscivamo dalla natura
e creavamo il paradiso artificiale:
il secondo paradiso,
che ormai divora la mela. 
Adesso entriamo nel terzo paradiso, integrando pienamente
la vita artificiale nella vita naturale.
È l'opera planetaria di cui noi tutti siamo gli autori.



È il Terzo Paradiso: 
la nuda proprietà. 
Di questa nostra casa, 
con l’acqua che è già alla gola.



È il tempo che chiama. 
È l’ultimo tra i sogni. 
È un colpo di tosse 
della Storia, della Storia.



È il Terzo Paradiso 
E siamo io e te 
Le piante velenose 
Ma anche gli alberi. 



Al centro dell'infinito 
Si forma il terzo cerchio 
Che rappresenta il ventre procreativo 
Della nuova umanità.



Come sorriderai 
Che aria respirerai 
Come ti vestirai 
Quale lingua parlerai.



Come saluterai 
Come lavorerai 
In che cosa crederai 
Quali sogni sognerai.

E qui mi fermo ad elogiare un album che merita senz'altro tutti i complimenti ricevuti. Non solo ha largamente dimostrato che il genere elettronico può convivere tranquillamente con gli altri arricchendoli (il che, con i Subsonica era scontato), ma, aspetto più importante, mi ha impresso dentro segni indelebili.
I graffi andati più a fondo, sono senz'altro provenienti da "I cerchi degli alberi", che mi ossessiona da giorni e per cui mi sono gettata in questa recensione, insieme a "Licantropia", che a modo suo mi ha avvelenata.
Trascinanti la vivacità di "Lazzaro" e la cupa ironia di "Specchio". Di notevole fascino anche "Una nave in una foresta" e "Tra le labbra": nonostante risultino più fedeli allo standard della band, non sono assolutamente da perdere.
Dopo questa, non vi resta che premere il tasto "play" e lanciarvi all'ascolto di un album con i fiocchi. 

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