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lunedì 10 dicembre 2018

"Élite", la serie del baratro



Il mondo adolescenziale è pieno d'insidie; a maggior ragione lo diventa in un contesto di pressione continua in cui non è importante chi tu sia: ciò che conta realmente è essere il migliore sempre e comunque. Non c'è spazio per i ripensamenti e per la mediocrità.
Élite è una serie tv spagnola, visibile su Netflix, ideata da Carlos Montero e Darío Madrona.
È già prevista una seconda stagione e sebbene rischi di cadere nel tranello della seconda di Tredici, io comunque mi cimenterei nella visione per sbatterci la testa, perché la prima è straordinaria e non ho intenzione di mollarla così. Devo sapere come andrà a finire.
In seguito al crollo sospetto del tetto di una scuola, al fine di tranquillizzare gli animi vengono offerte delle borse di studio a tre delle vittime dell'incidente, Samuel, Nadia e Christian, per seguitare a studiare all'interno della Las Encinas: una scuola spagnola esclusiva, riservata ai figli di famiglie facoltose, per educarli a diventare i migliori. I ragazzi avranno un inserimento e un benvenuto tutt'altro che incoraggianti: nessuno li vuole realmente nel loro istituto e loro si barcamenano tra mille frustrazioni, cercando di compensare le loro umili origini. L'atmosfera andrà a saturarsi fino alla disgrazia inevitabile: la morte di uno studente.
Qui comincia la nostra storia, che ha un'implacabile sete di verità.
Le puntate vengono scandite come il rintocco di un orologio, intervallate dalle domande della polizia ai ragazzi. Ciascuno nasconde dei segreti, ma di quale gravità esattamente?
Il contesto di partenza della storia è fortemente darwiniano: se non riesci ad adattarti nel sistema, inevitabilmente soccombi, così i nostri protagonisti cercano d'inserirsi chi più chi meno, ma non sarà semplice allo stesso modo per tutti.

La trama più nello specifico
Nadia
Se lo spavaldo Christian pur di attirare l'attenzione passerebbe anche dal buco della serratura e a un certo punto trova uno spiraglio tutto per lui, Samuel dovrà faticare un po' di più, per non parlare di Nadia che parte da un ambiente del tutto diverso: ella è infatti musulmana e la sua famiglia osserva la sua religione in maniera ferrea. Ciò darà vita a continui scontri tra il suo mondo e quello occidentale e sia lei che suo fratello manifestano una malcelata insofferenza verso le imposizioni rigide del padre. Entrambi vorrebbero semplicemente essere ciò per cui sono nati, ma questa figura genitoriale s'impone. Centrale per la sua storia è il personaggio di Guzman, che, continuamente corteggiato da Lucrecia, cercherà in un certo senso di fare amicizia con lei, scoprendo quanto può essere difficile per due culture completamente diverse avvicinarsi.
Nadia sembra costantemente un'isola, al contrario di Omar (il fratello) che prende una direzione molto più impetuosa. 
Samuel
Samuel si potrebbe interpretare come l'anello di congiunzione tra le altre due personalità: è un ragazzo schivo, introverso, che pensa a fare il suo dovere e non cerca complicazioni. Se dovessi trovare un'analogia con un personaggio di un'altra serie, sarebbe un Clay ma più sano di mente: è fortemente portato verso l'indagine e proiettato nel suo mondo interiore. Il suo aggancio con i ragazzi benestanti avviene nel momento in cui conosce Marina, la burrascosa sorella di Guzman. Sarà lei ad accoglierlo per farlo sentire a suo agio. Peccato che lei sia una ragazza imprevedibile, turbolenta, dai molti segreti. Marina è un libro chiuso a doppia mandata, scritto in una lingua sconosciuta. Tante sono le storie che girano sul suo conto, quali saranno quelle vere?
Christian
Christian (lo conosciamo da "La casa di carta" nel personaggio di Rio) per quella scuola è una ventata d'aria fresca. In un luogo dove tutti sembrano programmati per dare sempre il meglio e pensare solo allo studio, appare a un certo punto questo animaletto sociale. Creato appositamente per creare fin da subito lo scompiglio, renderà interessante l'intesa tra Polo e Carla, essenzialmente due giovani molto, molto annoiati, in cerca di qualcosa di strano.
Un altro personaggio che sicuramente non passerà inosservato è Nano (Denver de "La casa di carta"), costretto a regolare i conti in sospeso per non perdere la vita. Insieme a suo fratello, Samuel, rimandano a due aspetti molto diversi dell'essere umano: istinto e ragione. Sembrano due cose molto distinte, eppure è impossibile scinderle completamente.
In questa serie abituatevi che niente è ciò che sembra. In Élite non farete in tempo a farvi un'idea su qualcuno che questa cambierà improvvisamente. Anche chi può sembrarvi positivo può cadere per colpa di un gesto sbagliato.
La morale ricalca il contesto in cui tutti si muovono: non esistono veri e propri eroi o cattivi da demonizzare, la meccanica è molto più cinica e grave: esistono le azioni, che sono un mezzo che utilizzi per arrivare a ciò che vuoi. Ciascuno è abituato a pensare più come una persona in affari che un essere umano; i delitti più abominevoli possono essere perfettamente giustificati in nome di una ragione superiore.
È una serie dura, a tratti cinica che porta una riflessione profonda, come una ferita che non si rimargina mai. La struttura finale dell'ultima puntata, che rimanda a "Tredici", ci spacca il cuore a metà. Perfetta con le inquadrature essenziali e fredde il cui focus va al personaggio in primo piano, con cui niente interferisce: il resto è indistinto, uno sfondo neutro. L'ultima è una puntata glaciale e velenosa, che ci seduce mentre ci spinge verso un baratro inevitabile. È letale e lenta, come un'overdose, ma non riusciamo, non possiamo scappare dallo schermo, perché ormai ci ha catturati.
Sono entusiasta di questo prodotto, vi consiglio di non perderlo assolutamente.

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