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lunedì 10 dicembre 2018

"Élite", la serie del baratro



Il mondo adolescenziale è pieno d'insidie; a maggior ragione lo diventa in un contesto di pressione continua in cui non è importante chi tu sia: ciò che conta realmente è essere il migliore sempre e comunque. Non c'è spazio per i ripensamenti e per la mediocrità.
Élite è una serie tv spagnola, visibile su Netflix, ideata da Carlos Montero e Darío Madrona.
È già prevista una seconda stagione e sebbene rischi di cadere nel tranello della seconda di Tredici, io comunque mi cimenterei nella visione per sbatterci la testa, perché la prima è straordinaria e non ho intenzione di mollarla così. Devo sapere come andrà a finire.
In seguito al crollo sospetto del tetto di una scuola, al fine di tranquillizzare gli animi vengono offerte delle borse di studio a tre delle vittime dell'incidente, Samuel, Nadia e Christian, per seguitare a studiare all'interno della Las Encinas: una scuola spagnola esclusiva, riservata ai figli di famiglie facoltose, per educarli a diventare i migliori. I ragazzi avranno un inserimento e un benvenuto tutt'altro che incoraggianti: nessuno li vuole realmente nel loro istituto e loro si barcamenano tra mille frustrazioni, cercando di compensare le loro umili origini. L'atmosfera andrà a saturarsi fino alla disgrazia inevitabile: la morte di uno studente.
Qui comincia la nostra storia, che ha un'implacabile sete di verità.
Le puntate vengono scandite come il rintocco di un orologio, intervallate dalle domande della polizia ai ragazzi. Ciascuno nasconde dei segreti, ma di quale gravità esattamente?
Il contesto di partenza della storia è fortemente darwiniano: se non riesci ad adattarti nel sistema, inevitabilmente soccombi, così i nostri protagonisti cercano d'inserirsi chi più chi meno, ma non sarà semplice allo stesso modo per tutti.

La trama più nello specifico
Nadia
Se lo spavaldo Christian pur di attirare l'attenzione passerebbe anche dal buco della serratura e a un certo punto trova uno spiraglio tutto per lui, Samuel dovrà faticare un po' di più, per non parlare di Nadia che parte da un ambiente del tutto diverso: ella è infatti musulmana e la sua famiglia osserva la sua religione in maniera ferrea. Ciò darà vita a continui scontri tra il suo mondo e quello occidentale e sia lei che suo fratello manifestano una malcelata insofferenza verso le imposizioni rigide del padre. Entrambi vorrebbero semplicemente essere ciò per cui sono nati, ma questa figura genitoriale s'impone. Centrale per la sua storia è il personaggio di Guzman, che, continuamente corteggiato da Lucrecia, cercherà in un certo senso di fare amicizia con lei, scoprendo quanto può essere difficile per due culture completamente diverse avvicinarsi.
Nadia sembra costantemente un'isola, al contrario di Omar (il fratello) che prende una direzione molto più impetuosa. 
Samuel
Samuel si potrebbe interpretare come l'anello di congiunzione tra le altre due personalità: è un ragazzo schivo, introverso, che pensa a fare il suo dovere e non cerca complicazioni. Se dovessi trovare un'analogia con un personaggio di un'altra serie, sarebbe un Clay ma più sano di mente: è fortemente portato verso l'indagine e proiettato nel suo mondo interiore. Il suo aggancio con i ragazzi benestanti avviene nel momento in cui conosce Marina, la burrascosa sorella di Guzman. Sarà lei ad accoglierlo per farlo sentire a suo agio. Peccato che lei sia una ragazza imprevedibile, turbolenta, dai molti segreti. Marina è un libro chiuso a doppia mandata, scritto in una lingua sconosciuta. Tante sono le storie che girano sul suo conto, quali saranno quelle vere?
Christian
Christian (lo conosciamo da "La casa di carta" nel personaggio di Rio) per quella scuola è una ventata d'aria fresca. In un luogo dove tutti sembrano programmati per dare sempre il meglio e pensare solo allo studio, appare a un certo punto questo animaletto sociale. Creato appositamente per creare fin da subito lo scompiglio, renderà interessante l'intesa tra Polo e Carla, essenzialmente due giovani molto, molto annoiati, in cerca di qualcosa di strano.
Un altro personaggio che sicuramente non passerà inosservato è Nano (Denver de "La casa di carta"), costretto a regolare i conti in sospeso per non perdere la vita. Insieme a suo fratello, Samuel, rimandano a due aspetti molto diversi dell'essere umano: istinto e ragione. Sembrano due cose molto distinte, eppure è impossibile scinderle completamente.
In questa serie abituatevi che niente è ciò che sembra. In Élite non farete in tempo a farvi un'idea su qualcuno che questa cambierà improvvisamente. Anche chi può sembrarvi positivo può cadere per colpa di un gesto sbagliato.
La morale ricalca il contesto in cui tutti si muovono: non esistono veri e propri eroi o cattivi da demonizzare, la meccanica è molto più cinica e grave: esistono le azioni, che sono un mezzo che utilizzi per arrivare a ciò che vuoi. Ciascuno è abituato a pensare più come una persona in affari che un essere umano; i delitti più abominevoli possono essere perfettamente giustificati in nome di una ragione superiore.
È una serie dura, a tratti cinica che porta una riflessione profonda, come una ferita che non si rimargina mai. La struttura finale dell'ultima puntata, che rimanda a "Tredici", ci spacca il cuore a metà. Perfetta con le inquadrature essenziali e fredde il cui focus va al personaggio in primo piano, con cui niente interferisce: il resto è indistinto, uno sfondo neutro. L'ultima è una puntata glaciale e velenosa, che ci seduce mentre ci spinge verso un baratro inevitabile. È letale e lenta, come un'overdose, ma non riusciamo, non possiamo scappare dallo schermo, perché ormai ci ha catturati.
Sono entusiasta di questo prodotto, vi consiglio di non perderlo assolutamente.

domenica 9 dicembre 2018

"Baby", la serie tv che provoca emozioni ambigue (NO SPOILER)


Baby, Baby, Baby. Questa serie tv italiana, che strizza l'occhio spudoratamente a "Elite" (tanto da recuperarne certi espedienti sfacciatamente) è sulla bocca di tutti, ma se lo merita realmente?
Diretta da Andrea De Sica e Anna Negri, la serie analizza le dinamiche delle famiglie della Roma bene, quella ricca che è il top della società. In particolare il focus è incentrato sul liceo privato Collodi, gli studenti che si muovono al suo interno e i genitori degli stessi, che in genere sono anche peggio.
Con un fitto intreccio di storie, l'intento sarebbe quello di riportare alla luce il famoso scandalo delle baby squillo al quartiere Parioli e di sensibilizzare lo spettatore: nel mondo della prostituzione vengono inserite spesso ragazzine più o meno inconsapevoli, ma comunque ragazzine. A cadere nell'inganno saranno nello specifico Ludovica (interpretata da Alice Pagani) e Chiara (Benedetta Porcaroli), due giovani dal carattere ed estrazione sociale completamente differenti, ma legate da un'amicizia forte e forse anche da un grande senso di smarrimento.
L'intento è certamente lodevole e nobile; il problema di "Baby" è il come.
Io credo che in Italia ci sia un grande problema che sorge ogni volta in cui si cerca di creare un prodotto televisivo con degli adolescenti come protagonisti, e non mi capacito del motivo, perché all'estero tutto questo non succede mai o perlomeno non in maniera sempre così catastrofica: i personaggi vengono inevitabilmente appiattiti o rappresentati in maniera poco consona. I ragazzi sono giovani. Giovani. Non hanno misteriose malattie per cui parlano uno strano linguaggio alieno o sono complessi quanto una scatoletta di tonno. Perché creare un mondo in cui le adolescenti sono occupate solo a fregarsi il ragazzo a vicenda e a comprarsi vestiti costosi e i maschietti nella migliore delle ipotesi si prendono a pugni per una moto oppure spacciano nel liceo?
Nessuno sembra mai chiedersi se in quell'universo c'è di più e si generano personaggi essenzialmente vuoti o comunque con lo spessore psicologico appena accennato. Le emozioni sono sempre al livello basico, quasi a soddisfare i bisogni essenziali. Come dire gli si regalano due neuroni tanto per fargli un favore, tanto i giovani sono tutti stupidi.
Questi ragazzi si fanno discorsi che hanno senso presi una parola sì e una no, le dinamiche comportamentali sono sperimentate sempre in un modo un po' maldestro. È sempre come se gli adulti non sapessero cosa farne di questa generazione buttata in un angolo.
Gli attori se la cavano, chi più di altri chi meno; il problema è perlopiù racchiuso in quello che devono dire e fare.
I grandi, interpretati anche da nomi famosi, sono personaggi assenti, approfonditi un minimo per renderli realistici, ma sempre a fare da tappezzeria. Sembrano correre dietro ai figli scuotendo la testa, senza sapere come comportarsi e quando danno un consiglio per una volta, è pure quello sbagliato.
Le stesse colonne sonore iniziali assecondano un senso di decadenza morale e vuoto, ma sempre con quella venatura nonsense. Viene trattato tutto in maniera troppo leggera... poi la serie a un certo punto fa uno switch improvviso e si tinge di toni dark. Anche la parte "cattiva" è tutto un programma, per via di avvenimenti totalmente inverosimili se non assolutamente diseducativi (e non parlo delle baby prostitute, perché sarebbe anche normale). Se non altro le colonne sonore dallo switch in poi fanno un buon salto di livello e traghettano il nuovo andamento.
In definitiva, tanti, tanti stereotipi sul mondo adolescenziale, ma il problema non è solo di "Baby" perché ci cadono un po' tutte le produzioni italiane. È come se in Italia nessuno avesse mai visto una persona di sedici anni o volesse vedere solo la parte più stupida.
Io non capisco come poi all'estero succede che i personaggi invece sono tosti, hanno una vita fitta, intrecci complessi, pensieri ben strutturati e non parlano e scrivono in maniera cretina. Anche le motivazioni che ci sono dietro gli intenti di un adolescente di un prodotto "americano" (per prendere un esempio) sembrano uscite dal risultato di un equazione algebrica, mentre i ragazzi italiani sembrano avere la complessità della scimmia che pigia il tasto per far cadere la banana.
Ci sono dei personaggi che saltano particolarmente all'occhio come le due ragazzine e Fabio (Brando Pacitto, lo abbiamo conosciuto in "Braccialetti Rossi"), che spicca perché ha un percorso difficile da intraprendere e sembra avere una motivazione dietro alle sue azioni.
Questa serie tuttavia non provoca grande empatia, ho trovato meglio "Elite", anche se mai dire mai, perché devo ancora terminarla, ma almeno ha un filo conduttore chiaro. Potrei arrabbiarmi anche per "Elite", non si sa mai.
Anche il tema della prostituzione minorile in certi punti sembra accantonato a favore di narrazioni secondarie meno rilevanti. Non sembra che la serie sia fatta per quello scopo, ma che ci sia tutta una storia e poi anche quel tema in un filone narrativo. È poco chiara la sua importanza.
"Baby" ad ogni modo non l'ho molto gradita, preferisco storie dove si scava di più.
Dopo l'immagine avrà inizio la parte spoiler!




PARTE SPOILER
Perché c'è sempre l'arabo che spaccia?
Non ho capito se è una nuova moda quella di avere lo spacciatore arabo, perché mi sembra assurdo che questo elemento compaia indifferentemente sia in "Elite" che in "Baby". Mi sembra strano che sia solamente una coincidenza, perché anche gli insulti che vengono lanciati a questo ragazzo, o meglio scritti, compaiono in entrambi i prodotti.
I personaggi hanno circa sedici anni... perché cavolo vanno in giro guidando l'auto? 
Queste scene in cui Chiara specialmente guida e guida sembrano poste lì perlopiù per sottolineare il tenore di vita elevato della giovane, ma si capiva anche con molto meno.
Se avesse avuto diciotto anni probabilmente non si sarebbe parlato di "baby squillo" ma di "escort". Quindi la macchina?!
Ma non è poi così importante.
Perché una donna adulta intraprende una specie di relazione con un adolescente?
C'è questo ragazzo che sembra essere molto "emozionato" quando ha a che fare con la sua insegnante di educazione fisica, interpretata da Claudia Pandolfi. Lei viene da una vita molto rigida, fatta di disciplina, in cui non si è mai lasciata andare ed ha un amore poco soddisfacente.
Lei viene rappresentata quasi come una donna bambina, molto ingenua, ma scusate: che differenza c'è tra il Saverio cattivo che attira le adolescenti a suon di festini e cocktail e lei che essendo una donna adulta approfitta di un ragazzino? Che messaggio manda questa storia, che la molestia su minore è solo quando la fa l'uomo a una ragazzina?
Non credo sia giusto il candore con cui viene trasmessa la storia tra una donna adulta e un minore, sballa completamente il senso della serie stessa.
Come fa una persona ad entrare nell'ala dell'ospedale dove c'è un uomo in coma, senza che la veda nessuno?
C'è una scena in cui Chiara ha già rubato il cellulare di Saverio, che è in ospedale a seguito del famoso incidente in cui era coinvolta anche Ludovica.
In quell'ospedale non la ferma nessuno: riesce ad arrivare fino al paziente in coma e gli prende anche la mano per passare l'impronta sullo schermo del telefono, così da sbloccarlo.
Lo stesso Fiore stacca tutti i cavi del macchinario e per il personale della struttura è come se niente fosse successo... delitto perfetto.
Cosa muove il personaggio di Chiara?
Ludovica suscita inevitabilmente più simpatia, perché lei non è parte di quel mondo sporco, ma ci si avvicina con ingenuità, come a ricercare un affetto da Saverio e soprattutto da Fiore, che lei ama. Fa una serie di scivoloni per colmare evidenti lacune affettive, perdendo di vista il limite.
Ma Chiara da cosa è mossa esattamente?
Vediamo fin da subito una ragazza molto ambigua, tanto che  si presenta facendo l'amante del fratello della sua migliore amica, ad insaputa della stessa. Camilla è sì un personaggio rigido non così pieno di empatia, ma quando la accusa d'infilarsi nelle relazioni altrui, Chiara invece di riflettere reagisce quasi come se l'avesse provocata: si vuole prendere anche il suo ragazzo.
La giovane sembra volere esclusivamente ciò che non può avere e quando le condizioni non sono più fattibili. Cosa la spinge a deviare sempre in maniera estrema? Non si comprende, sembra crudele e basta, anche perché tutti gli altri anche hanno problemi in famiglia ma non si spingono mai a tanto.
Non finisce qui, presto analizzeremo molti altri aspetti. Continuate a seguire il canale Nerdflics e ne vedrete delle belle! 

sabato 8 dicembre 2018

"Bohemian Rhapsody", quando il successo era già scritto


La musica esiste dall'alba dell'uomo. I primitivi sperimentavano qualsiasi tipo di percussione affinché scaturisse da essa un suono godibile. Gli umani hanno sempre avuto le note nel sangue.
La musica esiste dall'alba dell'uomo, ma non erano mai esistiti i Queen.
Il gruppo ha portato la sua magia ovunque per poi piano piano svanire come una cometa: senza Freddie, morto di aids, nulla ha lo stesso sapore, lo stesso odore, lo stesso colore.
Il vuoto incalcolabile che ha lasciato in ciascuno, nessuno è mai riuscito a colmarlo realmente e si seguita ad ascoltare la sua voce che incita a non arrendersi, ad aggredire la vita, ma che talvolta sussurra anche che ha paura e non vuole morire.
Questo film tuttavia non ci renderà tristi: è una celebrazione. Esso non parla del dolore nel cuore dei suoi compagni e dei fan per la sua dipartita; è una grande festa e noi non siamo gli spettatori passivi, siamo parte delle canzoni che giungono e s'infilano in ogni angolo dello stadio, per gridare forte.
I Queen ci prendono per mano e ci trasportano in un mondo in cui c'è solo energia e lo capiamo dalla prima scena, in cui sta per cominciare un concerto molto importante ma impiegheremo tempo per capire quale.
Nonostante le varie difficoltà nella realizzazione del film nonché ritocchi alla storia originale, esso è fiorito in maniera meravigliosa e riesce a raccontare ciò di cui si ha bisogno. I curiosi vogliono vedere dove si andrà a parare, ma i fan vogliono vedere la tigre: un uomo che non si è arreso mai neanche di fronte a un male terribile e ha continuato a cantare con grinta, fino alla fine. I fan volevano riabbracciare Freddie per l'ultima volta e commuoversi ancora. 
Io, fan dei Queen da quando ero bambina, ringrazio Rami Malek per avermi fatto abbracciare un eroe che non ho fatto nemmeno in tempo a conoscere, ma del quale echeggiano le gesta anche nei deserti più aridi, perché la grandezza non muore. Mai.
lo stesso attore dopo questo ruolo non sarà mai dimenticato, come il film che si è conquistato a fatica, ma vincendo.
Presto, ma veramente presto, avrete la recensione sul nostro canale, Nerdflics!


giovedì 6 dicembre 2018

REVOLVER Pasìon Rebelde, di Aura Conte e Connie Furnari



REVOLVER Pasìon Rebelde 
di Aura Conte e Connie Furnari
Disponibile su Amazon/Kindle Unlimited: http://mybook.to/RevolverPasionRebelde
Numero di pagine (reali): 258.
Prezzo: 0.99 Cents
Genere: Dark Romance
Romanzo autoconclusivo in volume unico

Trama: Due innamorati segnati dalle stelle, non possono sfuggire al loro destino. Antonio è un ribelle scapestrato, ansioso di vivere la sua vita, ma tormentato dal proprio passato: lui è l’unico figlio maschio di Rafael Guerrera, el Jaguar, l’uomo che ha conquistato Miami e ha costruito un impero, dopo la sua ascesa nel mondo della criminalità organizzata.
La fama del padre è un peso troppo grande da sopportare, soprattutto perché la lotta contro i Gonzales, nemici giurati del clan Guerrera, non è ancora finita.
Teresa Gonzales, bella e determinata, è un’anima dannata e perduta, decisa a vendicare la morte della madre, avvenuta sotto ai suoi occhi quando era soltanto una bambina, a opera del clan avversario.
L’incontro tra Antonio e Teresa è esplosivo, due anime ribelli destinate da sempre a incontrarsi. La passione sfocia in un turbine di amore, violenza e morte.
La loro, è una storia d’amore impossibile, ostacolata dall’odio fra le rispettive famiglie e dal loro passato, che entrambi non possono dimenticare.
Miami si tinge ancora una volta di eros e sangue.

REVOLVER Pasìon Rebelde è un Romance autoconclusivo, slegato dalla saga Pecador (scritta da Aura Conte e Connie Furnari a partire dall’Aprile 2017), e può essere letto come volume unico, anche senza aver seguito la serie principale.
È ispirato a Romeo e Giulietta, come Pecador, in chiave moderna, conservando comunque la passione e il romanticismo.
Il punto di vista di Teresa è descritto da Aura Conte.
Il punto di vista di Antonio è descritto da Connie Furnari.

PECADOR comprende:
– Pecador Flor de Cuba (Aprile 2017)
– Pecador Amor y Muerte (Marzo 2018)

Gli Spin Off (indipendenti dalla saga, volumi unici)
– JAGUAR (Maggio 2017)
– DAMAGED (Maggio 2017)

– REVOLVER Pasìon Rebelde (Novembre 2018)





Estratto (Antonio):
Stavamo provando le stesse emozioni, la stessa paura per il nostro futuro. Teresa mi voltò le spalle, sospirando con tristezza.
La raggiunsi e la feci voltare, tirandola a me. La baciai, senza darle neppure il tempo di reagire.
Appena le nostre bocche si incontrarono, accadde tutto in modo automatico, come se fossimo due fiamme destinate a ricongiungersi.
Era così che mi sentivo, ogni volta che ero assieme a lei: un fuoco incandescente, che crepitava. Non avrei rinunciato a quella sensazione per nessun motivo al mondo, per la prima volta mi sentivo vivo.
Me ne fregavo di chi fossimo, dell’odio fra le nostre famiglie, della vendetta, di tutto quel lercio mondo che ci circondava. Dell’Inferno in cui eravamo cresciuti.
Io la amavo, più della mia stessa vita. E glielo dovevo dire.
«Ti amo» le sussurrai, piano.
Le chiusi ancora una volta la bocca con un lungo bacio, facendole sentire che era mia, e che nulla avrebbe cambiato ciò che provavamo l’uno per l’altra.

mercoledì 5 dicembre 2018

"Lei" e un amore al limite dell'immaginazione



Questa è una bellissima storia d'amore. Tra un uomo e il suo sistema operativo.
No, ragazze: non è la solita barzelletta trita e ritrita dell'uomo che parla più con Siri che con voi, è proprio il film che sto cercando di recensire, per cui andiamo avanti.
Theodore Twombly è un triste e solo cittadino di una Los Angeles futuristica, in cui è possibile acquistare un sistema operativo, l'OS 1, provvisto di un' intelligenza artificiale capace di progredire man mano che conosce il suo proprietario. È così che Theodore resta affascinato dalla sua Samantha, nome che sarà lei stessa a scegliersi. La donna in questione sembra portare un bagliore di luce nella triste vita di questo solitario, il cui lavoro è scrivere lettere d'amore per gli altri. Tuttavia la vicenda si trascina inevitabilmente dietro una sorta di domande e ostacoli che possono avvicinare due persone o allontanarle per sempre. Quale sarà la loro strada?

La pellicola salta all'occhio per il suo fare pittoresco: è ricca di memorie, d'immagini, come se ogni scena fosse una foto ben precisa da tenere a mente e riporre in un album; spesso è proprio l'inquadratura ravvicinata su un dettaglio ad esprimere lo stato d'animo del protagonista. Si alternano scene di calore, coperte e giochi ad altre in cui la sensazione di essere un'isola è estremizzata dall'abitazione del protagonista: un appartamento ultramoderno dalle cui vetrate può osservare dall'alto in basso l'intera città senza tuttavia sentirsi parte della stessa.
La faccenda è complicata. Molto molto complicata e il film spicca per raffinata delicatezza e soprattutto ringrazio perché non ha lanciato il solito messaggio: "Le macchine non hanno un cuore, ci uccideranno tutti" ma ha posto un quesito molto più grave e nel contempo da soppesare: "Come può amare una macchina? Come un essere corporeo o il suo amore è così mentale da superare le barriere fisiche degli umani?"
Potremmo ridurre l'intera questione al fatto che il nostro Theo sia un'immaturo che preferisce avere la donna perfetta che gli dica qualcosa di perfetto, ma è davvero così infantile riuscire ad amare una creatura addirittura sprovvista di corpo, chiedendosi ogni giorno se lei stessa sia vera in quello che prova, che dice, che pensa? In definitiva quello che c'è tra i due è un effettivo "amore per il diverso" o l'ennesima moda, come un gadget che sfrutti e poi butti via?
A rimarcare i dubbi dell'uomo su qualcosa di fasullo ci si mette anche la sua migliore amica Amy, che gli racconta della sua spiccata e complice amicizia con un altra OS 1: fanno amicizia con noi e ci compiacciono solo perché sono programmati per farlo?
Tuttavia è l'intelligenza artificiale a lanciare il messaggio più sorprendente; la diffidenza degli esseri umani riguardo qualcosa che non capiscono non è niente di nuovo. La domanda vera è: come può sviluppare amore una macchina e quanto quell'amore può progredire in maniera prettamente mentale? Diventando cosa?
Il vero essere limitato è la macchina o l'uomo? Dovremmo stare attenti al confronto, potremmo rischiare di far brutta figura.

"La casa di carta" recensione semiseria (SPOILER TOTALI prima e seconda parte)



Otto disgraziati che indossando maschere di Dalì cercano di assediare la Zecca di Madrid, per produrre soldi da portare a casa propria. Buttata lì così sembra più una barzelletta, invece stiamo parlando di una serie tv che ha fatto molto parlare di sé e lo farà ancora, perché la terza stagione uscirà nel 2019. Voi la state aspettando?

"La casa di carta" è una serie televisiva spagnola, le cui puntate in versione originale presentano una lunghezza di 70-75 minuti, mentre nella versione per "Netflix" si è scelto di stringere gli episodi facendoli da 40-60 minuti, pertanto la serie e divisa in parte 1 e parte 2. Quindi in Spagna quante sono le serie effettive? Credo una o tutte quelle che volete, non penso di averlo capito.
Gli otto disgraziati compiono il loro colpo sotto la guida di un personaggio chiamato "Il Professore", che sembra sapere quello che fa... finché gran parte dei suoi intenti puri non va in frantumi. Credo che neanche facendo un cocktail tra Tokio e Berlino si riesca a raggiungere il suo stesso equivalente di sviste e questioni imbarazzanti; e sì che i due sembravano usciti da uno spettacolo comico.
I rapinatori, sotto questa impeccabile guida assumono nomi di città per nascondere agli altri i propri (ma praticamente andranno a presentarsi tutti o la polizia scoprirà alcune loro identità), per andare a chiamarsi Tokio (la narratrice), Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Oslo ed Helsinki. I luoghi che gli otto si sono scelti, rispecchiano i loro caratteri in maniera cristallina.
Non sarà una rapina semplice, perché l'ispettrice Raquel Murillo non avrà alcuna intenzione di dar loro un attimo di tregua (beh insomma...).
Non aspettatevi coerenza negli atteggiamenti manipolatori.
C'è un motivo molto serio per cui faccio questa precisazione. La critica più forte mossa alla serie è quella delle dinamiche malate veicolate in maniera naturale, come se niente fosse. Il punto è molto più  a monte, perché lo stesso presupposto di partenza del colpo è manipolatorio: entrano, stampano tante banconote, non feriscono ostaggi, escono e passano da grandi eroi. È così che il Professore intende far rapinare la Zecca, facendo di tutto perché la pubblica opinione pensi che sono un gruppo di persone dal cuore nobile...ma SONO RAPINATORI. Ra-pi-na-to-ri.
Lo stesso intonare prettamente a casaccio "Bella ciao", che parla del combattere l'invasore quando comunque sono loro che hanno fatto un'irruzione, ha intenti chiaramente manipolatori: loro pensano o vogliono far intendere di essere la resistenza al sistema corrotto (vedi discorso del Professore quando afferma che il denaro è solo carta e la Banca centrale stampa banconote in più quando servono, perché loro no?). Insomma sono eroici ebbasta. Legale o illegale non importa.
Anche lo stesso utilizzo delle maschere per cui rapinatori e ostaggi si confondono tra loro, è sì un espediente narrativo interessante, ma ci indirizza verso l'interpretazione delle vicende: sarà tutto molto confuso e difficile da districare e la cosa sarà perfettamente voluta.
Si vuole creare caos, sconvolgere la visione del mondo e portarci a riflettere sul senso del bene e del male. Secondo me ci sono riusciti.
Dal momento in cui assistiamo a "La casa di carta" sappiamo già che il contesto è tortuoso e  che le persone hanno un modo tutto loro d'intendere le questioni.
Raquel  Murillo
All'interno di questa serie ci sono parecchi individui dalla personalità aggressivo/manipolatoria e sembra che il concetto cada un po' nel vuoto, perché le vittime non sono sempre coscienti di esserlo e i carnefici uguale.
La stessa Raquel (Itziar Ituño) è così ripetutamente vitttima di abusi che non li conta più. Prima aggredita dall'ex marito che è un violento, poi deve subire lo stalking del collega e, quando sembra incontrare un uomo sano, Salvador, viene raggirata anche in quel caso e resta un dubbio nel finale: come fa Raquel a perdonare gli intrighi del Professore e far passare che vada tutto bene nonostante abbia perso anche il lavoro per colpa sua? Io credo che il messaggio di fondo sia molto sottile: una vittima di violenza è predisposta a ricaderci ancora se non sta attenta e paradossalmente i sotterfugi del Professore le sembravano meno gravi di tutto il resto. Ma lo sono? Lui è sincero nei suoi confronti? La loro stessa storia ci viene servita come qualcosa che a lui è sfuggito di mano, perché non ha mai avuto relazioni e allora si è davvero innamorato. Può essere davvero così ingenuo e il passato cancellato via da parte di lei come un movimento di cancellino su una lavagna? Oppure abbiamo a che fare con un narcisista covert (se continuate a leggere ci sarà una spiegazione del termine)?
La relazione di Berlino e Ariadna sicuramente non si può definire tale. È un rapporto in cui lei si lascia sfruttare affinché tutto finisca presto e, già che cova rancore nei suoi confronti, vuole una parte dei suoi soldi. L'atteggiamento della donna nei riguardi del suo predatore, più che ambiguo è rancoroso, la dinamica è molto più chiara rispetto a quanto non sembri. Non è che lei lo asseconda, lei vuole assicurarsi la propria sopravvivenza ma comunque è molto più ingenua e umana di lui.
Poi c'è un legame più complicato, ovvero la sindrome di Stoccolma che colpisce Monica quando Denver prima le spara a una gamba e poi la cura... oppure no? Nonostante il ragazzo sia in buona fede, cosa ci assicura che ormai non sia troppo tardi e in lei sia scattato proprio questo switch mentale, per cui pensa di amarlo? Sindrome o no, penso che la vedremo presentarsi come Stoccolma prossimamente, per cui lo scopriremo.
Ci sono anche altri temi che scaldano gli animi, come la svalutazione della donna in ambito lavorativo e in famiglia, ma questa serie non è a scopo educativo e non sembra costruita per insegnare la strada giusta all'umanità; piuttosto rivela certe carenze della società e degli individui e lo fa in maniera ambigua e da interpretare. Anche perché vorrei vedere cosa c'è di educativo nell'assaltare la Zecca e mettersi a stampare soldi da portare a casa con la carriola...
Se siete appassionati di psicologia, vi assicuro che resterete incollati al computer durante le puntate per scovare i vari disturbi dei personaggi, che a me non sembrano affatto piazzati a caso. Se prediligete le serie action, non avrete molto pane per i vostri denti a parte rare eccezioni, non è lì che si concentra il focus.
Tokio
I punti di forza della serie sono la rapidità e l'introspettività. Le questioni vengono analizzate dalla particolare sensibilità della nostra "cantastorie": (che prende vita grazie a Úrsula Corberó) ella andrà ad illuminare anche sotto le porte pur di raccontare perfettamente cosa accade. La caotica Tokio è particolarmente sfacciata e senza mezzi termini ci svela i segreti, le mezze verità, si lascia dietro il superfluo e mira all'essenza del cuore delle persone, in parte condanna e in parte assolve le azioni altrui a seconda di quanto siano vere e incentrate verso il bene. La stessa scelta di un "io narrante" femminile accentua la propensione di voler presentare al pubblico una storia dai connotati più umani che action. Paradossalmente nel contempo è la stessa Tokio a dominare con scene d'azione un tantino sopra le righe per il suo personaggio. Ok essere spericolata, fare fughe esagerate, essere una tipa tosta, impulsiva (MA POCO EH?!), saper usare qualsiasi tipo di arma e tutto quello che vuoi, ma davvero sei in grado di risalire le scalinate della zecca impennando in moto, roba che neanche uno stuntman?!
Nonostante sia innocua quanto una bomba innescata in un centro commerciale di domenica, con i saldi, non ha secondi fini. Ogni colpo di testa che ha, avviene perché lotta per una vita migliore e contro la prepotenza... non è vero Berlino?
Berlino
Se nelle prime battute può sembrare un capo un po' freddo ed esibizionista (dirige le operazioni interne per conto del Professore), diciamo che i guai non sono tutti lì, perché abbiamo di fronte un vero e proprio narcisista, ovvero ha un disturbo della personalità (se volete saperne di più cliccate qui, che ho trovato un'analisi molto interessante). È la stessa cartella clinica rinvenuta dalla polizia ad affermarlo. Il che, per chi non avesse intenzione di leggere l'altro articolo linkato, indica una persona  che ha subito in genere traumi affettivi durante l'infanzia, che in età adulta diviene fortemente incentrata su se stessa tanto da ridurre le interazioni umane a un mero gioco di manipolazioni e sfruttamento. Un narcisista è incapace di provare emozioni di attaccamento vere e proprie ed empatia, perlopiù è capace solo di rabbia e invidia, che manifesta rovinando subdolamente la vita di chi ha attorno, sminuendo, mortificando e sviando la verità in maniera tale che alla fine il disturbo di personalità sembrano gli altri ad averlo.
Molto meglio incontrare certi elementi in una serie tv che in giro, ma devo ammettere che Berlino in questo contesto funziona, altro se funziona! Soprattutto gli abbiamo a fatica trovato un lato positivo, ovvero la capacità di avere del sangue freddo in situazioni emotivamente insostenibili e una spiccata abilità per il teatro, a vedere da come recita la parte del povero disgraziato quando lo intervista la polizia. Ovviamente anche la sua morte doveva essere una splendida recita stile musical in cui l'eroe si sacrifica per tutti, altrimenti non era contento. Si sarebbe sacrificato ugualmente, così egocentrico, se non avesse avuto una malattia degenerativa che lo avrebbe ucciso entro l'anno? Non vi resta che chiederlo alla povera Ariadna, che voleva ereditare tutti i suoi soldi come risarcimento alle violenze sessuali e psicologiche subite e per poco non viene sacrificata con lui...
Ad ogni modo l'interpretazione di Pedro Alonso è magistrale e stratosferica. Non è da tutti restituire in maniera efficace una personalità così complessa e sfaccettata. 
Mosca
Basilare seppur molto silenzioso, è il ruolo di Mosca (interpretato da Paco Tous), che funge da collante/coscienza dell'intera squadra, nonché da babysitter per i più indisciplinati (vero Denver e Tokio?). L'uomo è ossessionato da continui rimorsi per aver trascinato il figlio (Denver) all'interno di questo qualcosa più grande di loro. Avrebbe voluto vivere una vita onesta e spera di raggiungere il suo traguardo... tutto molto bello se non fosse costretto a prendersi tre pallottole nello stomaco proprio sul finale, solo perché Tokio ha bisogno di rientrare in scena saltellando con la moto della polizia. Ci doveva pur essere qualcuno disposto ad uscire a sparare per coprire questo ritorno trionfale!
Denver
Egli stesso con la sua dipartita costituisce uno dei grandi picchi emotivi della serie: negli ultimi istanti di vita, invece della figura di Tokio al suo capezzale, rivede la moglie tossicodipendente che aveva abbandonato molti anni prima e chiede redenzione. Ironia della sorte la ragazza, capendo e non capendo l'allucinazione e a chi stesse parlando esattamente, si cala nel ruolo e concede questo perdono, ripensando a tutti i rimproveri ricevuti proprio dallo stesso uomo nei mesi precedenti alla rapina e durante. Il rapporto Tokio e Mosca è conflittuale fino alla fine ma c'è il riavvicinamento finale, perché in fin dei conti lei ha sempre desiderato un padre come lui, capace anche talvolta di dire cose molto dure ma giuste.
Denver (che prende vita grazie a Jaime Menéndez Lorente) ci viene presentato come una sorta di vulcano pronto ad esplodere già nella prima puntata, un casinista di prima categoria nonché uno sbandato... e sbandato lo è, ma a parte l'assurda love story con Monica Gaztambide non combina niente di niente, anzi scongiura anche l'aborto della donna. Praticamente tutto ciò che mi aspettavo da lui alla fine lo ha fatto Tokio e viceversa, ma non ci lamentiamo dai. La parte più grave è quella della relazione: ok l'ha convinta a tenere il bambino, ok le ha risparmiato la vita, ma davvero può nascere un amore serio in così poco tempo, dal momento in cui il colpo dura pochi giorni?
Rio
Rio è semplicemente adorabile, se volete vederlo più spavaldo, potreste cominciare a seguire "Élite"(c'è anche Denver nella stessa serie), in cui l'attore promette molto bene. Interpretato da Miguel Herrán, sembra uscito da una scatola di Baci Perugina e va subito a conquistare il cuore di Tokio, freddo per colpa della morte del suo ex durante una rapina, morte di cui la donna si sente responsabile. Potrebbe essere un cucciolo di panda per la sua ingenuità, se solo la questione non fosse un pochino estremizzata: ok che in precedenza era un hacker e non un vero e proprio rapinatore, ma vogliamo trattarlo come un bambino di cinque anni o come un uomo che ha deciso come tutti gli altri di andare ad assaltare la Zecca? C'è sempre un trattamento di favore per questo "ragazzotto" che sembra un cagnolino abbandonato, più che un individuo adulto e questo si ricollega sempre al discorso di presentare la verità impacchettata in un certo modo.
Nairobi (Alba Flores) sembra l'unica ad aver capito il motivo per cui hanno fatto irruzione all'interno della Zecca: stampare soldi. Era un'azione così lineare e logica che né Berlino con la sua sete di potere, né Tokio con le sue ribellioni verso di lui, né Rio con i suoi struggimenti, né Denver col suo amore da soap opera seguito dal padre che lo ammonisce, avevano pensato. Certo, d'altronde chi mai si metterebbe a realizzare il proprio obiettivo quando ci sono gli ostaggi da terrorizzare, donne da stuprare, compagni con cui litigare e fare pace.
Nairobi
Troppe distrazioni, rischiava di diventare tutto un luna park, invece lei contrariamente a tutte le aspettative (e non erano molte, dal momento che ha lasciato solo il figlioletto piccolo per prendere una pasticca dallo spacciatore) si è messa a lavorare a ritmo costante e senza lasciarsi deviare. Ovviamente aiutata dagli ostaggi, i compagni erano occupati a dare spettacolo. Emerge prepotentemente come figura femminile perché finalmente c'è qualcuno che riesce a mitigare Berlino o quantomeno a zittirlo senza che lui faccia troppi danni. L'intervento di Nairobi a un certo punto sembra la mano del destino che vuole salvare l'umanità caduta in disgrazia e noi gliene siamo grati, perché da lei è uscito fuori un personaggio sorprendentemente positivo.
Oslo                 Helsinki 
Vorrei dirvi qualcosa di più su Oslo (Roberto García) ed Helsinki (Darko Peric) ma non sono personaggi molto rilevanti. Vengono approfonditi alquanto superficialmente e si sa soltanto che sono amici, che hanno combattuto insieme, che Helsinki è gay e Oslo muore in una maniera poco più umana di quella di Khal Drogo su Game of Thrones. Non attirano particolarmente l'attenzione, sembrano più braccia messe a rinforzo dell'intera operazione, come se a fare il resto dovesse pensarci qualcun altro.
Arturo lo nomino perché è l'unico ostaggio che tutti vorrebbero morto ma il miracolo non avviene mai. Il signore è il direttore della Zecca di Stato e riesce ad essere peggiore dei rapinatori. Intanto prima del furto e di Denver, Monica era la sua amante e stava per convincerla ad abortire, poi invece di fare l'ostaggio e basta s'improvvisa Chuck Norris e tenta circa seicento imprese disperate che richiederanno anche rischi notevoli da parte degli altri sequestrati che volevano solo continuare a vivere qualche anno di più. Invece non trova pace, credo si sia svegliato improvvisamente poliziotto.
Ma veniamo al pezzo forte: Il Professore.
Egli è la mente che muove il tutto. Calcolatore, preparato, minuzioso, raccatta tutti i tasselli del suo puzzle e li istruisce e plasma fino al momento del colpo. Lui ha previsto ogni mossa, è sempre un passo avanti alla polizia, eppure è una figura poco chiara.
L'idea del colpo proviene da una storia alquanto strappalacrime: era un bambino sempre malato e il padre è morto in una delle rapine che faceva per sostenere le spese ospedaliere. L'idea dell'anno la ruba proprio a suo padre e con fervore s'impegna a metterla in atto con corpo ed anima.
Innanzitutto chi è Berlino per lui? È l'unico che piange per la sua morte e lo chiama fratello. Tuttavia, se il nome di Berlino è Andrés de Fonollosa e il Professore si chiama Sergio Marquina, come farebbero ad essere realmente imparentati? Suppongo a questo punto che o uscirà fuori qualche notizia in futuro o questo legame sia da intendere come un'amicizia di quelle indissolubili. Notare bene che il Professore è l'unico che piange per la morte di Berlino. Nemmeno sua madre ha versato tante lacrime.
In quanto alla relazione con Raquel, possiamo pensare che lui abbia semplicemente sbagliato strada sempre e che volesse fare sempre la cosa giusta ma poi così non è andata? Lui voleva solo incontrarla e informarsi riguardo le mosse della polizia ma non innamorarsi di lei?
Forse. Probabilmente la sua personalità è ancor più complessa e oscura di quella di suo fratello, ben più prevedibile. Questa patina d'innocenza che lo riveste sempre e comunque è molto sospetta, fino all'ultima scena in cui con Raquel sembra ripartire da capo: con un caricabatterie. Cosa insinuerà quella scena? Che adesso c'è una nuova vita basata su rispetto e sincerità o che ricomincia il circolo di bugie?
Se c'è una cosa che abbiamo capito, è che "La casa di carta" non è una semplice serie in cui si spara e risolto il furto. Ci sono molte implicazioni psicologiche al suo interno, molti significati da capire e studiare. Per questo l'ho amata nonostante l'amore lampo di Denver, nonostante Tokio motociclista e nonostante le incongruenze. È un fantastico rompicapo... e io amo le cose complicate.