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mercoledì 8 ottobre 2014

Non buttiamoci giù... forse l'unico caso in cui lanciarsi porta a una crescita.


Non tutti festeggiano il primo dell'anno allo stesso modo: i nostri quattro protagonisti, sono ben lieti di proporci una modalità estrema altamente alternativa.
Martin, Maureen, Jess e JJ, si ritrovano sulla "vetta" della "Casa dei Suicidi", per scaraventarsi di sotto insieme ai loro problemi. Tutti cercano la libertà: Martin dai suoi comportamenti infantili e poco corretti che umanamente lo fanno sbagliare con le persone care; Maureen da un figlio disabile che le impedisce di essere felice; Jess da un amore non corrisposto, ma molto più probabilmente da un vuoto esistenziale; JJ da una vita senza musica, perché la sua band non è stata un successo come si aspettava e si è sciolta.
I quattro stanno per lanciarsi, quando giungono ad essere d'impedimento ognuno ai suicidi altrui, l'attimo passa e finiscono per scendere nella ricerca del ragazzo di Jess, Chas. Questa sarà solo l'accensione della miccia, che darà il via ad altri appuntamenti a distanza di tempo su quel tetto, e di momenti che offriranno spunti di riflessione toccanti ed intensi.

Perché era questo che avevamo fatto noi quattro: superare una linea. Non voglio dire che avessimo combinato niente di male, ma solo che ci era successo qualcosa che ci aveva distaccato da un sacco di altra gente. Non avevamo niente in comune, a parte dove eravamo andati a finire, su quel quadrato di cemento lassù in aria, ma questa è la roba più grossa che puoi avere in comune con qualcuno.

Riguardo lo stile, è già tanto se non vi prende a calci.
La modalità d'interazione è spesso rude e poco ortodossa, ma riproduce fedelmente una realtà contemporanea di esseri confusi che non sanno cosa vogliono e non hanno consapevolezza effettiva di ciò che li farebbe stare meglio. È un linguaggio al quale sulle prime c'è un approccio piuttosto scettico, in quanto a volte sembra stridente, quasi trasgredisce le regole grammaticali di norma; se può parla anche per slang... ma lo ritengo un gran punto di forza, soprattutto perché il livello lessicale varia a seconda della persona.
Non poteva esserci caratterizzazione dei personaggi più impeccabile e nitida: sono persone vere, te le ritrovi quasi davanti e affondano nel loro dolore in una maniera tale, che almeno uno di loro ti trascina con sé. Hanno delle storie così complicate e sofferte, da stordirti. Non puoi leggere e restare indifferente.
Le vicende materiche, effettive, reali, sono quelle di Martin e Maureen: il primo, un personaggio noto in tv, particolarmente sarcastico e senza peli sulla lingua, non si sa recuperare perché ha avuto un'avventura con una quindicenne mandando al diavolo il suo matrimonio; lei, correttissima e religiosissima madre di Matty (praticamente un uomo sulla sedia a rotelle che oltre a respirare non compie altre azioni), non ce la fa più a far finta che tutto questo le stia bene. Ogni giorno si sente morire. E questi sono problemi molto fisici, comprensibili; i più ingarbugliati sono proprio i giovani, perché uno potrebbe pensare che in fondo non gli manca niente...e invece non è così.
Nick Horby ha avuto davvero una marcia in più nel rendere quel vuoto esistenziale di quando non sai esattamente cosa va male, ma sai semplicemente che non va bene niente; quando l'insoddisfazione e le lacune portano nettamente a una serie di errori tale che, come soluzione si pensa ci sia solo la morte. Eppure ognuno dei quattro scoprirà un mondo, di cui capirà il senso solo a partire da ciò che accadrà la notte di San Valentino. Quello per me è il punto di svolta, la sveglia che li fa in qualche modo rinsavire uno ad uno.
Jess (colei che più di tutti spicca per linguaggio aulico; ovviamente sono sarcastica) ha l'argento vivo addosso, tanto che gli altri fanno molta fatica a star dietro a quei pensieri sgangherati che si ritrova. Non sembra che brilli particolarmente  per intelligenza, ma a modo suo è una fonte continua di sorprese.
C'è poco da esplicare certe narrazioni: il dramma di una donna costretta per anni ed anni a una vita quasi sempre in casa ad accudire il figlio, è immediato. Maureen infatti colpisce e affonda per candore e allo stesso tempo maturità. In pratica è uscita a malapena da casa, chiesa e supermercato, ma sa molto dei meccanismi umani.
Il più difficile da interpretare, che mi ha colpita come un fulmine a ciel sereno, è stato JJ. Quello che combina lui, non lo possono capire tutti: ci porta nel suo mondo molto particolare da cui nemmeno egli stesso riesce ad uscire.

Problema della mia generazione è che ci sentiamo tutti dei geni del cazzo. Far qualcosa per noi non è abbastanza, e neanche vendere qualcosa, o insegnare qualcosa o solamente combinare qualcosa: no, noi dobbiamo essere qualcosa. È un nostro inalienabile diritto, in quanto cittadini del ventunesimo secolo. (...) Ma avere talento non è mai abbastanza per renderci felici, giusto?

L'arte lo trascina, ma il suo gruppo si è sciolto e questo gli toglie il senso della vita. Non ci sta a cuocere hamburger fino alla vecchiaia; così si affaccia anche lui sul tetto della "Casa dei Suicidi", ma finisce per vergognarsi della sua stessa incomunicabilità e per sembrare più realistico s'inventa una malattia incurabile al cervello.
Lui si sente troppo estromesso dal mondo, troppo dedito alla musica per non impazzire al di fuori di essa, della sua band. La ragazza che lo ha lasciato gli manca; ma è la disperata voglia di fuga dalla realtà, che invece lo inghiotte.
Non trova pace e non sa darsi più una direzione, fino al trovare una spiegazione; a concludere che, la propria esistenza va vissuta fino in fondo e non contro la sua natura... ed è quello che più o meno dovranno imparare tutti, insieme ad ascoltare ciò che reprimono, per non restare consumati.

Passiamo tutti tanto tempo senza dire cosa vogliamo perché sappiamo di non poterlo avere. E perché sembrano robe rozze, o ingrate, o sleali o infantili, o stupide. O anche perché siamo talmente disperati da fingere che le cose siano come devono essere, e sembra una mossa falsa confessare a noi stessi che non lo sono. Su, forza, sputa cosa vuoi. Magari non ad alta voce, se c'è il rischio di fare casino. (...) Qualunque cosa sia, dilla a te stesso. La verità ti renderà libero. Oppure ti beccherai un pugno sul muso. Sopravvivere a qualsiasi vita tu stia vivendo significa mentire, e l'inganno corrode l'anima: quindi, almeno per un minuto, molla le bugie.

Non so se alla fine, ciò che si crea tra i quattro sia un'amicizia o meno. Si susseguono dialoghi comici sfumati da battutacce o incomprensioni, emerge pian piano un legame che non può avere una corretta catalogazione; solo che esiste, ed è forte. Forse li collegherà per sempre, chi lo sa.
L'aspetto più importante di questa narrazione in definitiva non è ciò che accade all'esterno: non è il finto suicidio, la breve fama, la notte di San Valentino e via discorrendo; incisivo è quello che ognuno di questi avvenimenti cambierà all'interno dei personaggi.
Il punto di forza di "Non buttiamoci giù", è senza dubbio il viaggio, non tanto l'approdo (in questo a un certo punto mi ha ricordato "Il giovane Holden", se vogliamo anche per lo stile). Con irriverenza e apparente superficialità porta a rilassarsi, ad abbassare la guardia, per poi sprofondare nell'anima. Scoperchia le insoddisfazioni del lettore, gli offre uno specchio e i mezzi per capirsi meglio e sfogliare con più comprensione le pagine della propria vita.
Una storia sentita, che scava senza freno in fondo alle mancate aspettative, alle zone d'ombra dell'animo umano.
Ad essere sincera, non vedo l'ora di gustarmi pure il film: JJ è interpretato da Aaron Paul; non posso certo perdermelo così!