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domenica 21 aprile 2013

La tazza.

Fammi lacrimare. Fai sussurrare la mia anima sulla via della tentazione. Torturami, straziami, fai man bassa di ciò che resta di me. Fai di me la tua bambola anche se i lividi faranno male. Impregna quel muro di noi e fa che ne parli ogni volta che qualcuno passando accarezzerà l'intonaco secco e consunto con la pelle. Pelle sudata, pelle che brucia al sole.
Concedimi almeno un'ultima volta d'abbandonarmi al tuo corpo vorace di sesso, il tuo corpo che svuota le persone dopo averle possedute. Quella parte di te che perdi in me. 
Ti prego, dimenticati il controllo e fammi lacrimare di piacere, fammi tutto ma non questo: non andare, non lasciarmi sola. 
Eppure non so come fare. Ti alzi dal letto con l'occhio lucido di dispiacere, urti la tazza sul comodino e la lasci cadere, scrolli le spalle <<Così siamo rotti in due.>> E t'infili la giacca lentamente, in un silenzio inquietante che assale e uccide l'aria. Affogo nel mio stesso terrore e scossa dai brividi ti corro incontro, cerco di fermarti, ti bacio il sudore sul collo e vorrei mangiare anche quello, t'imploro <<Ti prego, non andare. Posso rimediare, possiamo aggiustare le cose.>>
La rabbia ti scuote dal torpore e con gesto secco del braccio mi scrolli via, su quel letto che ha puzzato di un altro. Piango via l'anima, m'imperla la faccia. 
Tu guardi a terra, neanche affronti più i miei occhi <<Rimediare? Tu vuoi davvero rimediare?! Ricomponi quella tazza rotta in mille pezzi, tiella insieme con tutto quello che vuoi e poi prova a berci. Prova ad usarla come prima, se ce la fai.>>.
<<Michael, non ti avrei mai lasciato, io...>>.
<<Non importa, non a me.>> E poi si libera giù per il pianerottolo, trotta per le scale lontano da me e io lo seguo come un'ombra, piangente, tra i sussulti. Cerco di tirarlo indietro, di costringerlo a tornare ma è più forte. La signora del piano terra sente i nostri, i miei schiamazzi mentre getta l'immondizia, cammina lenta come una tartaruga mentre mi guarda male e mi s'infila tra i piedi, quasi il suo tornare a casa fosse più importante del mio chiarimento. Ma forse non c'è nulla da chiarire. Tutto finisce quando mi aggrappo alla maniglia d'ottone del mio portone, sotto la pioggia. Basterebbe indietreggiare di un millimetro per non bagnarmi, ma che importanza ha. Trascino il mio fantasma su per quella rampa troppo faticosa da risalire, vorrei solo morire e risvegliarmi nel corpo di un'altra che non lo conosce, che può conquistarlo ancora. Una donna migliore di me che non avrebbe mai commesso la cazzata più grossa della sua vita solo per un litigio, una ripicca, un'incomprensione. 
Quella stanza è dolorosa. Apro la finestra e il mio cellulare, come fosse una pietra da far rimbalzare sull'oceano, lo lancio lontano. Deve finire come la tazza. Chissà come sarebbe stata la mia vita se proprio in quel momento non fosse arrivato quello stupido messaggio. Quel "L'altra sera è stato uno sbaglio, io sono un uomo sposato e mia moglie la amo. Finiamola qui.  _Claudio".

sabato 20 aprile 2013

Soffocare.

Guardo tutti che prendono strade, vanno senza di me. Il dolore di vivere e morire in un bozzolo aspettando in continuazione il giorno in cui andrà meglio, in cui sarò la protagonista della festa, mi consuma. Stringe fino a soffocare. Galoppare verso un orizzonte che non si avvicina mai, correre di continuo senza sapere la direzione. Una brutta farfalla che sbatte, si frantuma le ali contro spessi vetri scheggiati. E chiedo perdono se non fa ridere, chiedo scusa fino all'ultima virgola se ogni mia parola sa esprimere solo dolore, ma l'attesa consuma tutto ciò che c'è di bello; tutto è continuamente cancellato per scrivere una nuova pagina di pianto. Ancora a gettare il sangue verso un futuro che non arriverà mai. Ancora a inventarsi speranze per andare avanti, a pungersi incessantemente con un ago per vedere se fa male. Tormentarsi, avvilirsi, andare a dormire la sera spegnendo la luce dicendo "dai che domani andrà meglio". Invece il mondo brilla senza di me e nonostante tutto non so smettere di fare luce, non so mettermi in un angolo senza lottare. Forse dentro me c'è un angolo buio che non vedo, in cui tra lo schifo dei pensieri che uccidono, radica ancora con convinzione l'idea che il domani arriverà, che se non smetto di sgomitare prima o poi le luci del palco punteranno su di me. Fino a quel momento, continueranno ad alternarsi risa e pianto, continuerà a bruciare quel fuoco che non so estinguere, né dimenticare.