Translate

domenica 21 febbraio 2016

Recensione: Amleto, di William Shakespeare

“Piccola” parentesi sui supereconomici Newton
Volevo innanzitutto spezzare una lancia in favore di questi opuscoli da 99 centesimi (non sia mai che finisca a dire 1 euro…) così tanto demonizzati da siti, blog e un po’ ovunque in giro per il web. Alla fin fine non comprendo la polemica: è ovvio che con un prezzo simile si vada a discapito della qualità e che sia una mossa di marketing volta a mettere in risalto solo tale editore rispetto agli altri che finiscono in difficoltà; però a parer mio, in Italia in cui i soldi non ci sono più e padri di famiglia si ammazzano perché senza lavoro non sanno più come sfamare i figli, sono una formula azzeccata. Persone in simili condizioni (non così lontane da noi, perché ormai è questa la realtà) se non trovano questo libricino non vanno certo a cercare la versione rilegata in pelle, scritta con la grafia di monaci amanuensi. La cultura non può e non deve diventare un bene per pochi e alla fine è cosa buona e giusta andare incontro alla gente; la qualità del libro non mi sembra la giusta inquadratura del problema in un paese dove ci s’impicca perché non c’è da mangiare, si va a sparare ai politici e per arrivare a fine mese si spacca il centesimo in due. Posso comprendere che il mercato editoriale non è così semplice e che uno scrittore non può a sua volta vivere d’aria, ma almeno con i grandi classici liberi da diritti d’autore, era giusto che qualcuno facesse qualcosa, perché se il produttore non va incontro al consumatore, il sapere rischia di tornare un privilegio d’ elité. Se non ci si adatta alle esigenze della gente che non può permettersi di comprare libri a 6/7 euro (che effettivamente non è una grande cifra, ma potrebbe ugualmente mettere in difficoltà qualcuno), c’è il potenziale pericolo di creare una massa d’ignoranti per cui il mondo della letteratura è troppo costoso. Molti, se Amleto non lo trovano a un euro, non lo vanno a cercare a 7; non lo comprano per niente (poi magari per Natale si fanno regalare 50 sfumature, ma su quella ferita preferirei non metterci il sale). E’ una perdita peggiore, quando per il prezzo troppo elevato di una bella copertina, si rifiutano il succo della cosa, il motore del mondo: le idee. Non sono nemmeno tanto certa che la possibilità di avere l’ebook gratis di certe opere risolva a pieno il problema, visto che molti sono ancora succubi al fascino della carta e non ne vogliono sapere del digitale, restando diffidenti. Ovvio è che tanto le edizioni più costose sono sempre lì a disposizione per chi opterà per una scelta un po’ più di classe, ma la possibilità di scelta, la variante economica, stavolta è stata davvero una mossa giusta e interessante.
Detto questo, chiudendo questo probabilmente esagerato appunto da libro Cuore, v’informo che io ho scelto Amleto, Le notti bianche e I racconti del terrore e, almeno con il primo (gli altri sono ancora da “testare”) mi sono trovata molto bene: certo è che la carta sembra quella sulla quale si mettono le patatine appena fritte per far scolare l’olio, ma non mi sono né rimaste pagine in mano, né ho visto l’ombra di polvere e ho apprezzato particolarmente l’idea di avere dei libri che potrei prestare sapendo già che non manderei colpi crudeli alla persona che magari poi non li restituisce o li riporta distrutti. Inoltre sono semplici da portare dietro e semplificano di gran lunga la vita a chi legge viaggiando.

Titolo: Amleto
Autore: William Shakespeare
Editore: Newton Compton editore
Prezzo: 0,99 €
Num. pagine:125
ISBN: 978-88-541-5149-9
Voto: 
Trama: 
Storia talmente studiata e ristudiata a scuola, che riterrò così ovvio che tutti la sappiano da riportare la versione integrale spoiler compresi e finale spiattellato con crudeltà: siete avvisati.
Amleto re di Danimarca muore in circostanze a dir poco misteriose, lasciando molto scontento il principe (che ha lo stesso nome). Il giovane è parecchio contrariato dal fatto che Gertrude, sua madre nonché vedova allegra, sia presto convolata a nozze col suo ex cognato Claudio. Egli così ottiene regno e moglie; quello che Amleto figlio non sa, è che proprio suo zio ha avvelenato suo padre con del veleno nell’orecchio mentre stava dormendo, ma successivamente sarà informato dallo spettro di quest’ultimo (visto prima dal suo amico Orazio, che lo avvisa) che gli racconterà l’accaduto, chiedendo vendetta. Da qui, Amleto il morto lo chiamerò Spettro e il figlio sarà semplicemente Amleto (è una distinzione che fa lo stesso Shakespeare, non sono io che mi diverto a dare soprannomi).
Amleto è pieno di rancore, ma in fin dei conti non sa come organizzare una vendetta; così si finge pazzo. Polonio, un alto dignitario, è convinto che la causa dell’uscita di senno siano i rifiuti che la sua bella figlia Ofelia ha rifilato ad Amleto nonostante ricambiasse, per prestare rispetto al padre che l’aveva messa in guardia; pertanto egli cercherà di dimostrare questo davanti al re. Amleto però alla fine, un po’ per proteggere l’amata un po’ per rendere credibile la sua pazzia, finge di averla presa in giro e afferma di essersi solo voluto “divertire”. Non sapendo come smascherare lo zio, il ragazzo fa mettere in scena da degli attori l’esatta replica del dramma vissuto in famiglia, per tenere d’occhio con l’aiuto del suo migliore amico Orazio le reazioni di Claudio. Reazioni che non tardano a mancare: egli, con puntualità millimetrica, (un perfetto giocatore di poker) giunta la scena in cui l’attore che lo impersona avvelena il sovrano precedente, scatta via come una molla e si rifiuta di assistere ancora al dramma. Sospetto?! Naaahh… comunque da lì anche Amleto si allontana seguendo Gertrude per rivolgerle le sue accuse, ma nella stanza viene inviato Polonio ad origliare dietro una tenda. Il poverino finisce infilzato da Amleto, che credeva di ammazzare un Claudio ben nascosto.
L’equivoco genera a sua volta il desiderio di vendetta altrui: Laerte, figlio di Polonio, era inviato altrove, ma torna apposta in Danimarca per trovare un colpevole e mettere fine alla vita di quest’ultimo. Nel frattempo, Ofelia, privata dell’amore e di un padre, si uccide. Il fratello, abile di scherma e ben disposto nel bramare sangue, asseconda il re nel suo piano per far fuori Amleto, precedentemente allontanato per essere ucciso, ma riuscito poi a tornare. Laerte pertanto accetta di sfidarsi a “colpi di spada” con lui, ma la sua arma ha la punta intinta nel veleno, in modo che anche una sola ferita inferta possa essere letale. Il re, per essere più certo della riuscita, avvelena uno dei calici, pensando di darlo a bere ad Amleto lungo il duello.
Durante il combattimento accade che il principe viene ferito, ma riesce ad entrare in possesso della spada di Laerte e lo ferisce con essa. Gertrude beve la coppa destinata a suo figlio, mentre il complice di Claudio confessa il grande inganno. Amleto costringe il re a bere anche lui dal calice avvelenato ed, essendo ormai tutti condannati a morte certa, affida il suo regno ad Orazio.

Recensione:
La parola d’ordine è vendetta, ma i temi del romanzo sono infinitamente di più; Shakespeare quando intinge la penna nell’inchiostro non lo fa mai per dire una cosa sola. Il discorso si amplia fino a diventare un gorgo, in cui la parola magica, vendetta, è solo la valvola d’innesco, il tappo che vien tolto per permettere al nulla d’inghiottire il mondo. Come se essa costituisse quell’unica particella di vuoto che incomincia a tirare a sè tutto il resto e senza accorgercene siamo risucchiati dal buco nero. Nulla è lasciato al caso e qualsiasi cosa accade aggancia e ne tira dietro tante altre come le tessere del domino. Affermo già che ho quasi più gradito Amleto di Romeo e Giulietta, perché c’è più spazialità; è più di ampio respiro e mostra una più inarrestabile, forte e padrona presenza della morte, che risalta già sovrana dalle prime pagine e getta la sua scheletrica mano su tutte le vicende. Questo autore mi fa quasi male a leggerlo, perché lo stile scarnificato del teatro, in cui ci sono solo battute e che forza i personaggi a fare introspezione ad alta voce, ti costringe a fermarti, riflettere, prendere le parti dell’uno o dell’altro come se invece di una storia si svolgesse una partita in cui fino all’ultimo vorresti aiutare quello per cui tifi.
Vi dico subito che l’unica vera vittima del dramma per me è Ofelia: può sembrare una presa di posizione un po’ bislacca, ma vi fornirò una spiegazione dettagliata di quanto affermo. Escludendo i personaggi secondari, Amleto perde il padre e invece di soffrire e basta come farebbe la maggior parte delle persone, decide di fare il giustiziere della situazione. Claudio è un caso a parte, Gertrude poteva perlomeno contare fino a dieci prima di rifarsi un marito tenendo conto (se non del suo sentimento e di una piccola cosina chiamata rispetto) perlomeno dell’emotività del figlio e fare da ago della bilancia, invece ha l’intelligenza e il tatto di un tappo di sughero. Polonio invece di pensare agli affari suoi ficca il naso dappertutto (non mi pare che nessuno gli avesse chiesto di tirare in ballo la figlia, si è chiamato in causa da solo quando il principe si è finto pazzo) e Laerte è un altro sanguinario. Ricapitolando, ci vengono offerti due V per vendetta, un traditore, una vedova allegra e poi prezzemolo che non può fare a meno di essere ovunque. Poi abbiamo anche il fedele Orazio, che da quanto ho capito ha la personalità fedele di un cane… altro di lui?! Boh, non so. Ah, dimenticavo Casper, che fino a che l’avevano ammazzato e stop aveva senso compatirlo, ma poi se ne va in giro a mettere il muso e aizzare un figlio instabile alla vendetta invece che fargli vivere sereno la propria vita… ma non potevi dire quello che dovevi e poi fare “pace a tutti” e sparire in un puf?! Nooo, troppo semplice. Ci mancava anche il re ripiccoso.
Dunque, ora in un simile zoo immaginate una ragazza semplice che crede nell’amore ed è attaccata alla famiglia e le vengono strappate entrambe le cose… e si uccide. Pone fine alla sua vita con lo stesso tatto, la delicatezza di un fiore che appassisce. Nei drammi Shakespeariani quando qualcuno tira le cuoia viene scritto senza enfasi né tanti complimenti, quasi fosse un appunto a margine a cui seguono i blablablabla del personaggio che sta abbandonando questo mondo (ovviamente chi, ferito a morte, non ha il fiato per rifilare alla gente le sue filippiche da venti minuti…). La dipartita di Ofelia invece, avviene senza troppo clamore, una foglia che cade. Non può che spezzare il cuore la sua dannazione, suscitare commozione, il sacrificio di una donna innamorata e risucchiata dal dolore, che cerca di resistere e alla fine si spezza.
…lassù, arrampicatasi per dedicare i suoi diademi di prato ai ramoscelli penduli, un giunto invidioso si spezzò; e quei trofei d’erba, ed ella stessa, caddero nel ruscello piangente. Le vesti si sparsero e gonfiarono a sostenerla, una sirena, mentre ella intonava arie di vecchie canzoni, come inconsapevole della sventura, o come creatura nata e vissuta in quell’elemento; ma non a lungo, e le vesti, appesantite d’acqua, la trassero giù, infelice, dal suo mormorio melodioso alla morte nel fango.
A me quest’immagine degli abiti che si gonfiano e poi repentinamente l’abbandonano al proprio destino, sinceramente ha messo i brividi. Profuma dei ricordi più inquietanti che hanno certi bimbi nei film horror. Lei se ne va rassegnata, senza tentennamenti, cantando, come se appartenesse già a cotale sorte e le acque del fiume la stessero già aspettando per liberarla dallo strazio della vita. Inutile dirlo, ma l’indifesa, povera Ofelia (come tutte le donne che soffrono troppo), mi è rimasta nel cuore.
Stesso spirito di sacrificio e amore profondo è quello che guida Gertrude, donna dalle mille virtù. Già dalle prime pagine, questo rapporto che stringe troppo in fretta, viene presentato con una certa ironia.
…Perciò la nostra sorella di ieri, oggi nostra regina, compagna d’imperio su questa nazione bellicosa, noi con gioia disperata, un occhio ilare e l’altro velato, mischiando quasi all’ufficio funebre la marcia nuziale, abbiamo preso per consorte.
E’ lo stesso re ad affermare che da un lato piangono ma dall’altro ridono già… e lei è una debole: il figlio prende a insultarla dall’inizio del libro e continua imperterrito per tutto lo svolgimento della trama. Non una parola di comprensione (se possibile) per la povera vecchia madre. Ma cosa avrà fatto mai di tanto grave?! Andiamo ad analizzare le sue mosse. Il marito muore in circostanze misteriose e lei, invece di cercare di vederci chiaro, tiene gli ormoni in freezer per un tempo determinato (che fidatevi, non si capisce quanto ne sia) fino a che non resiste più, li scongela e sposa chi?! Di tutta la gente che passeggia nel mondo, tò chi c’è?! Proprio il fratello del defunto marito, guarda tu le coincidenze… ovviamente non la si può definire una donna di polso nemmeno nel difendere la propria posizione, visto che a un certo punto Amleto la mette di fronte a tutte le sue colpe e lei, forse rendendosi conto che qualche cavolata in effetti l’ha fatta, chiede solo al figlio di essere clemente. Secondo me non ha capito di aver sposato un omuncolo nemmeno dopo aver bevuto il veleno della coppa.
Amleto o Claudio?! Ma si, apriamo una pietosa parentesi su questo marito, che a quanto pare a una certa si è anche pentito di ciò che ha fatto, tanto che arriva a volgere la sua preghiera al cielo…. dopo di che è pronto a spedire il “figlio” altrove e farlo uccidere. La perfetta immagine del pentimento, non c’è che dire.
Ma ora volgiamo lo sguardo alla star dello show, causa, motore, svolgimento del tutto.
Amleto di certo non manca d’intelligenza e sarcasmo, anzi è un giovane dalla lingua piuttosto biforcuta e tagliente. L’unica cosa certa è che non fa alcuna fatica a fingersi pazzo, anzi, forse pena di più a fingersi normale.
AMLETO: Pensiero stimolante, giacere tra le cosce di una fanciulla
E questo era tanto per darvi un assaggio. Quello che perlopiù dispiace, è che quella personalità così viva, accattivante, l’intero prorompente fascino della sua dialettica, va tutto a confluire nel dramma, nel dolore, così lancinante, straziante, da non dargli pace. Lui butta via tutta la sua incantevole persona, in onore di una perdita, di una sofferenza così offuscante da arderlo vivo.
AMLETO: Se questa troppo, troppo solida carne potesse fondere, evaporare, ricadere in rugiada! Se l’Eterno contro il suicidio non avesse eretto la sua legge! Dio! Mio Dio! Come tedioso, vuoto, stantio, sterile, mi è il mondo con tutti i suoi usi.
Questa brutalità delle emozioni ti si attacca addosso, ti si pianta dentro e ti getta radici nell’anima. Purtroppo non so trovarlo un personaggio positivo, perché non fa altro che demolire il tutto. A leggere le parole riportate sopra a chiunque scapperebbe un “ma poverino…”, a me no; ha perso qualcosa d’importante e allora per farla completa distrugge, sfascia, trita, getta al macero il resto, come se non avesse la minima importanza. Tra l’altro, il suo atteggiamento verso la madre, da un lato è perfettamente giustificabile, dall’altro è capriccioso. Nemmeno ha ancora incontrato lo spettro, che già commenta negativamente il matrimonio, riducendo al minimo il tempo atteso dalla madre per trovare un altro coniuge: lui dice che è morto da nemmeno un mese, ma a sentire Ofelia, Spettro è sepolto da almeno quattro. Ciò mi fa pensare che il principino si sarebbe stranito anche se fossero passati cinque anni e Claudio fosse un brav’uomo che non ha assassinato nessuno non imparentato con loro. Il suo strazio è a prescindere, assoluto, basta ed è fine a sé stesso. Il ragazzo ce l’ha un po’ con tutti.
Per certi versi lo faccio profondo tanto quanto ipocrita; si fa portatore di valori come l’amicizia, l’amore, che egli stesso non rispetta. Infatti il sentimento verso Ofelia, nonostante un attimo prima ci fosse, lo nega completamente, viene calpestato; intanto però, per incastrare zio e madre, fa recitare una bella parte agli attori, un dialogo dallo straordinario tormento e profondità stilato da lui stesso e mi chiedo quasi se ci crede davvero.
REGINA: Motivo di un secondo matrimonio
sarebbe convenienza, amore no.
Un’altra volta uccido il mio diletto
se da un altro mi fo baciare in letto.
RE: Io credo che tu pensi quel che dici,
ma proposito e atto son nemici.
L’intenzione è schiava di memoria,
di nascita violenta e breve vita.
(…) ciò che alla calda passione giuriamo,
spento il fuoco, è documento di cenere.
(…) La fuga degli amici
per il grande che cade è gran dolore,
e amici sono a chi sorge i nemici.
Mai mancherà d’amici chi non manca,
ma in bisogno chi chiede ad un amico
immantinente se ne fa un nemico.
E per finire dove cominciai,
destino e volontà son così avversi
che i nostri piani spesso vanno persi:
nostri i pensieri, gli esiti mai.
Qui ti ripugna un secondo marito,
che poi ti avrà, il primo dipartito.
E per fortuna che dice ad Ofelia che non sa fare le rime! Amleto si lamenta dei tradimenti, pretende la lealtà altrui, ma a lui gira e rigira, interessa solo la vendetta e per quella volta la faccia al mondo intero. Il ragazzo lo vedo un pochino arrivista, come se la vendetta, più che una dimostrazione d’affetto nei confronti del padre, fosse in realtà un obiettivo da perseguire a tutti i costi, macinando in mezzo persone che non c’entravano nulla; anche lo stesso Orazio, l’emblema dell’amico insostituibile, mi sembra un po’ strumentalizzato da Amleto durante la storia.
E’ il personaggio che senza dubbio più degli altri si evolve, subisce una metamorfosi negativa per colpa del dolore. Ne consegue un brusco calo della sensibilità, un’empatia che si autoalimenta nel compatirsi ed utilizza il prossimo come meglio può, o perlomeno non protegge le persone amate e le espone ad altra sofferenza.
Salvo il classico “Essere, non essere”, che comunque è una riflessione da brividi, ci sono espressioni che raggelano e portano ogni persona a guardarsi dentro, magari in quei punti scomodi che non avrebbe mai voluto illuminare.
Dentro la fiamma stessa dell’amore c’è uno stoppaccio che la consuma
Vergogna, dov’è il tuo rossore? Ribellione d’inferno, se puoi ammutinarti nelle ossa di una matrona, sia la virtù cera che fonde all’incendio della giovinezza; via il pudore, quando l’istinto comanda, poiché la stessa neve brucia furiosamente, e l’intelletto fa da mezzano alla volontà.
Più nello specifico, Amleto (l’opera) è un viaggio nell’essere umano che va a guardare con attenzione alle infinite sfaccettature del dolore e alle sue conseguenze, all’imprevedibilità del comportamenti di ciascuno quando è attanagliato dalla sofferenza tanto da non saper più come respirare.
In sostanza, si tratta di un’opera che tutto condanna e tutto assolve, in cui le effettive colpe dipendono sempre dal punto di vista da cui le si guarda, dalla pelle del personaggio che ci entusiasma di più.
E con questa recensione chilometrica ho finalmente scoperto cosa si prova ad essere Ewan, ho perso tre Kg solo a scriverla e vi saluto, consigliando il libro a tutti (visto il prezzo che non vi manderà in fallimento) e soprattutto a chi ha voglia di riflettere sull’esistenza e le sue fragilità.

Nessun commento:

Posta un commento