Un talentuoso detective del paranormale
nonché docente di psicologia, Philip Goodman, intenzionato a smascherare i
sensitivi fasulli è all'opera. Tremate gente, tremate!
Egli riceve una lettera che lo chiama a
risolvere tre casi molto molto misteriosi... ne vedremo delle belle.
Interpretazioni sensazionali, come
anche quella di Andy Nyman che però trovo venga a un certo punto
oscurata da quella di Martin Freeman e Alex Lawther, che lasciano di stucco, sono sensazionali.
Il caro vecchio Martin l'abbiamo visto ovunque, è inutile rifilarvi una lista immensa di film. Divertente, accattivante, qui in aggiunta a tutto il pacchetto, ci mostra un lato molto folle e inquietante. Il suo stile recitativo improntato sulla buona parlantina e i modi di fare scenico/teatrali, lo portano in scioltezza a condurci verso situazioni che ci lasceranno a bocca aperta... ma lui nel frattempo non si è spettinato nemmeno un capello. È puntiglioso, millimetrico, mai un gesto azzardato o una parola di troppo e così facendo tiene in piedi gran parte del film.
Alex lo abbiamo conosciuto in "The Imitation Game" e in "The End of the F***ing World", qui ci guida nella seconda storia in un modo tutto suo. Questo ragazzo farà strada, credo che piano piano conquisterà il mondo e tutti i ruoli da psicopatico che potranno mai assegnare a qualcuno da qui ai prossimi 40 anni. Ha un talento innato nell'interpretare personaggi in qualche modo disturbati, che nemmeno rende allo stesso modo, ma di volta in volta caratterizza a seconda del ruolo. Alex Lawther sul set non è uno: è tanti. Potrebbe interpretare vostro cugino (se al cugino piace ammazzare la gente o fare cose strane) e voi non notereste differenza alcuna. In "The End of the F***ing World" lo avevamo già scoperto nel ruolo di un giovane problematico, ma non lo è mai come in questo film, in cui rende tutt'altro tipo di disturbo con una mimica facciale da brividi.
Il caro vecchio Martin l'abbiamo visto ovunque, è inutile rifilarvi una lista immensa di film. Divertente, accattivante, qui in aggiunta a tutto il pacchetto, ci mostra un lato molto folle e inquietante. Il suo stile recitativo improntato sulla buona parlantina e i modi di fare scenico/teatrali, lo portano in scioltezza a condurci verso situazioni che ci lasceranno a bocca aperta... ma lui nel frattempo non si è spettinato nemmeno un capello. È puntiglioso, millimetrico, mai un gesto azzardato o una parola di troppo e così facendo tiene in piedi gran parte del film.
Alex lo abbiamo conosciuto in "The Imitation Game" e in "The End of the F***ing World", qui ci guida nella seconda storia in un modo tutto suo. Questo ragazzo farà strada, credo che piano piano conquisterà il mondo e tutti i ruoli da psicopatico che potranno mai assegnare a qualcuno da qui ai prossimi 40 anni. Ha un talento innato nell'interpretare personaggi in qualche modo disturbati, che nemmeno rende allo stesso modo, ma di volta in volta caratterizza a seconda del ruolo. Alex Lawther sul set non è uno: è tanti. Potrebbe interpretare vostro cugino (se al cugino piace ammazzare la gente o fare cose strane) e voi non notereste differenza alcuna. In "The End of the F***ing World" lo avevamo già scoperto nel ruolo di un giovane problematico, ma non lo è mai come in questo film, in cui rende tutt'altro tipo di disturbo con una mimica facciale da brividi.
Non sottovalutate "Ghost Stories",
perché colpisce a tradimento. Le tre vicende sono una più
inquietante dell'altra e il finale vi lascerà semplicemente di
stucco in tutti i sensi. Tra l'altro scorgo raramente negli horror un
finale ben definito laddove nel mezzo della narrazione non si capisca cosa succede.
Abbiamo un'ultima parola che non è aperta, ma tuttavia non chiude il film, nel senso che è proprio a quel punto che dovremmo porci molte domande.
Abbiamo un'ultima parola che non è aperta, ma tuttavia non chiude il film, nel senso che è proprio a quel punto che dovremmo porci molte domande.
Il paranormale si può spiegare secondo voi?
Scorreranno i titoli di coda senza aver ricevuto una risposta, come se si rimettesse la decisione di crederci o meno nelle mani dello spettatore, come se fosse un quesito troppo intimo e personale a cui non si può dare una definizione per gli altri: ciascuno è costretto a fare un lavoro su se stesso e a compiere la sua scelta.
Scorreranno i titoli di coda senza aver ricevuto una risposta, come se si rimettesse la decisione di crederci o meno nelle mani dello spettatore, come se fosse un quesito troppo intimo e personale a cui non si può dare una definizione per gli altri: ciascuno è costretto a fare un lavoro su se stesso e a compiere la sua scelta.
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