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venerdì 30 giugno 2017

Recensione: La Rabbia e l'Orgoglio, Oriana Fallaci

Titolo: La Rabbie e l’OrgoglioAutore: Oriana FallaciEditore: BUR RizzoliAnno: 2001Prezzo: 10 €Num. pagine:161ISBN:978-88-17-03560-6
Trama:
In principio doveva essere un’intervista alla giornalista da pubblicare sul Corriere Della Sera, ma poi nasce un articolo, creato quasi sotto supplica del direttore del giornale, che speranzoso si è recato a casa della Fallaci a New York, per contrattare con lei. Per convincerla a spezzare il silenzio d’indignazione durato dieci anni. E ci riesce.
Ciò che le fa scattare la molla per esplodere,  per scrivere di nuovo, è l’indignazione,  lo schifo provato nei confronti di chi se la ride. Le Torri Gemelle crollano inghiottendo anime a bizzeffe, e qualcuno ne è felice. Così Oriana decide di farsi sentire, di far tuonare le sue idee riguardo l’attentato dell’11 settembre, e più che un articolo di poche pagine esce fuori un piccolo libro, che sgomita per essere letto, occupando spazi sul giornale che non erano adibiti ad esso. E buca. Il sermone buca i cuori degli occidentali, tanto che accadono fenomeni strani : chi fotocopia quella ventina di pagine e le distribuisce con entusiasmo per strada, chi compra il giornale una trentina di volte e fa la stessa cosa e chissà perché. Forse perché almeno per un attimo ha svegliato il patriottismo di qualcuno. Forse qualcuno, dopo averlo letto, voleva scuotere l’identità nazionale sopita, lo spirito critico comune addormentato. Direi che c’è riuscita e ha fatto anche di più, smuovendo un incredibile polverone di risposte, polemiche, complimenti.
Il testo uscito sul Corriere Della Sera, altro non è che una versione abbreviata, tagliata, in un certo senso “violata” della stesura effettiva, troppo estesa, per cui viene successivamente pubblicato un libro vero e proprio. Ed eccoci qui.
Recensione:
Non ricordo neppure se certe cose le ho viste sulla prima Torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi o centesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute. A dozzine. Sì, a dozzine. E venivano giù così lentamente. Così lentamente… Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell’aria. Sì, sembravano nuotare nell’aria. E non arrivavano mai.

Lei lo chiama sermone. Alcuni lo vedono come un “manifesto razzista”, o perlomeno polemico. Per me è semplicemente di fuoco, qualcosa che va tenuto con le pinze per non scottarsi troppo, da cui prendere distanza perché fa paura. Ma deve far paura, lo scopo è quello. E’ stato concepito così.
L’11 settembre 2001 è una data che segna un evento storico particolare per la mia generazione: non si è trattato di studiarlo in modo impersonale, togliere la muffa da qualche vecchio librone, leggere e sottolineare. E’ stato di più; una disgrazia riguardo la quale ognuno di noi può dire in qualche modo “io c’ero” e riportare alla mente racconti, ricordi vivi.
Io ad esempio avevo dieci anni. Saranno state le tre di pomeriggio, o le quattro e guardavo la tv mentre facevo i compiti. Con una certa ingenuità mi chiesi perché mai avessero troncato a metà il cartone animato. Poi le vidi. Non è stata indelebile tanto la dinamica (quale aereo abbia colpito quale torre, dettagli che lasciano ampio spunto ai complottisti d’introdurre le proprie congetture), quanto le singole scene. Come se la mia memoria avesse assimilato spezzoni confusi e smangiucchiati.
Boccate di fumo che invadono una torre. Tanto fumo che ricordava vagamente la nuvola densa, il funghetto di quando sganciano una bomba atomica, quel “leggero” sentore d’apocalisse. E poi passò del tempo, troppo, in cui la gente non sapeva che fare per salvarsi da quell’inferno… allora si buttava giù. Lì per lì non era tanto lontano da un cartone animato, da un videogioco, vedere un omino piccolo piccolo che cadendo a piombino fende l’aria. Però ci mette troppo. Un’enorme quantità di secondi impiegati per sfracellarsi al suolo e più il macabro conto alla rovescia corre, più cominci a realizzare l’inquietudine, la morte, la disperazione. Gente che fa voli infiniti per porre fine all’attesa, perché la paura e l’angoscia fanno quasi più male del buttarsi giù. Poi niente, c’è l’edificio che crolla su sé stesso con quasi perfetta verticalità, senza ben capire che diamine fosse successo, perché neanche si era finita a consumare la tragedia, che già giravano diverse versioni dell’accaduto.
Si dice che i bambini siano spensierati e non capiscano tante cose, eppure alcune di esse mi si sono incise dentro, come il fatto che molti, prima di abbandonare il mondo dilaniati dal fuoco, si siano lasciati andare a messaggi d’addio. “Ti voglio bene, ti amo”, addii che nessuno lì per lì avrebbe capito, fin quando accendendo la tv non avrebbe visto l’edificio in cui il suo famigliare lavorava, raso al suolo.
Non mi è sfuggito nemmeno che la vicenda  nel tempo ha consumato altre persone, come le squadre di soccorso, con tutti i cani. Beh, quelle squadre, cani compresi, hanno assimilato tanto di quello schifo tra polveri ecc, che nel tempo se li è portati via uno ad uno qualche tumore. Eroi taciti, vittime senza voce, ma reali quanto quelle che abbiamo visto con clamore vaporizzarsi in tv.
Ad ogni modo non poteva limitarsi a questo. Oriana Fallaci se doveva mettersi al tavolo per scrivere un promemoria “cari ragazzi, oggi è successa una cosa tristissima” , un resoconto, non ci avrebbe nemmeno stappato la penna. Lei si è sempre fermata un passo in là rispetto agli altri, non si è mai risparmiata e anche stavolta si è spinta oltre. E’ sempre stata solita sporcare il foglio a morte, pertanto la sua narrazione, la versione dei fatti per così dire, altro non è che una parentesi di un discorso dal tema più ampio. Il tutto diventa un saggio più grande, sull’immigrazione e l’attrito con la cultura musulmana.
Il succo della questione è il seguente: i musulmani ci uccideranno tutti?! Beh, io spero di no, e sinceramente se lo augurano in molti. Le affermazioni di Oriana tuttavia danno da pensare. Certi racconti, citazioni e dati riguardanti la cultura musulmana sono per certi versi agghiaccianti. Lo stralcio che vi riporto è quasi leggero, all’acqua di rose rispetto all’intero discorso.
Durante un sinodo che il Vaticano tenne a Smirne nell’ottobre del 1999 per discutere i rapporti tra cristiani e musulmani un eminente musulmano si rivolse ai partecipanti cattolici dicendo:
<<Attraverso la vostra democrazia vi invaderemo. Attraverso la vostra religione vi domineremo>>.
Da qui parte l’accusa “razzista, razzista” e si solleva il polverone sopra citato. Perché lei non approvava questa immigrazione in Italia, dove i giovani musulmani vengono educati secondo il Corano nelle moschee qui da noi costruite. Da qui nasce il timore di un’ “invasione silenziosa”, camuffata da immigrazione pacifica, come un virus che attende solo di esplodere. Si snoda la rabbia verso una cultura che non permette una diversa visione delle cose, per cui tutto è bianco o nero. E ce n’è anche per noi, per l’Europa. Ha un discorsetto un po’ per tutti. Soprattutto per la pubblica opinione che si contraddice, che addita e per mostrarsi misericordiosa si fa le cosiddette “Vacanze Pericolose” mettendosi una mascherina visitando il Ground Zero. Ne ha per i politici, per gli occidentali e soprattutto per gli italiani e  la loro indulgenza.
Oltre le polemiche e le accuse d’ipocrisia, c’è  una parentesi interessante riguardante l’immigrazione in Italia, in cui spiega perché non è possibile accogliere gli stranieri com’è stato in America anni e anni fa. Parla di un’ Italia troppo piccola, sovrappopolata  , dalla cultura profondamente radicata che ha resistito alle varie invasioni, mentre in sostanza il continente americano ha un’identità mista. Esso, inizialmente spopolato, si è riempito con le varie etnie, lo stesso Lincoln aveva incoraggiato l’immigrazione. Un mosaico ben riuscito di culture, in cui ciascuna conserva la sua identità. L’Italia invece è già un blocco unico, impossibile da scindere o scomporre.
Inoltre l’Italia non si è mai fusa con gli invasori che la occupavano, la smembravano, la straziavano. (…)
A forza di andarci a letto per amore o stupro o matrimonio, ha assunto molte delle loro caratteristiche sociali, sì. (…)
Però culturalmente non si è mai lasciata inghiottire da loro. Al contrario, li ha sempre assorbiti come una spugna che succhia il liquido nel quale è immersa.

In conclusione, è intenso. Estremamente intenso, nudo, crudo e senza fronzoli. Un libro da lei profondamente sentito, che mi ha lasciato dentro molte, forse troppe domande e perplessità. Parole che fanno tremare le gambe dallo sbigottimento, dalla paura.
Diciamo che le sue parole, di speranza ne lasciano ben poca, se non quella di prendere il forcone e “cacciare l’invasore”. Però in un certo senso voglio essere ingenua e chiudere con una riflessione: alla luce di un 2013 in cui alcune donne a portare il velo non ci stanno più, in cui ragazze ci hanno rimesso la vita per voler vivere da occidentali ed alcune grazie a un diverso modo di pensare dei genitori ci sono pure riuscite, siamo davvero sicuri che non si possa costruire un mondo migliore, fare scelte diverse da quelle di morte e distruzione volute fin troppe volte nel corso della storia?!
Siamo davvero certi di non voler essere una generazione migliore?!
J’accuse, io accuso, gli occidentali di non avere passione. Di vivere senza passione, di non combattere, di non difendersi, di fare i collaborazionisti per mancanza di passione.

Nonostante il mio pensiero che va fuori dal binario, ho apprezzato proprio questa passione, carica, la rabbia, il non avere paura e il non fermarsi davanti a nulla. Sapete, non tutti al giorno d’oggi sono disposti a difendere fino alla fine le proprie idee. In questo mondo sono pochi ad avere le palle, nessuno è disposto a rischiare un pelo di più, uscire dallo schema delle proprie sicurezze, per dire la sua.

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