Translate

martedì 15 gennaio 2019

"Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità" e anche oltre.



Molti biopic sono intimi in quanto narrano la vita di una persona, ma raramente lo sono così tanto. 
Questo è un film sublime, ma non è per tutti con le sue atmosfere lente e deliranti e non è nemmeno un semplice racconto. Assomiglia a una danza degli spiriti, dove i fantasmi volteggiano, si accarezzano, si abbracciano per poi allontanarsi di nuovo e poi divenire tempesta.
È un tripudio di colori violenti gettati su una tela in maniera spasmodica e istintiva, senza pensare e nel contempo la storia di un uomo che ogni volta in cui si perde e si allontana dagli altri, trova un pezzo di se stesso ma nel contempo non ha più il concetto di realtà. 
Non ci troviamo in una storia ma in una tela sfregiata: non ci poteva essere miglior tributo alla vita di un artista rifiutato, disprezzato, attaccato dalla gente comune che non poteva arrivare a capire il suo genio. 
Gli eventi si snocciolano lenti, cadenzati, come foglie che si abbandonano al suolo, accompagnate da una musica morbida ma insidiosa e invadente, con un volume troppo alto per permettere di vedere questo film lucidamente. Con note così alte e violente da stordire, ferire, uccidere colui che guarda e improvvisamente non guarda più soltanto, perché è trascinato ad essere testimone di quanto accaduto. Testimone del male perpetrato su di un individuo solo, dalla personalità instabile, considerato pazzo ma non è mai stato lui quello realmente pericoloso. È la gente cosiddetta "normale" a farci spaventosamente paura per freddezza e scarsa umanità, è l'ordinario che dilania un'anima eletta fino a farla appassire.
Willem Dafoe ha dato tutto se stesso, fino a smettere di esserlo. Non percepiamo mai un attore che recita la parte di un pittore tormentato, anzi si è fatto egli stesso dolore e tormento, si è vestito di un'angoscia lacerante fino a farsi pervadere. Lui è stato Van Gogh dal primo all'ultimo secondo del film e gliene sono profondamente grata. Egli per primo si è innamorato della natura fino a perdersi in essa e ci ha immersi in ambienti freddi, privi di calore umano, con una luce gelida e violenta filtrata dalle fronde giallissime degli alberi, scossi dal vento crudele come mani che bussano a porte perennemente chiuse dall'egoismo. Nulla mi toglierà dalla testa quegli occhi azzurrissimi e spiritati, inghiottiti dalla pazzia eppure completamente lucidi. È stato emozionante anche solo fissare i primi piani dell'attore in silenzio, come se fosse capace di leggere i segreti del mondo, come se potesse raccontarli a tutti. 
Il nostro eroe è di un altro pianeta e la sua vita non è un elenco di azioni svolte: è sudore, dolore, pennellate di sangue che poco prima di cadere si fanno gialle di luce. Quella luce tanto rincorsa e mai trovata con occhi che vedono oltre, visione enfatizzata da una sfocatura dell'inquadratura dalla forma di un'ipotetica linea di orizzonte. La prorompente ricorrenza del giallo che tanto lo appassionava, è stata causa del suo male perché la tinta veniva fabbricata con il piombo e noi riscontriamo questa tinta ovunque: nei quadri, nella natura, sulle pareti della casa in cui l'artista era solito dipingere. 


Scegliere la tinta preferita sbagliata conduce alla follia e lo capiamo dal momento in cui notiamo la profonda differenza con il disinvolto e sfacciato personaggio di Gauguin, con la passione per il caldo e suadente rosso, che si pone sì come un uomo rivoluzionario, ma decisamente più bilanciato. Interpretato da Oscar Isaac come un enigmatico anticonformista tendente al perfezionismo, non arriva mai a farsi conoscere davvero, perché giunge a noi con una certa lontananza emotiva. Lo scopriamo secondo lo sguardo di Van Gogh, completamente ipnotizzato dalla sua figura ma che lo percepisce continuamente distante, come una fugace apparizione. Come un lampo destinato poi ad essere divorato nuovamente dal buio della solitudine e della notte. Gauguin è pretenzioso, molto critico e non esita mai a mettere in discussione il suo amico fino all'ultimo. Lui stesso si pone come una pennellata nervosa nella vita dell'altro, come se con la perfezione volesse risolvere il proprio caos interiore.
Decisamente più decifrabile e fonte di stabilità per il protagonista, è il fratello Theo (Rupert Friend) che da sempre decide di sostenerlo in qualsiasi modo, non prestando il benché minimo ascolto a tutto ciò che la gente gli racconta, o meglio ascolta ma sempre cercando una soluzione a ciascun problema.
Altro intervento memorabile è quello di Mads Mikkelsen nei panni di un uomo di fede molto particolare, che avrà una discussione interessante con Van Gogh riguardo Dio e il suo grande piano.
"Van Gogh. Sulla soglia dell'eternità" si rivela completamente aderente all'anima dell'uomo/ pazzo / genio /artista e ci mette in guardia sul non vedere solo la sfaccettatura più comoda per noi, perché la sua personalità è unica e inscindibile. Fornisce anche una rivelazione molto importante: nemmeno un pazzo giunge ad essere dannoso quanto l'ignoranza e la mediocrità.

4 commenti:

  1. Ottima recensione, è uno di quei film che prima o poi devo vedere!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti ringrazio! Prende al cuore, è una storia spettacolare soprattutto per la maniera in cui è raccontata.

      Elimina
  2. questo attore gioca in un sacco di https://altadefinizioneita.co/ film. Peter Wanhuten, avversario di Spider Man.

    RispondiElimina