Serie assolutamente imperdibile, mi ha conquistata al punto tale da divenire la mia preferita.
"The Young Pope", creatura che ha visto la luce grazie a Paolo Sorrentino, non segue le regole: le rompe, le crea. Una stagione breve ma intensa che genera sulle prime sconforto e curiosità, ma alla lunga offrirà fondamentali spunti di riflessione dai quali nessuno è esente.
La prima immagine contraddittoria e agghiacciante ce l'abbiamo già dalla sigla: il fascino pericoloso di Jude Law nel ruolo di Lenny Belardo, incartato con delicate vesti bianche, mentre ammiccando attraversa un corridoio pieno di quadri. Una meteora intanto lo accompagna percorrendo le immagini, arroventandosi man mano, dando fuoco ad ogni cosa per poi rovinare drammaticamente diventando tridimensionale, concretizzandosi all'interno de "La nona ora", scultura in cui papa Giovanni Paolo II è atterrato dal corpo celeste.
Così si dà il via allo show dai toni talvolta elettronici e cupi, talvolta addolciti dalle voci di Nada e Venditti, da cui emerge un santo padre giovanissimo, bello come Gesù che promette, a detta dei cardinali che lo hanno votato, di essere un ponte tra l'innovativo e il conservatore. Non hanno la più pallida idea di quanto in realtà abbiano sbagliato di grosso. Un piccolo indizio lo fornisce egli stesso con il nome prettamente conservatore scelto dopo l'elezione: Pio XIII.
Non sono mai stata una gran fan di Jude Law, ma lo sto diventando dopo la sua presenza in "King Arthur- Il potere della spada" e questa interpretazione immensa. Egli è capace di mantenersi costantemente in bilico tra una sensualità prepotente e una compostezza clericale, per cui risulta attraente in maniera sfacciata senza perdere credibilità nel suo ruolo. La sua naturale predisposizione al flirt è come soppressa da un'inavvicinabilità, da una freddezza caratteriale che ne nasconde i tratti e li disperde. Infatti il papa non si spingerà mai, per quanto tentato, in relazioni terrene.
Il giovane Lenny si rivela un individuo scostante, altero, assolutamente refrattario al compromesso e alla comprensione. Scende in campo un "papa bambino" dalla componente narcisistica -dovuta all'abbandono dei suoi genitori presso un convento- spropositata, capace di rendere fin da subito i rapporti chiesa-fedeli impossibili, negando la sua immagine pubblicamente ed esordendo con omelie al limite del raccapricciante. Supportato dalla fedelissima suor Mary che lo ha cresciuto -nota a tutti per le raffinatissime maglie da notte e non aggiungo altro-, ella è fermamente convinta della santità del suo pupillo, caratteristica di cui ci sfuggirà il senso minimo minimo per almeno le prime sei puntate, finché non avremo dei colpi di scena capaci di lasciare perplesso anche un veggente.
Il caro Lenny si trascina dietro troppi dissensi per non ottenere da subito dei veri e propri antagonisti, come il cardinale Angelo Voiello che è la sue esatta contrapposizione, in quanto più che un ragazzo affascinante e carismatico -parliamo di Jude Law- ricordi più una macchietta, qualcuno uscito dalla satira: egli tenta di mostrare il suo potere da manipolatore/ricattatore, ma è sempre poco realistico nel costumino da spia, perché resta impresso a tutti come l'omino buffo che si fissa davanti alle rotondità della venere nell'ufficio del papa, che tifa il Napoli, s'innamora di suor Mary ma di contro è l'amorevole babysitter di un ragazzo disabile. Evoca l'immagine di un uomo molto terreno, ma profondamente sensibile, umano e questa dualità è emblematica per ogni personaggio, che viene scavato fino a tirarne fuori le debolezze più recondite o la natura più turbolenta.
Sorrentino ci sbatte in faccia un concetto difficile da digerire: la Chiesa è imperfetta perché formata da uomini che sono capaci fin troppo bene di peccare. A rafforzare tal concetto giunge subito l'amico più affezionato di Lenny, cardinale Andrew Dussolier, dalla coscienza più che funzionante, capace sia di grande altruismo, sia di cadere in relazioni che non sono permesse a un prete. Altro esempio contraddittorio è quello del cardinale Bernardo Gutierrez, tendenzialmente un buono, ma prigioniero dell'alcolismo.
L'unico che sembra fuori da questo strambo circo tuttavia si mantiene sempre nell'ombra, in disparte e non riusciamo ad inquadrarlo, ma è giusto che il cardinale Michael Spencer resti fuori focus: doveva essere lui il papa e per tutto il tempo non fa altro che cercare di far entrare in testa a Belardo che sta sbagliando atteggiamento.
In un contesto di peccati su peccati, il papa sembra esente da queste imperfezioni, ma è una buona persona o la totale mancanza d'indulgenza verso se stesso, lo ha reso incapace di provare empatia nei confronti degli altri? Lenny è un santo o un impostore?
È difficile rispondere a questa domanda, perché a una personalità narcisistica dal livello preoccupante, dovuta all'abbandono da parte dei genitori che non smetterà mai di cercare tra la folla e nei ricordi, Sorrentino antepone in maniera insidiosa i fatti: veri e propri miracoli compiuti dal nostro inquietante protagonista, perché sembra proprio che nonostante ciò, Dio lo ascolti e poi come.
Abbiamo un papa che si nega, che costringe la Chiesa alla chiusura, che terrorizza il credente invece di accoglierlo, che punisce severamente ancor prima di perdonare, che spedisce i cardinali in Alaska/ Siberia e simili; poi fa tornare fertile la sua pupilla - la moglie di una guardia svizzera che gli ricorda tanto la sua unica fidanzata- in precedenza dal grembo arido come il deserto e scopriamo che da ragazzino ha guarito la madre morente di un suo amico. Egli compie anche un terzo miracolo ma come la figura di Lenny è anch'esso pieno di contraddizioni: è giusto pregare Dio affinché uccida una suora perché ricatta i poveri del suo villaggio in Africa, negandogli l'acqua? Non c'è dubbio che le sue suppliche siano state esaudite, ma è davvero questa la giustizia?
Bastano i fatti a creare un santo o ci vuole anche una coerenza comportamentale?
Nonostante le sue gesta egli sembra comunque incapace di provare un reale attaccamento per gli esseri umani; l'unico legame vero, seppur contorto, lo prova verso Dio, su cui proietta la famiglia che non ha mai avuto. Belardo è un papa che si presenta come impossibile da amare davvero eppure è problematico odiarlo, ci si sente quasi in colpa a negargli affetto dopo aver percorso insieme a lui le sue debolezze, mancanze, sofferenze. Costantemente in bilico tra l'adulto privo di pietà e il bambino che si diverte a impartire ordini al canguro affinché saltelli, egli resta incollocabile poiché poteva essere il peggior pontefice che la Chiesa abbia mai avuto, ma emana vaghi sprazzi di luce per cui ad ogni modo il peggio che promette non si concretizza davvero. Il panico iniziale si sostituisce via via alla malinconia di una vita che avrebbe potuto essere in tanti altri modi, ma si è chiusa dietro al dolore di un affetto mai ricevuto e ne ha fatto una bizzarra missione punitiva verso il prossimo.
Nonostante tutto non riusciamo ad essere estranei a quella sofferenza urlante: che Sorrentino abbia voluto fin dall'inizio condurci ad empatizzare con una personalità disturbata? Può darsi, o forse lo ha fatto tanto perché poteva permetterselo, come spiega quando gli viene chiesto il significato della presenza dell'animaletto australiano. Avrebbe comunque ragione: dopo la creazione di una serie simile, può permettersi questo ed altro.
"The Young Pope", creatura che ha visto la luce grazie a Paolo Sorrentino, non segue le regole: le rompe, le crea. Una stagione breve ma intensa che genera sulle prime sconforto e curiosità, ma alla lunga offrirà fondamentali spunti di riflessione dai quali nessuno è esente.
La prima immagine contraddittoria e agghiacciante ce l'abbiamo già dalla sigla: il fascino pericoloso di Jude Law nel ruolo di Lenny Belardo, incartato con delicate vesti bianche, mentre ammiccando attraversa un corridoio pieno di quadri. Una meteora intanto lo accompagna percorrendo le immagini, arroventandosi man mano, dando fuoco ad ogni cosa per poi rovinare drammaticamente diventando tridimensionale, concretizzandosi all'interno de "La nona ora", scultura in cui papa Giovanni Paolo II è atterrato dal corpo celeste.
Così si dà il via allo show dai toni talvolta elettronici e cupi, talvolta addolciti dalle voci di Nada e Venditti, da cui emerge un santo padre giovanissimo, bello come Gesù che promette, a detta dei cardinali che lo hanno votato, di essere un ponte tra l'innovativo e il conservatore. Non hanno la più pallida idea di quanto in realtà abbiano sbagliato di grosso. Un piccolo indizio lo fornisce egli stesso con il nome prettamente conservatore scelto dopo l'elezione: Pio XIII.
Non sono mai stata una gran fan di Jude Law, ma lo sto diventando dopo la sua presenza in "King Arthur- Il potere della spada" e questa interpretazione immensa. Egli è capace di mantenersi costantemente in bilico tra una sensualità prepotente e una compostezza clericale, per cui risulta attraente in maniera sfacciata senza perdere credibilità nel suo ruolo. La sua naturale predisposizione al flirt è come soppressa da un'inavvicinabilità, da una freddezza caratteriale che ne nasconde i tratti e li disperde. Infatti il papa non si spingerà mai, per quanto tentato, in relazioni terrene.
Il giovane Lenny si rivela un individuo scostante, altero, assolutamente refrattario al compromesso e alla comprensione. Scende in campo un "papa bambino" dalla componente narcisistica -dovuta all'abbandono dei suoi genitori presso un convento- spropositata, capace di rendere fin da subito i rapporti chiesa-fedeli impossibili, negando la sua immagine pubblicamente ed esordendo con omelie al limite del raccapricciante. Supportato dalla fedelissima suor Mary che lo ha cresciuto -nota a tutti per le raffinatissime maglie da notte e non aggiungo altro-, ella è fermamente convinta della santità del suo pupillo, caratteristica di cui ci sfuggirà il senso minimo minimo per almeno le prime sei puntate, finché non avremo dei colpi di scena capaci di lasciare perplesso anche un veggente.
Il caro Lenny si trascina dietro troppi dissensi per non ottenere da subito dei veri e propri antagonisti, come il cardinale Angelo Voiello che è la sue esatta contrapposizione, in quanto più che un ragazzo affascinante e carismatico -parliamo di Jude Law- ricordi più una macchietta, qualcuno uscito dalla satira: egli tenta di mostrare il suo potere da manipolatore/ricattatore, ma è sempre poco realistico nel costumino da spia, perché resta impresso a tutti come l'omino buffo che si fissa davanti alle rotondità della venere nell'ufficio del papa, che tifa il Napoli, s'innamora di suor Mary ma di contro è l'amorevole babysitter di un ragazzo disabile. Evoca l'immagine di un uomo molto terreno, ma profondamente sensibile, umano e questa dualità è emblematica per ogni personaggio, che viene scavato fino a tirarne fuori le debolezze più recondite o la natura più turbolenta.
Sorrentino ci sbatte in faccia un concetto difficile da digerire: la Chiesa è imperfetta perché formata da uomini che sono capaci fin troppo bene di peccare. A rafforzare tal concetto giunge subito l'amico più affezionato di Lenny, cardinale Andrew Dussolier, dalla coscienza più che funzionante, capace sia di grande altruismo, sia di cadere in relazioni che non sono permesse a un prete. Altro esempio contraddittorio è quello del cardinale Bernardo Gutierrez, tendenzialmente un buono, ma prigioniero dell'alcolismo.
L'unico che sembra fuori da questo strambo circo tuttavia si mantiene sempre nell'ombra, in disparte e non riusciamo ad inquadrarlo, ma è giusto che il cardinale Michael Spencer resti fuori focus: doveva essere lui il papa e per tutto il tempo non fa altro che cercare di far entrare in testa a Belardo che sta sbagliando atteggiamento.
In un contesto di peccati su peccati, il papa sembra esente da queste imperfezioni, ma è una buona persona o la totale mancanza d'indulgenza verso se stesso, lo ha reso incapace di provare empatia nei confronti degli altri? Lenny è un santo o un impostore?
È difficile rispondere a questa domanda, perché a una personalità narcisistica dal livello preoccupante, dovuta all'abbandono da parte dei genitori che non smetterà mai di cercare tra la folla e nei ricordi, Sorrentino antepone in maniera insidiosa i fatti: veri e propri miracoli compiuti dal nostro inquietante protagonista, perché sembra proprio che nonostante ciò, Dio lo ascolti e poi come.
Abbiamo un papa che si nega, che costringe la Chiesa alla chiusura, che terrorizza il credente invece di accoglierlo, che punisce severamente ancor prima di perdonare, che spedisce i cardinali in Alaska/ Siberia e simili; poi fa tornare fertile la sua pupilla - la moglie di una guardia svizzera che gli ricorda tanto la sua unica fidanzata- in precedenza dal grembo arido come il deserto e scopriamo che da ragazzino ha guarito la madre morente di un suo amico. Egli compie anche un terzo miracolo ma come la figura di Lenny è anch'esso pieno di contraddizioni: è giusto pregare Dio affinché uccida una suora perché ricatta i poveri del suo villaggio in Africa, negandogli l'acqua? Non c'è dubbio che le sue suppliche siano state esaudite, ma è davvero questa la giustizia?
Bastano i fatti a creare un santo o ci vuole anche una coerenza comportamentale?
Nonostante le sue gesta egli sembra comunque incapace di provare un reale attaccamento per gli esseri umani; l'unico legame vero, seppur contorto, lo prova verso Dio, su cui proietta la famiglia che non ha mai avuto. Belardo è un papa che si presenta come impossibile da amare davvero eppure è problematico odiarlo, ci si sente quasi in colpa a negargli affetto dopo aver percorso insieme a lui le sue debolezze, mancanze, sofferenze. Costantemente in bilico tra l'adulto privo di pietà e il bambino che si diverte a impartire ordini al canguro affinché saltelli, egli resta incollocabile poiché poteva essere il peggior pontefice che la Chiesa abbia mai avuto, ma emana vaghi sprazzi di luce per cui ad ogni modo il peggio che promette non si concretizza davvero. Il panico iniziale si sostituisce via via alla malinconia di una vita che avrebbe potuto essere in tanti altri modi, ma si è chiusa dietro al dolore di un affetto mai ricevuto e ne ha fatto una bizzarra missione punitiva verso il prossimo.
Nonostante tutto non riusciamo ad essere estranei a quella sofferenza urlante: che Sorrentino abbia voluto fin dall'inizio condurci ad empatizzare con una personalità disturbata? Può darsi, o forse lo ha fatto tanto perché poteva permetterselo, come spiega quando gli viene chiesto il significato della presenza dell'animaletto australiano. Avrebbe comunque ragione: dopo la creazione di una serie simile, può permettersi questo ed altro.
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