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mercoledì 7 marzo 2018

8 Marzo. (Ancora una volta)


Avevo appena terminato di fare la doccia. L'asciugamano morbido, lasciato sul termosifone, infondeva in me una strana sensazione di sicurezza, di calore e pace tanto a lungo mancata. Come un abbraccio, come una carezza distratta data solo per affetto e senza pretese, come una mamma che cova nella sua testa il bambino che nascerà e ne immagina le forme.
Domani è l'8 marzo, la mia festa. La festa di tutte. Festeggerò con le amiche anche se dovrò probabilmente evitare un centinaio di cibi e non potrò toccare vino... ma chissene, l'importante è stare in pace e divertirsi un po'.
Non sono ancora abituata a ciò che cambia dentro al mio corpo. È come se ogni giorno dovessi svegliarmi e capire che è proprio dentro di me, che dopo tanti sacrifici, sta accandendo un miracolo. È come se le lacrime andassero a radunarsi da qualche parte per formare qualcosa di bello, come se confluissero in un fiume di gioia e tutto perdesse importanza. Non è poi così importante che la realtà è sbagliata e composta da un  milione di difficoltà e che a volte sembra semplicemente una giungla famelica nella quale hai paura di affacciarti e vivere.
Accesi la televisione più per spegnere i pensieri che per seguire realmente qualcosa. Era come se le parole fossero suoni indistinti privi di valore, continuavano a rimbalzarmi addosso come i messaggi insistenti delle mie amiche: "Vieni? Ci contiamo!"
Saranno secoli che non le vedevo, ero così felice di scoprire come sarebbero cambiate, come si sarebbero vestite, quali motivi avrebbero avuto per sorridere. Io avevo loro... e il mio bambino. Era una famiglia strana, ma era quella che mi ero costruita nella mia immaginazione: io, il mio bambino e le mie amiche.
Il mio bambino... non ero certa che sarebbe nato, ancora non gli avevo dato un nome nonostante ci fosse da mesi. Temevo che portasse sfortuna, data la situazione complicata. Lui non voleva sentirne molto parlare.
Era un maschietto. All'improvviso scalciò forte, di soprassalto anche lui. Avevo appena finito a cambiarmi.
La porta si spalancò e fece il suo ingresso come uno spettro crudele. Una volta, tante volte fa, era il motivo per cui alzarmi la mattina, l'amore della mia vita. Ma una mattina ti svegli realmente e capisci che i motivi per alzarti te li sta togliendo.
Non disse nulla, nemmeno un saluto, si lanciò direttamente sul divano.
«Domani ho un pranzo...» sibilai come una poveretta da un angolo della stanza. Come se non esistessi.
«Non se ne parla, chi mi cucina? Poi si sa cosa vai facendo tu con le amiche...»
«Ti prego, non puoi organizzarti? Te ne avevo già parlato...»
«Puoi parlarmene tutte le volte che vuoi, a me non interessa.»
«Ho deciso una cosa... io e Nico ce ne andiamo» gli diedi il nome di fretta, volevo che avesse un posto.
E fu tutto così brusco, come accadeva sempre. Tutto letteralmente da togliere il respiro. Mentre cercai di prendere la valigia già pronta e nascosta in camera, mi afferrò per la gola, mi schiantò contro il muro.
Potevo andarmene di nascosto, ma volevo chiarire. Volevo parlare, ancora una volta. Volevo salvarlo ancora una volta. Gli chiesi di lasciarmi e lo fece, ma ero spaventata e scesi le scale quattro a quattro, pur di scappare. Ormai era tutto così chiaro, ma così tardi.
Lui non voleva parlarne. Non voleva mai. Mi seguì per i gradini, mi strattonò ancora una volta e rotolai giù. Non contai per quanto tempo, non contai quanto dolore.
Lui non contò il sangue... è difficile contare il sangue di due persone, rivolto a terra in una pozza. È difficile affrontare la propria pochezza.

Aveva sempre deciso tutto lui, ma fu logorato dai sensi di colpa a vita. Talmente logorato che fece scrivere "Nico" sulla lapide del nostro bambino. 



Domani è la Festa della Donna. Divertitevi, festeggiate, ma non rimandate ancora una volta il rispetto e l'amore che meritate.
Non lo fate per gli altri che sono preoccupati: fatelo per voi, che meritate di vivere.

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