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martedì 16 giugno 2015

Sogno di una notte di mezza estate. William Shakespeare


Tra spiritelli, scambi di coppia e dèi che s'innamorano di muli che recitano, cercherò di mettere un po' di ordine; che sembra, raccontata così, un'accozzaglia priva di senso. 
La trama in breve: 
I divini Oberon e Titania sono in lite per colpa di un ragazzino che lui vorrebbe al suo servizio, ma che lei tiene con sé per un antico legame verso la madre di costui, morta di parto.
Al fine di vendicarsi un po' e di ottenere il giovane, Oberon manda uno spiritello, Puck, a gettare un incantesimo d'amore su Titania, in modo che s'invaghisca del primo che incontra. 
Ciò combacia con la prossimità dei festeggiamenti per le nozze di Teseo (duca di Atene) e Ippolita; inoltre lo stesso giorno, Ermia sarebbe andata in sposa a Demetrio, se non fosse un'unione non approvata da lei, che sogna di fuggire con Lisandro, che ricambia.
Elena invece, persa per Demetrio, non riesce ad ottenere il suo affetto.
Oberon, impietosito dalla vicenda di Elena, affida anche a Puck il compito di far innamorare Demetrio di lei.
Ma lo spirito  non mancherà di procurare danni; compreso il far invaghire Titania proprio di Bottom, il più stupido degli artigiani  che stanno preparando un dramma da mandare in scena in occaasione dei festeggiamenti per Teseo...

Recensione:
Tagliente come suo solito, Stavolta Shakespeare ci fa mancare un finale cruento in cui muoiono tutti -ovvio, è una commedia- di quelli che mi piacciono da impazzire, optando per l'happy ending. Però la classe resta classe e non posso che inchinarmi anche stavolta davanti a tale finezza.
Nello scritto si fondono indistintamente risa e dolore come fossero un'unica cosa, tanto che se non si sapesse che è una commedia, all'inizio si potrebbe già avvertire il dubbio di una tragedia imminente.
L'autore crea i suoi nuvoloni, che non scivolano nel temporale così annunciato.
Nonostante il grigiore venga smorzato dai divertentissimi, magistrali dialoghi degli artigiani goffi intenti a mettere in scena un dramma tra strafalcioni e verosimili battute, lo stampo del drammaturgo s'impone sempre e comunque con i suoi affondi nel disperato, tormentato animo umano. Si dimostra -come sempre- uno scrittore profondamente sensibile, la cui disperazione traspare e in un certo senso inquina uno scritto che vuole dimostrarsi leggero, ma in alcuni punti si rende davvero sofferto ed esasperato.
Egli comunque non scinde la narrazione completamente da tutte le sue tensioni interiori, che si riflettono nelle conversazioni più dolorose, dove gli amori non sono semplici né corrisposti e ci si uccide a forza  di coltellate verbali e ferite al cuore impossibili da toccare, vedere e sentire.
Infallibile, onesto, talvolta spietato il punto che preferisco: quello che riguarda i quattro amanti. Viene evidenziato e portato alla luce ogni singolo sentimento e analizzato in maniera onesta e impietosa come al microscopio; gli amanti si perdono verbalmente nella passione, nelle loro stesse parole. Sono incatenati e costretti a obbedire alla marea che li sconquassa da dentro e alla quale non si riescono a sottrarre.
Le emozioni migliori me le ha regalate Elena e il suo amore a fondo perduto. Nella pelle, nella testa, nell'anima ha solo Demetrio, che non fa altro che dilaniarsi e sfidare la pazienza di Lisandro, al fine di ottenere la mano di Ermia. Si dovrebbe essere ciechi, sordi, insensibili, per non soffrire di riflesso al suo sentirsi imperfetta.
Perché poi, imperfetta?
Non perché brutta, stupida, priva d'interessi; non perché nessuno non l'amerà mai.
Semplicemente perché si può avere il mondo ai propri piedi, si può essere serviti e riveriti, si può anche essere perfetti. Ma se la persona a cui daremo tutti noi stessi non ricambia il nostro amore, è tutto vano. Tutto perso.
Noi come esseri umani, siamo persi.
Senza quell'affetto, siamo solo da buttare.
L'amore di Demetrio è l'unica cosa che la salverebbe e darebbe la vita per una sola parola dolce uscita dalla sua bocca... ma non ne vengono per lei. Così lei scende addirittura a sentirsi in competizione con Ermia, che in un certo senso è la sua migliore amica. Anche se non ha niente da invidiarle; anche se potrebbe essere più bella.
Ma non importa: per lei Demetrio è l'unica cosa che conta; l'unico metro di paragone. E senza quell'affetto lì, del resto, anche se ci fosse, non se ne farebbe niente.
Senza l'affetto di Demetrio, la partita è già persa.
Ora ditemi: chi non si è mai sentito così, almeno una volta nella sua vita?

Vorrei ammalarmi della tua bellezza,
O bella Ermia, prima di andar via;
L'orecchio contrarrebbe la tua voce,
Il mio occhio il tuo occhio, e la mia lingua
Contrarrebbe la dolce melodia
Della tua lingua. Se il mondo fosse mio,
Eccettuando Demetrio, tutto il resto
Lo darei via, per trasformarmi in te.
Oh, insegnami ad assumere il tuo aspetto
E anche l'arte con cui sai governare
Ogni moto del cuore di Demetrio!

E poi procede, ancor più, a uccidersi parola dopo parola; ad accoltellarsi senza risparmio, esponendosi a Demetrio e alle sue repliche spietate, che lui elargisce senza un briciolo di senso di colpa, di affetto.
Come se si desse in pasto a un leone, priva della paura che dovrebbe avere. Perché il suo sentimento non le lascia né scampo, né alternativa se non quella di farsi uccidere ripetutamente dall'amato, pur di non allontanarsi.

ELENA: Mi attiri tu, inflessibile magnete;
Ma non attiri ferro, perché saldo
Proprio come l'acciaio è il cuore mio:
Rinuncia alla tua forza d'attrazione,
E io perderò la forza di seguirti.
(...)
DEMETRIO: Non istigare l'odio che ho nel petto;
Solo a guardarti io mi sento male.
ELENA: E io sto male quando non ti guardo.
DEMETRIO: Stai screditando troppo il tuo pudore
Se lasci la città per consegnarti
Nelle mani di uno che non t'ama
E affidi alle occasioni della notte
E al mal consiglio di un luogo deserto
Il gran tesoro della castità.
ELENA: La tua bellezza è la mia garanzia:
Non è mai notte se ti guardo in viso,
perciò penso che questa non sia notte.
Mondi interi mi fanno compagnia
In questo bosco, perché tu ai miei occhi
Sei tutto il mondo: come dire, quindi,
Che sono sola, dal momento che
Ho tutto il mondo che ora qui mi guarda?
Devo ammettere che sono di parte: sul personaggio di Elena ci ho davvero lasciato il cuore, per via di quella profondità, innate sensibilità e dolcezza di cui è dotata. Soprattutto ciò che spacca anche la pietra più priva di sentimenti, è la totale onestà nelle intenzioni. Quella purezza di fondo che la spinge a volere solo il bene dell'amato.
Però, cari lettori, stiamo pur sempre parlando di una commedia e non di un classico suo dramma.
Altro che non passa inosservato e non potrebbe nemmeno con l'impegno, è il folle e simpaticissimo Bottom che, pur non sapendo fare un emerito nulla, è disposto a recitare tutti i ruoli possibili e inimmaginabili nella commedia degli artigiani. Inoltre nemmeno si pone una domanda sulla passione repentina di Titania per lui, ma ne approfitta ingenuamente e bonariamente, come i bambini a cui viene offerto un barattolo di Nutella sospetto.
Lui è quello che senza dubbio dirige la maggior parte dei dialoghi e si fa colonna portante quasi per intero del risvolto comico della storia. Senza Bottom non c'è risata, salvo quella suscitata  dalle battutine riluttanti di Teseo, Demetrio, Lisandro riguardo la goffa riproduzione teatrale ad opera degli artigiani, che ce la mettono tutta, ma nonostante l'impegno i risultati sono alquanto scarsi.
Esilaranti gli strafalcioni di semplicità di alcuni "attori" che, pur non possedendo la vena comica naturale di Bottom, hanno il loro splendente momento di gloria -anche se passeggero come le meteore-.
Per assaporarli meglio, vi lascio alcuni sketch da far scappare il sorriso, vista la demenza dei protagonisti.

QUINCE: Robin Starveling, tu devi fare la madre di Tisbe. Tom Snout, stagnino. 
SNOUT: Eccolo, Peter Quince. 
QUINCE: E tu il padre di Piramo, mentre io sarò la madre di Tisbe: Snug, falegname, tu farai la parte del leone. E così, spero, il dramma è sistemato. 
SNUG: Ma ce l'avete scritta, la parte del leone? Datemela, per favore, se è così, perché sono un po' lento nello studio. 
QUINCE: Puoi anche improvvisare: c'è solo da ruggire.
____________________

BOTTOM: Peter Quince...
QUINCE: Cos'hai da dire, mio stimato Bottom?
BOTTOM: Ci sono cose in questa commedia di Piramo e Tisbe che non potranno mai piacere. Prima cosa, Piramo deve tirar fuori la spada e ammazzarsi; e questo le dame non lo sopportano. Che mi rispondi, eh?
SNOUT: Madonnina mia, che paura!
STARVELING: Secondo me alla fine l'ammazzamento dobbiamo levarlo.
BOTTOM: Ma neanche per idea: io dico che si può sistemare tutto. Tu scrivi un prologo. E al prologo gli fai dire una cosa come: guardate che con le nostre spade non facciamo male a nessuno e che non è che Piramo poi muore davvero. E se vogliamo proprio esser sicuri, puoi anche dire che io, cioè Piramo, non è che sia proprio Piramo, ma Bottom il tessitore. Vedrai che così gli passa la paura.
[...]
Signori miei, pensateci bene: far entrare - Dio ne scampi - un leone in mezzo alle signore è una cosa assai terribile; perché non c'è al mondo una selvaggina più spaventevole di un leone vivo; dobbiamo andarci coi piedi di piombo.
SNOUT: Allora occorre un altro prologo ancora dove si dice che non è un leone.
Per chi, come me, si è sempre nutrito del classico Shakespeare da lacrima di sangue, devo ammettere che si troverà in un universo che si discosta da quello usuale, ma non totalmente. A tratti il dolore selvaggio bussa alla porta, si fa sentire per ricordarci che esiste e non si può cancellare nemmeno naufragando tra le risate. 
Come però ci ricorda -da tenere sempre a mente- che la vita non è solo dolore, ma a volte ci possiamo permettere che sia semplicemente un gradevole sogno in cui i desideri si avverano, prima di schiantarsi contro la brutalità del mondo.
Lo stesso Shakespeare delle sventure, vendette, omicidi, pugnali, intrighi, faide e veleni ricorda a tutti gli esseri umani, che ogni tanto devono guardare in alto e spiccare il volo. 
Perché perdersi in un sogno per alleggerire l'esistenza, non costa niente.
Ecco la grandezza di questo piccolo -gracile- libro: semina insoddisfazione e raccoglie speranza.

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