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venerdì 23 gennaio 2015

Tutto Hunger Games in tre comode recensioni piene di spoiler.

Eccomi qui con un tre in uno irrinunciabile: l'intera saga di Hunger Games, pressurizzata in un libricino piccino picciò, che quando si tratta di leggere in viaggio è davvero una pacchia.
Per chi non lo sapesse ancora (l'ho praticamente urlato ai quattro venti), prende il nome di Flipback (all'estero queste cose esistono da una vita) e si sfoglia  dal basso verso l'alto, come un blocchettino dalle pagine particolarmente sottili.
Invito ogni tipo di scettico a provare per credere!
Ora veniamo ai tre libri. Storia avvincente su diversi piani, ti conquista prima per il sorprendente contesto, poi per la forza d'animo dei personaggi, le cui storie colpiscono ciascuno nel proprio intimo in modi differenti. Ma senza indugi, preferisco entrar subito nel dettaglio!
1. Hunger Games

Se dovessi definire con una parola sola il primo capitolo di questa promettente saga, molto probabilmente userei il termine "travolgente". Vieni assalito da un branco di emozioni fameliche che non ti danno modo di respirare. La narrazione sembra figlia di Orwell, delle grandi saghe fantasy come Harry Potter... e della tv. Riuscite a immaginare tante cose così distanti tutte insieme? Per essere un libro con tendenze distopiche, ha combinato talmente tanti elementi da nascondere le reali intenzioni. C'è un sistema che non si può sovvertire. Panem ha una Capitol City che regna incontrastata e dodici distretti assoggettati ad essa. Svolgono ognuno una funzione (ad esempio il 12 estrae il carbone; l'11 è per l'agricoltura e così via) ma poco si sa di ciò che accade al di fuori della propria limitazione territoriale. Non è possibile viaggiare né raggiungere un altro distretto, tantomeno la Capitol senza permessi straordinari. Questo sarebbe già abbastanza triste senza valutare gli Hunger Games: sanguinari reality in cui due tributi (ragazzi dai dodici ai diciotto anni scelti mediante un'estrazione) per ogni distretto vengono chiusi in un'arena insieme agli altri, al fine di ammazzarsi reciprocamente fino ad ottenere un solo sopravvissuto: il vincitore che otterrà onori e glorie. Saltano subito all'occhio proposizioni dirette, rapide come frecce. Frasi di uno stile che sa essere tanto essenziale quanto ampiamente descrittivo. Rende perfettamente il senso di quanto narrato; il lettore non fatica affatto ad immaginare le scene, a vivere come se ne facesse parte. In certi punti le parole si serrano tanto da far male. Come se creassero silenzio, sgomento con la loro crudezza. I concetti più spietati vengono resi senza mezze misure, con sincerità disarmante e tagliente.
Ma c'è anche il cibo, se sai dove cercarlo. Mio padre lo sapeva, e mi ha insegnato qualcosa prima di essere fatto a pezzi dall'esplosione di una mina. Non è rimasto niente da seppellire. Io avevo undici anni. Ne sono passati cinque e mi sveglio ancora urlandogli di scappare.
La trama è ben tessuta. Funziona l'ambiente, funzionano i personaggi e le azioni che essi compiono. Il contesto Orwelliano è imponente, lo si ritrova fin da subito e si staglia come un ostacolo insormontabile e un pericolo costante. L'autrice è stata molto brava nel presentare questa minaccia in modo così palese, che poi in un certo senso viene ammorbidita un po' dalle vicende umane. Non desta lo stesso interesse delle prime pagine in cui è lampante; eppure questo controllo perenne, resta un rumore di fondo semplicemente assordante. Tutto ciò avviene anche perché, i pensieri della protagonista sono più liberi di fluire nelle battute iniziali, dove si permette di esternare invettive ben precise: lei è di indole ribelle e non ha poi così paura di darlo a vedere.
Prendere i ragazzini dai nostri distretti, obbligarli ad uccidersi l'un l'altro sotto gli occhi di tutti... é così che Capitol City ci ricorda che siamo totalmente alla sua mercè. Che avremmo ben poche possibilità di sopravvivere a un'altra ribellione. Indipendentemente dalle parole che usano, il messaggio è chiaro. "Guardate come prendiamo i vostri figli e li sacrifichiamo senza che voi possiate fare niente. Se alzate un dito, vi distruggeremo dal primo all'ultimo. Proprio come abbiamo fatto con il Distretto Tredici."
Katniss è la figura principale, ma c'è sotto un'impalcatura forte, imponente che la sorregge e le permette di essere ciò che è. Lei è una ragazza forte, fiera. Sfama la sua famiglia, ma non è pratica di sentimenti; quello è un mondo che scoprirà solo grazie a Peeta, secondo tributo del suo distretto che, pur essendo suo rivale nell'arena, si dichiara per lei davanti alle telecamere di tutta Panem. Prima c'è stata l'amicizia di Gale, che in teoria è sempre rimasta un sentimento innocente; l'amore di Peeta invece la confonde e spiazza più della violenza, perché perlomeno la violenza è una cosa certa, di cui si può fidare. Infatti non sa come reagire, si lascia guidare dalla diffidenza. Poi è confusa, non lo sa. Non sa come trattare questo amico/rivale/innamorato/pericolo che esce allo scoperto così spavaldamente. Il tributo del Distretto 12 è un tipetto molto particolare. Sa farsi notare proprio per essere realmente complementare rispetto a Katniss: è un ragazzo molto in contatto con la propria parte emotiva e non ha affatto paura di sembrare vulnerabile. Si rivela più umano di lei in parecchie circostanze, ma non è così semplice capire e fidarsi, quando in ballo c'è la vita.
Un Peeta Mellark buono è molto più pericoloso di un Peeta Mellark crudele, per me. I buoni hanno un modo tutto loro di entrarmi nel cuore e metterci radici. E non posso lasciare che lo faccia Peeta. Non dove stiamo andando.
Hunger Games non è solo questo. Tra le righe comunica molto più di quello che sembra e non contiene esclusivamente richiami orwelliani. Ci si accorge di ciò quando Katniss arriva a Capitol City ed è tutto così ricco, nuovo, semplice rispetto alle sue parti dove per mangiare devi cacciare e non puoi sempre contare sulla corrente elettrica. Dove la sopravvivenza è la parola chiave e non c'è posto per le cose frivole. Dove non c'è tempo per chiedersi come passare il tempo, perché impiegato costantemente nel disperato tentativo di non morire. Allora si pensa al benessere moderno, al fatto che tutto bene o male in occidente è possibile, ma in altri luoghi no. Ci si sente quasi ingiusti a vivere nel benessere, ad essere così vicini ma sempre costantemente lontani dalla felicità. Ad avere qualsiasi cosa, ma percepire ogni volta il nulla intorno a noi.
A Capitol City la gente fa interventi chirurgici per apparire più giovane e più magra. Nel Distretto 12  i segni della vecchiaia sono una specie di conquista, data la quantità di persone che muoiono giovani. Appena vedi un anziano, vuoi quasi congratularti con lui per la sua longevità, chiedergli il segreto della sopravvivenza. Una persona ben pasciuta la invidi, perché non tira avanti a fatica come la maggior parte di noi. Ma qui è diverso. Le rughe non sono apprezzate. Una pancia rotonda non è indice di successo.
Perché sono una persona magnanima cerco sempre di non spoilerarvi, ma la faccenda della ghiandaia imitatrice è troppo grande e bella. Io mi sono innamorata di quell'animale, tanto che ho comprato addirittura una collana con esso. Non ho ancora visto il film, ma non oso nemmeno immaginare quanto possano essere belle le scene in cui compare quell'uccello. Credo propro che, detto questo, mi lancerò a seguitare la lettura. Era dai tempi di Harry Potter che non mi esaltavo così per una saga.

2. La ragazza di fuoco

Chiedo l'aiuto di qualche anima caritatevole, perché sinceramente non capisco. Mi auguro che ci sia un massiccio errore di traduzione, altrimenti non mi spiego perché Katniss e compagnia bella continuino con nonchalance a indossare l'accappatoio sopra il pigiama. Viene spontaneo chiedersi a questo punto, se dopo la doccia si asciughino con la vestaglia o meno. Va bene che ogni distretto ha le sue usanze, ma il 12 in questo è piuttosto eccentrico. Poi ci si lamenta degli stramboidi di Capitol City... Comunque, il  secondo volume della brillante saga si caratterizza come ben strutturato, tanto che concede un punto della situazione quasi continuo. Si rende piuttosto raggiungibile anche laddove qualcuno partorisse la geniale idea di saltare il primo perché si è svegliato male la mattina. Rispetto ad Hunger Games parte in modo meno programmato e scontato, è una continua fonte d'imprevisti e ti tiene con la faccia incollata alle pagine. Sempre.
-Dev'essere un sistema molto fragile se basta una manciata di bacche a farlo crollare.  Resta in silenzio a lungo, mentre mi studia. Poi dice semplicemente: -È fragile, ma non nel modo che immagina lei.
Brusco esordio con l'arrivo del Presidente Snow, che rende già pepate le battute d'inizio e fa saltare il cuore in gola con le sue intimidazioni. Cattivo piuttosto atipico: ora non saltatemi alla giugulare però non riesco a provare una totale antipatia per quest'uomo che si prende quasi a battutine sarcastiche con Katniss. I due hanno un modo di punzecchiarsi che, nonostante la pericolosità della situazione la rende divertente. Quasi ci fa perdere l'idea di dramma che dovrebbe percorrere circostanze simili.
Quando il pubblico scandisce il mio nome, sembra più un grido di vendetta, che un'acclamazione. Quando i Pacificatori intervengono per calmare le folle turbolente, quelle premono contro di loro anziché arretrare. E so che non c'è nulla che io possa fare per cambiare le cose. Nessuna dimostrazione d'amore, per quanto credibile, potrà invertire il corso degli eventi. Se porgere quelle bacche fu da parte mia un atto di momentanea follia, allora quella gente abbraccerà anche la follia. 
Questa nuova storia porta con sé alcune rivelazioni, tipo l'audacia di Cinna...ho sempre pensato che fosse una personalità molto interessante. Peeta è incantevole come al solito (non a caso è il mio personaggio preferito), nonostante anche lui ne combini parecchie; pollice su per Katniss che solitamente è un uomo: caccia, pesca, uccide, spacca case e non versa una lacrima nemmeno se le tiri una cipolla aperta in faccia... qui sarà la tensione, saranno le rivolte, sarà un convincente Presidente Snow, sarà Gale preso a frustate, sarà il tornare nell'arena, ma finalmente si vede il pathos che il lettore aspettava. Era anche ora che questa ragazza scoppiasse un po' invece di fare il robocop della situazione: non poteva seguitare all'infinito a mostrare la stessa intensità emozionale di una busta abbandonata per strada sotto la pioggia (che già mi commuove di più perché è un'immagine poetica). Sia ringraziata la scrittrice, che ha sciolto la calotta polare di Katniss sprofondandola in una dimensione vulnerabile e umana in modo improvviso e giusto: come se, a forza di tenere imbrigliato con violenza tutto ciò che prova fosse crollata all'improvviso e senza rimedio. Entusiasmante trovare un Peeta sempre disposto ad adeguarsi agli stati d'animo di lei, sempre pronto a proteggerla come un guanto perché lei sa sopravvivere solo quando si tratta di uccidere; tuttavia non sa affrontare tante altre situazioni che la rendono anche troppo fragile. Katniss che si lascia andare al suo dolore e lo vive, si rivela nettamente più interessante di un'assassina ermetica che agisce senza sentir niente.
Mi cedono le ginocchia e Gale mi sostiene. Mentre l'alcol mi annichilisce la mente, sento la bottiglia che va in pezzi sul pavimento. Appropriato, direi: è evidente che tutto mi sta sfuggendo dalle mani. (...) Devo essere forte. Mi sforzo di assumere una posizione eretta, mi scosto i capelli bagnati dalle tempie pulsanti e mi preparo all'incontro. Loro due compaiono nel vano della porta, portando tè e pane tostato, i visi colmi di preoccupazione. Apro la bocca con l'intenzione di esordire con una battuta ma scoppio in lacrime. E addio all'essere forte.
Peccato per Gale, che contrariamente a come sembrerebbe dalla citazione, esce ancora poco allo scoperto. In compenso saltano all'occhio personaggi come Finnic Odair, che non spiccherà solo per bellezza, oppure Johanna Mason dal carattere rovente. L'arena nuova è tutto un programma: niente a che vedere con quanto trovato nel primo libro. Anche la totale imprevedibilità degli avvenimenti prima e dopo (fantastica la trovata con gli Strateghi), rende la storia scorrevole, incalzante e crea la smania di leggere per sapere come va a finire. Il mix che ne consegue  è un coltello che ti si pianta in piena pancia e scende, e continua sadico ad aprirti in due... e quando ne hai abbastanza non si ferma lo stesso.
Ma credo di aver sperato un po' di...cosa? Di moderazione? Di riluttanza, quantomeno. Prima di attivare la modalità massacro. E vi conoscevate tutti, penso. Vi comportavate da amici.
La carta vincente a parer mio è l'affondo, l'introspettività massiccia  che arricchisce l'opera e l'accompagna. In Hunger Games c'è stato il momento meraviglioso, tragico e carico della morte di Rue, ma lo si può definire l'apice emotivo del libro. Qui invece si trivella senza pietà né discrezione la superficie per  portare a galla più sentimenti, più vita. Colpisce persino portando il lettore nel passato a scoprire antichi dolori rimasti sepolti troppo bene. Inutile a dirlo: La ragazza di fuoco vince su tutta la linea e non solo per come scandaglia l'anima dei personaggi; la nuova avventura, se vi piacciono le cose imprevedibili, non vi lascerà delusi.

3. Il canto della rivolta

Parliamo di Gale? Ma no, facciamolo più tardi... preferisco non inveire subito. Vi dico solo che sono molto molto molto molto MOLTO, lieta di aver visto bene fin dall'inizio. In genere sono contraria a qualsiasi forma di spoiler. Però, stavolta avverto subito che non mi fermerà nessuno. Le vicende iniziali si snodano in modo decisamente tiepido, tanto che si potrebbe dividere il libro in due parti: la seconda raggiunge il livello del secondo capitolo della saga; la prima si mostra sottotono, tempestata dai problemi di Katniss e compagnia bella. Pittoreschi e angoscianti sono alcuni momenti nel distretto 12 che vale la pena citare, perché proprio a livello espressivo sono di una potenza allucinante.
Seguo la strada per abitudine, ma è una pessima scelta, perché è piena dei resti di chi ha cercato di scappare. Alcuni sono stati completamente inceneriti. Altri invece, soffocati dal fumo, sono fuggiti dal grosso delle fiamme e ora giacciono lì, nel fetore dei diversi stadi della decomposizione, carogne per i saprofagi, ricoperti di mosche. Vi ho ucciso io, penso mentre oltrepasso un ammasso di cadaveri. E ho ucciso voi. E voi.
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Le ceneri si levano a folate tutto intorno a me, così mi copro la bocca con l'orlo della camicia. Non è il fatto di chiedermi cosa respiro, ma chi, a minacciare di soffocarmi.
Bene, la situazione è la seguente: Katniss si trova nel distretto 13 dove ci sono un mucchio di regole, tutto è razionato e si devono seguire programmi rigidi. Si sono presi tutta questa pena di salvarla, convinti che lei avrebbe incarnato la rivoluzione...ma lei non è tanto convinta, perché Snow ha in mano Peeta e di conseguenza può abbattere la ghiandaia abbattendo lui. Lei infatti teme ripercussioni sugli altri prigionieri di Capitol City, per questo valuta a fondo i pro e i contro prima di accettare. La Coin, ovvero la donna che dirige il 13, per certi aspetti è quasi peggio di Snow. Farebbe di tutto per raggiungere la vittoria e si mostra molto rigida fin dall'inizio. Per giunta non sembra fare i salti di gioia per la presenza della ghiandaia, nettamente un intralcio ai suoi piani già ben delineati. La guerra si scatena su più fronti, ma Katniss, Finnick (che nei dintorni sembra sempre quello più capace di capirla dopo Peeta), Gale, Johanna e co. non lottano in prima linea: i loro combattimenti si limitano spesso a scene utili per registrare dei pass-pro che Capitol City dovrà vedere. I vincitori hanno il risvolto pratico di portavoce; non di combattenti. Proprio durante una di queste "passeggiate" per registrare i pass-pro c'è una digressione stupenda in cui Katniss canta una canzone, L'albero degli impiccati: brano profondo, dalla poesia agghiacciante che si snoda strofa per strofa nel suo vero, oscuro significato. Ho apprezzato tanto che lei sia scesa nei meandri a raccontare, a far sentire la vera essenza del testo. È uno dei pochi momenti in cui emerge l'anima di questa protagonista così tormentata. Che tuttavia non assolvo, per via di una scelta disumana che farà proprio nel finale. Si dimostra, a tratti persona sensibile... ma non fatta di una bella pasta. Dicevamo?! Ah, ecco! Si organizza una missione soprattutto per recuperare Peeta, che appassisce giorno per giorno sotto l'occhio delle telecamere, strumentalizzato nelle interviste e addirittura picchiato a sangue in diretta tv. Questo ragazzo non si smentisce mai. Lo riportano indietro insieme a Annie, ma lui è stato depistato: i suoi ricordi in merito a Katniss sono stati deviati pesantemente al fine d'indurlo ad odiarla. Infatti lui è instabile, confuso e pronto ad aggredirla. Eppure conserva uno strano barlume in sé. Anche nelle azioni peggiori che commette, per me Peeta è l'unico che esce davvero pulito da tutto. L'unico a non essere spietato e disumano.  Sarebbe da amare a prescindere, perché non ha gettato la sua anima nel water e ha cercato di ricostruire sempre, mentre molti altri personaggi erano troppo occupati a sfogare le loro frustrazioni su qualcun altro, a far scontare a qualche innocente i torti subiti.
Ora veniamo a Gale.
Capitol City si è portata via tutto, e ora sono sul punto di perdere anche Gale. Il collante del reciproco bisogno che ci ha legati  così strettamente  per tutti quegli anni si sta sciogliendo. E negli spazi vuoti che si aprono tra noi compaiono chiazze scure, non luce. 
Nel frattempo lui guadagna spazio nel 13, diventando il cagnolino della Coin. Per tutti quelli che volevano che la bella gli finisse tra le braccia, son contenta che il finale vi sia andato di traverso. Perché Gale è profondamente arrivista e se l'avesse amata davvero non si sarebbe messo a fare ciò che ha fatto. Il ragazzo è abile e strategico...ma privo di pietà. Lo dimostra a pieno nel distretto 2, quando senza esitazione fa cedere l'Osso (è una "montagna" che in parole povere fa da base al distretto) riservando a coloro che ne usufruivano la stessa morte che ha sperimentato suo padre in miniera; lo dimostra quando idea trappole progettate per colpire prima i bersagli e successivamente i soccorsi; lo dimostra quando parla di Katniss con Peeta dandole della calcolatrice; lo dimostra dando più confidenza al capo del 13, che alla sua migliore amica di una vita di cui dice di essere innamorato. E dire che a un certo punto ci avevo quasi creduto, che fosse un tipo spontaneo. Insomma, Gale da quando si è presentato ha fatto due cose giuste: farsi frustare e quella lacrimuccia smangiucchiata... e forse neanche quelle erano disinteressate. Era palese che non avrebbe mai funzionato con una Katniss così cauta e spaventata. Lui non è nemmeno quell'innamorato perso che si sforza di far credere ogni tanto: a Gale importa solo della vendetta, anche al costo di giocarsi tutto il resto con essa. Ha una personalità molto amletica.
Quando sollevo lo sguardo, capisco che Gale l'ha presa diversamente. La sua espressione dice che non esistono abbastanza montagne da frantumare né abbastanza città da distruggere. La sua espressione promette morte.
Il finale può sembrare brutale e spietato, specie per la dinamica della missione finale in cui Katniss e soci improvvisano nel più colorito dei modi e ci sono parecchie perdite. La peggiore a parer mio è quella di Finnic, che spezza in tronco l'unica storia d'amore dal percorso in linea di massima coerente. Eppure l'insieme mi è piaciuto: non riuscivo a staccare la faccia dalle pagine e ho fatto di tutto per volare fino alla parte terminale sorprendente, schiacciante. Non è tanto la lotta contro gli ibridi la maggiore sorpresa, quanto il precipitoso sprofondare della situazione in un pianto senza rimedio. Effettivamente ero pronta a qualsiasi cosa, tranne a ciò che poi è accaduto realmente. E qui mi fermo con gli spoiler... eccetto per il fatto che tra Peeta e Gale è andata benissimo così: lei aveva una scelta sola e l'ha sempre avuta. Non poteva dirigersi verso un portatore di morte, quando l'unica cosa di cui aveva bisogno era una speranza. Nel complesso Hunger Games si presenta come una saga fantastica, in cui a brillare di luce propria è il secondo libro. Sarebbe stato molto semplice cadere nello scontato, eppure ci è stato garantito l'effetto sorpresa.

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